Vacanza con Stevenson di Lorenzo Mondo

Vacanza con Stevenson Vacanza con Stevenson IL bello di questa favola, che certo Fenoglio si è provato a scrivere in giovane età. nasce dal fatto che lui stesso l'ha prima vissuta. Non nel senso che abbia davvero partecipato a un viaggio negli antipodi, o nel senso più intimo e elusivo, che uno scrittore vive intensamente, nell'awentarsi dell'ispirazione, le cose che racconta. Vengono in mente piuttosto tempeste e bonacce percorse sui libri, la rete dei meridiani e paralleli che difendono, sugli atlanti, la polposa consistenza del mondo. Tra le «cose sognate», nel breve diario di Fenoglio troviamo questa lapidaria, sospirata notazione: «Con Essex e Raleigh alla presa di Cadice dal mare. Entremos. entremos! ». Anche qui. in questi tropici un po' di maniera, entremos! ma in compagnia di Stevenson e di Conrad, entriamo nelle acque benedette della letteratura inglese insieme a Coleridge, l'autore della Ballata del vecchio marinaio. Non a caso Fenoglio ha tradotto quel poemetto in cui — potenza della predicazione puritana — anche il romanticismo si fa biblico. La forza visionaria di Coleridge temperata dall'elegante understatement di Stevenson La gran tempesta come punizione-di un Dio irato ed esibizionista (i fulmini che «scoppiavano a razzi»), gli uomini chiamati alla prova dell'ultima battaglia sui margini dell'abisso, le visioni infine del vecchio Henry Bell, così diverse da quelle orrende che toccano al marinaio di Coleridge: ecco l'ingresso leggero di una squadra navale inglese nel porto di Canton (urrah per l'Union Jack?); la fantastica incoronazione del re dei capodogli che avviene «come fossimo noi a Westminster (a scorno di tutti gli intrattabili Moby Dick degli oceani); perfino la tomba dei genitori, circondata da una «tribù» di figli e nipoti, non tanto sprigiona tristezza, quanto un forte sentimento della continuità del vivere. Bisogna infatti tenere conto che Bell, col suo nome da squilla di campana, non ha ucciso l'albatro come il marinaio di Coleridge, non è punito col rimorso e invece di mille demoni piovono su di lui cateratte di grazia. Fenoglio, pieno il cuore e le orecchie di quelle pagine, non rinuncia però a ritagliarsi spazi di autonomia. Per un capovolgimento originale, anche rispetto ai racconti di avventurosa formazione, non il vecchio risulta colpevole in questa traversata di burrasche: lui che, nel mezzo di un pericolo mortale, non esita a sostituirsi al ragazzo spaventato affermando il valore della responsabilità individuale («sul mare è giusto che ci muoia chi l'ha scelto»). Fellone è il giovane Bobby Snye, finito a calcare le tavole di un veliero perché incapace di vivere secondo il giusto a Chichester, senza lasciarsi spolpare al gioco le ghinee e l'anima. Fellone, mi pare di capire, è anche Beppe Fenoglio, che si perde sulle pianure del mare dimenticando tutto il bene che si è lasciato alle spalle, le mirabili visioni che possono, fiorire sulle colline native. A tratti, anche in queste pagine di lontananza, sembra o\i cogliere la piega di un'abitudine, l'incavo di una protratta famigliarità. Questa — dice Fenoglio — è una storia antica che «sa più di polvere che di salsedine», e fin qui, passi, la polvere può essere ancora quella della bi blioteca. Ma quando sentiamo che un forte vento «scavava l'oceano come un • cucchiaio la minestra», non abbiamo più dubbi E allora, sfogati pure, Beppe Fenoglio, levati la voglia di antipodi, e poi, torna a casa. Lorenzo Mondo

Luoghi citati: Cadice