Fenoglio, marinaio delle Langhe

Fenoglio, marinaio delle Langhe %azzi scrìtto dall'autore del «Partigiano Johnny» Fenoglio, marinaio delle Langhe to J- il s, :a il e là i- e. o di Salavera! ». E il nostromo: «Ricordate, signor Stricklyn, la dannata tempesta al largo delle Faroer?». «Eccome!» urlò il secondo. «Per colmo d'ironia ero imbarcato sul Merryweatberì ». «Ebbene», riprese Jones «in quell'occasione pensai d'aver scontato il mio debito con l'ira del Signore. Per quel che riguarda l'aldiqua, beninteso. Ora però vedo che mi sbagliavo, eprego Dio di aver pietà dell'anima mia, se non della mia carcassa, e prego il re di voler pensionare la mia vecchia Susie». E Harry Bell disse: «Dio aiuti gli uomini cui toccherà salire a riva nel colmo della tempesta». Solamente O'Shea non parlò, ma continua¬ mente sputò in faccia all'oceano e gli faceva versacci. Per le dieci della notte la tempesta era completa. Cielo e mare si azzufarono. Fulmini scoppiavano a mazzi La forza del vento era tale che strappò i fanali del Diomedes e roteandoli come palle di brace li scagliò oltre l'orizzonte. Gli alberi crepitavano, le vele tuonavano come cannoni d'assedio. Le onde erano alte cento piedi e le voragini che continuamente si aprivano potevano facilmente ingoiare interi villaggi con guglie e campanili. I vascelli ci sparivano in un attimo e ne riaffioravano dopo un tempo infinito. Alla luce dei lampi si vide che il Nor- thumbria, col timone spezzato, roteava come una trottola. Manco a dirlo, io me ne stavo sottocoperta. Il fasciame rimbombava, amache e lanterne sbattevano, oggetti andavano e venivano a seconda dell'inclinazione. Topi e bacherozzi erano usciti dai loro buchi e fissavano negli occhi gli uomini. I quali pregavano o imprecavano, cantavano o sospiravano. Io singhiozzavo perdutamente, con la testa avviluppata in una coperta. Verso la mezzanotte il boccaporto si spalancò e si affacciò, sprizzando acqua da tutti i pori, il nostromo Jones. «O'Shea!». urlò. «Chandler, Mullins e Snye! Fuori, a lavorare a riva! Subito a riva o la nave è spacciata!». I chiamati si alzarono e salirono, io stramazzai sull'impiantito e lì andavo e venivo con gli altri oggetti, sempre con la testa incappucciata. «Snye!» urlò Jones. «Tu salirai soltanto sul primo pennone. Fuori, verme schifoso!». Per tutta risposta io lanciai uno strido acutissimo, che competeva con gli altri fragori della tempesta. «Snye! O sali su quel pennone o ti ci impiccheremo!» Intanto il nostromo scendeva verso di me e un marinaio disse: «Spezziamogli il cranio, tanto è già belle incapucciato». In quel momento risuonò la voce salvatrice di Harry Bell, il quale rientrava da quattro ore di fatiche e di rischi mortali in coperta. «Io», disse Harry Bell, «io prenderò il posto di Snye. E perché abbiate a guadagnarci nel cambio, salirò fino a riva». «Non so perché lo fai, Harry Bell», gridò il nostromo, «ma se vuoi farlo sbrigati!» e sparirono insieme sul ponte. Fu appunto in quella salita a riva che si perdette O'Shea. La bufera lo strappò da un traversino e lo scagliò in mare a miglia di distanza. ■ Dopo trenta ore quella inaudita tempesta si placò e le tre navi accostarono per esaminarsi e medicarsi a vicenda. Io cercai di prendere in disparte Harry Bell per protestargli eterna riconoscenza, ma il vecchio non mi lasciò nemmeno incominciare e mi piantò in asso per presentarsi al nostromo Jones che accennava di volergli parlare. «Harry Bell», disse il nostromo, «non voglio domandarti perché hai fatto quello che hai fatto per il turpe Bobby Snye, ma tu devi raccontarmi ciò che hai provato a riva nel colmo della tempesta». «Ve lo racconterei, nostromo, se non mi trattenesse il timore che voi non crederete un'oncia di quella che purtuttavia è la verità». «Tu dimmi la tua verità», rispose Jones tremendamente serio, «e io son pronto a ripeterla al capitano Stimson e allo stesso commodoro». Allora Harry Bell gli raccontò, con tutta la concisione e insieme la minuziosità che un intenditore quale il nostromo meritava, della sua salita a riva e del lavoro che fece lassù nel colmo della più grande tempesta a memoria di vecchio marinaio. E durante il lavoro a riva ebbe visioni. «Visioni!?» fece il nostromo. «Visioni», confermò Harry Bell, «o, per meglio dire, spettacoli. Spettacoli incredibilmente nitidi e calmi in quel caos mortale. Ma è proprio qui, nostromo, che non vorrete e non potrete credermi». «Ti ripeto, Harry Bell: tu dimmi la tua verità e io sarò pronto a giurarla davanti ai Lords <~M Mare, sotto pena del capestro. , Allora Harry Bell riferì le sue visioni. «Una volta che la nave s'impennò in cima all'onda più gigantesca, vidi il porto di Canton nella Cina. Laggiù faceva bel tempo e mare liscio. E vidi distintamente una squadra inglese entrare in porto, ma non potei leggere i nomi delle navi. E una volta che la nave sprofondò nella voragine più spaventosa, vidi chiaramente il popolo dei capodogli in cerimonia. Avevano eletto il loro re e stavano giusto incoronandolo; il tutto con grande pompa e dignità, proprio come facciamo noi a Westminster. E una vòlta che la nave ruotò su se stessa, per un terribile colpo di mare, probabilmente lo stesso che strappò quel povero irlandese matto, quella volta, dalla mia posizione pericolosissima ma estremamente privilegiata, potei vedere il cimitero del mio villaggio nello Staffordshire. E vidi la tribù dei miei fratelli, cognati e nipoti portare fiori e sorrisi alla tomba dei miei genitori, e dai sorrisi capii che i due vecchi erano morti da gran tempo. Per il resto della crociera non accadde più nulla di lontanamente simile e, per«non affliggere anima viva con la relazione dei miei particolari, incessanti dolori e disagi, passo immediatamente al nostro ritorno a Bristol ventotto mesi dopo la partenza da Plymouth. Informerò soltanto che il primo amico di Harry Bell, Tom Jackman, morì di malattia e venne sepolto in mare al largo della Guinea. Beppe Fenoglio (Per gentile concessione della casa editrice «Stampatori») Beppe Fenoglio

Luoghi citati: Cina, Guinea, Plymouth