Dal cilindro di Disney spuntò una favola d'oro di Luciano Curino

Dal cilindro di Disney spuntò una favola d'oro Come creare un impero dei fumetti: una biografia ce lo racconta Dal cilindro di Disney spuntò una favola d'oro WALT Disney è morto il 15 dicembre 1966, il New York Times lo ricordò: «Partendo dal nulla, fatta eccezione per il dono del disegno e la fantasia che era in qualche modo in sintonia con la fantasia di tutti, e per una ostinata determinazione al successo, Walt Disney è stato uno dei più grandi produttori di Hollywood e uno dei maggiori uomini di spettacolo del mondo. Aveva il genio dell'innovazione; la sua produzione è stata enorme; era in grado di tenere sotto saldo e personale controllo ogni diramazione della sua impresa; e la sua mano era sempre sul polso del pubblico. E'stato, in breve, la leggenda del suo tempo, una leggenda destinata a durare. Eppure, niente di tutto questo può darci un ritratto completo di Walt Disney...». Un ritratto completo viene fuori dalla biografia di Bob Thomas, appena uscita in versione italiana da Mondadori (Walt Disney 426 pagine, 10.000 lire). Lasciamo l'infanzia nella fattoria del Midwest e la dura adolescenza di studio e di lavoro. La straordinaria storia di Disney incomincia nel 1923 quando, giovane squattrinato, parte da Kansas City per Hollywood. Ricorderà, molti anni dopo: «Incontrai un tizio sul treno, quando mi trasferii qui. Fu una di quelle cose che ti fanno uscire matto. <Stavo sulla piattaforma posteriore, attaccai bottone con un tizio che mi chiese: "Va in California?". "Sì, vado proprio laggiù". "Che mestiere fa?". "Sono nel cinema", gli dissi. E lui, subito: "Davvero? Io conosco qualcuno nel cinema. Lei di che cosa si occupa?". "Faccio disegni anima-, ti", gli dissi. "Oh". Era come se gli avessi detto: "Pulisco le latrine". A volte, la gente ti fa uscire matto; ti viene voglia di fargli vedere chi sei, anche se dopo tutto non te ne importa un fico. Pensai a quel tizio sul treno la sera della prima di Biancaneve.. Chi lo avrebbe mai immaginato che, andando in giro per il mondo, il film avrebbe portato a casa qualcosa come otto milioni di dollari?». Ma prima di Biancaneve (1937) c'è Topolino. Nasce nel 1928. L'anno dopo è già un idolo nazionale. Il 15 gennaio 1930 la striscia di Topolino fa la sua apparizione sui giornali. Nel 1931 il Club di Topolino ha un milione di iscritti. Douglas Fairbanks senior si ingrazia gli indigeni polinesiani mostrando loro cartoons di Topolino, Mary Pickford lo proclama suo attore preferito, la signora Roosevelt scrive a Disney dalla Casa Bianca: «Mio marito è uno dei fedeli di Topolino...». A Londra, il museo di Madame Tussaud lo immortala nella cera. «L'unica nota discorde era quella dei recensori tedeschi, che avevano messo al bando un cartoon perché "far calzare elmetti militari tedeschi a un esercito di gatti in guerra con un'armata di topi offende la dignità nazionale"». Walt Disney si identifica nel suo personaggio. E' lui stesso che, durante la registrazione sonora dei cartoons dà la voce in falsetto a Topolino. Nelle riunioni di lavoro, gli capita di dire: «Questo, Topolino non lo farebbe». Spiega il successo: «Perché abbiamo ideato un piccolo sorcio che ha qualcosa dello spirito di Chaplin, un soldo di cacio che cerca sempre di dare il meglio di sé». Con molta tristezza, ne vede declinare la carriera. «Il declino era d'altronde inevitabile. Topolino calcava le scene internazionali ormai da dieci anni, e pochi divi del cinema potevano vantarsi di eguagliare un successo così duraturo». Altri personaggi, soprattutto Paperino, si fanno avanti. Disney è un artista che detesta confrontare con la logica la propria fantasia. Un giorno, mentre si discute una sequenza in cui un cavallo suona un piano, uno dei nuovi disegnatori dice: «Ma i cavalli non suonano il piano!». Disney lo elimina immediatamente dal novero dei suoi collaboratori. Ha una sua teoria: «Gli altri non hanno capito il pubblico. Il nostro approccio al lavoro è sempre stato psicologico. Sappiamo quando bisogna "bussare alle porte del cuore". Gli altri hanno fatto appelli alla ragione, noi ab¬ biamo fatto appello alle emozioni. Chi fa appello alla ragione ha a disposizione solo un pubblico molto limitato... Dobbiamo fare appello a tutta la popolazione. Tutti i classici hanno sempre avuto questo tipo di contatto col pubblico...». Gran parte del successo. Disney lo deve all'irriducibile ottimismo che gli permette di tener testa ai critici supponenti, ai banchieri mal disposti, agli errori dei dipendenti, ai distributóri disonesti e a tutti i rischi del1 industria del cinema. A un tecnico che gli fa rilevare l'impossibilità di una sua proposta, Disney risponde: «E' più facile uccidere un'idea che cercare di realizzarla. Noi abbiamo sempre mirato in alto. Ecco perché siamo riusciti a fare quello che abbiamo fatto. Ora torni al lavoro è veda di spuntarla». Per una ventina d'anni cerca di «sopravvivere tra un film e l'altro». Ha i banchieri alle calcagna, ha debiti enormi con la Banca d'America, lo accusano di avere le mani bucate, e ribatte: «Non si può mettere un prezzo alla creatività». Dice candidamente: «Perché i soldi dovrebbero essere così importanti?». Nei momenti più difficili, dice ai collaboratori: «State a sentire, ci siamo già passati. Quando perdemmo il mercato straniero per la guerra, eravamo a un pas¬ so dal fallimento. E dopo la guerra eravamo lì lì per affondare, se la banca non avesse accettato di sostenerci. Ci tireremo fuori anche da questo, ne sono sicuro». Vi è poi un altro motivo del successo di Disney: la capacità di diversificare la sua attività, inventare continuamente, battere strade nuove. Sa che non può fermarsi ai cartoons con otto minuti di gags, e passa ai lungometraggi animati. (D primo è Biancaneve e tutti dicono che sarà la sua definitiva rovina, la chiamano la «mattana» di Disney). Poi vengono i documentari sulla natura e i lungometraggi con attori. Dopo quasi trent'anni di attività raggiunge la stabilità finanziaria, e subito torna ad indebitarsi per realizzare Disneyland. Le cifre degli incassi di Disneyland e quelle dei film salgono vertiginosamente. Ecco dunque Disney: non soltanto geniale per intuito poetico, ma anche per senso degli affari. E' uno degli uomini più famosi e più amati (molte le scuole intitolate a lui), sempre pronto a nuove imprese. « Verso la fine della sua vita, la sua immaginazione lo aveva spinto ancora più in là, a progettare un'università che combinasse tutte le arti e a ideare una città che costituisse un modello per il futuro». Muore a 65 anni di cancro al polmone. Lo definiscono «un poeta e un mago che ha dato vita al mondo delle favole», e anche «un re che ha regnato per diversi decenni sulla fantasia dei bambini di tutto il mondo». Non soltanto dei bambini, un giornale tedesco scrive che i suoi Oscar «valevano meno delle grida di gioia di giovani e vecchi». E il New York Times: «...una leggenda destinata a durare». Luciano Curino, '' Cartoonist- CARTOONS jamxnms CAKTOOK3 PiCTtQ^E CARTOOKS La carta intestata usata da Disney nel 1921

Luoghi citati: California, Hollywood, Kansas City, Londra