Il riso scettico di Molière di Osvaldo Guerrieri

Il riso scettico di Molière Con «Molière» e «Messaggi» torna dall'esilio l'opera di Fernandez Il riso scettico di Molière MOLIÈRE, «dio della risata», in privato non rideva. Bollato di guitto e d'istrione, accusato di fare sempre le stesse smorfie, entrato quasi controvoglia nel tempio dei classici, fu soprattutto un uomo preoccupato. Dalle donne, in primo luogo, con cui aveva rapporti tempestosi, e poi dal bisógno di dare dignità e decoro alla commedia, dalla smania di assicurare un'agiata sopravvivènza alla sua compagnia, dal tormento di dover parare gli attacchi degli avversari. (Questioni note. Chi attende qualche elemento biografico nuovo dalla lettura del Molière di Ramon Fernandez (Rusconi. Milano, pp. 206. L. 12.500) rimarrà in gran parte deluso. Invece troverà molte sorprese chi desidera entrare nell'universo della commedia molieriana. Pubblicato da Gallimard nel 1929. il volume s'intitolava La Vie de Molière, ma molto opportunamente l'editore italiano ha espunto la connotazione biografica. Fernandez. infatti, non è andato alla ricerca di documenti nuovi, non ha cercato di dissolvere le leggende, né ha opposto all'aneddoto o al pettegolezzo il peso risolutivo delle prove. Ha lavorato su un'immagine molieriana già acquisita che. agli inizi degli Anni Trenta, discendeva direttamente dall'Ottocento, col commediografo incapsulato nel bozzolo dei classici, quasi un convitato di pietra che si poteva interrogare coi .soli strumenti della filologia e della critica. Un Molière più reale, osservato nel divenire del suo lavoro drammaturgico e dentro i problemi del suo teatro stabile (il Palais-Royal) è acquisizione molto più recente. In Francia lo scavo biografico è cominciato negli Anni Sessanta, in Italia dieci anni dopo, per merito soprattutto di Cesare Garbo li che qui appare come autore di una Uluminante introduzione. Oggi Molière ricorre non solo nei saggi letterari e a teatro, ma anche al cinema. Nell'arco di un paio d'anni abbiamo avuto il bellissimo film della Mnouchkine, un Malato immaginario con Alberto Sordi e un Avaro che De Funès gira nel deserto del Sahara. Negli Anni Trenta valeva il cartone celebrativo nobilitato dall'aureola del genio e Fernandez non cercava (forse non ci pensava neppure) di attraversare lo spessore umano del «tapissier du Roy» completamente assor¬ bito dalla vita teatrale, rivale prima di Corneille, autorità indiscussa della tragedia, e poi dell'altro Jean Baptiste, il Lulli, che sfaldava progressivamente e un po' spietatamente il terreno su sui poggiavano le fortune del Palais-Royal. Fernandez resiste a tutte le sollecitazioni che possono offrirgli i lati oscuri della biografia molieriana, per cui affronta en ecrivain anche la controversa questione del matrimonio di Molière con Armande Béjart, che le malelingue dell'epoca indicavano come figlia naturale del commediografo, nata dall'amore con Madeleine Béjart. Più degli episodi biografici, usati a sostegno e come avvio di ben più complesse analisi, Fernandez è attratto dall'opera molieriana e soprattutto dall'umorismo di Molière. Sotto questo aspetto, il saggio è davvéro affascinante, acuto, riserva sorprese a catena. Fernandez, in sostanza, legge Molière «nel profondo», lo libera dell'involucro esteriore (che tuttavia non sottovaluta) é punta dritto all'essenza di un'arte fondata sul riso. «Quando ridiamo percepiamo l'errore», «la risata è la sensazione della ragione», scrive Fernandez, dandoci cosi la chiave per decifrare i meccanismi che reggono il famoso umorismo molieriano. Errore e ragione, due en- tità opposte e parallele che Molière avvertiva dentro e intorno a sé. Errore e ragione non si elidono, ma dalla loro sintesi scaturisce il comico che, per il commediografo, equivaleva a uno stratagemma per dissimulare l'assenza di verità che c'è nell'uomo e dietro le sue azioni. Molière, in questo senso, non è né Cartesio né Pascal. Per lui la realtà dell'uomo è il nulla, che maschera con la deformazione della risata. Fernandez giunge a questa tesi attraverso l'esame minuzioso delle commedie, dalla Scuola delle mogli alle Intellettuali, stabilendo connessioni fra vari personaggi e una inattesa identità fra il Tartufo e il Malato immaginario: « Orgone e Argon, scrive Fernandez, sono un'unica persona dominata da ipnosi diverse. L'uno è affascinato dalla salute dell'anima, l'altro, dalla salute del corpo. Questo ipnotismo, da intendersi alla lettera, è dovuto nell'uno e nell'altro caso all'influenza di certi ipnotizzatori di professione che si sono impadroniti delle parole e degli atti del loro individuo, o vittima». Quali siano questi «ipnotizzatori» è facile immaginare, sono gli uomini, le figurine da presepe, gli idoli e i manichini del diciassettesimo secolo che Molière dipinge con parole arsenicali e che Fernandez assume come comparse di un mondo contraddittorio e convenzionalmente solare. Osvaldo Guerrieri ■" "... .;' »l ~g Una compagnia di comici», dipinto di scuola francese del XVIII secolo

Luoghi citati: Francia, Italia, Milano, Sahara