POESIA

POESIA POESIA L'altra metà della poesia Adrienne Rich ESPLORANDO IL RELITTO Traduzione di Liana Borghi Savelli 125 pagine, 3500 lire (chiara rabitti) Alla lunga introduzione scritta per questa raccolta, Liana Borghi fa precedere un'illuminante citazione della stessa Rich: «Quando leggono questa mia poesia, sono traduttori. Ogni esistenza parla una sua lingua». Proprio la consapevolezza di usare un mezzo di comunicazione che, dietro le ingannevoli apparenze di universalità, si rivela invece spessp uno strumento di oppressione creato e controllato dal maschio, induce la Rich a cercare un altro linguaggio, che segni la liberazione della donna dalla schiavitù espressiva: lo cerca all'interno di se stessa, «esplorando il relitto» della sua coscienza con tenacia e sistematicità minuziosa, per portare alla lucè la sua identità femminile, o meglio androgina. Solo una coscienza androgina infatti consente di annullare i rapporti di potere tra uomo e donna; solo riconducendo l'interiorità all'esteriorità si potrà tentare di ricostruire l'unità dei sessi. In questa prospettiva le 25 poesie di questo libro, scritte tra il 1971 ed il 1972, tendono a storicizzare le contraddizioni ed i contrasti della nostra società patriarcale, inte* arando personale e politico nel nome di una presa di coscienza femminista radicale e lesbica. A queste posizioni estreme la Rich è giunta da lontano: il suo primo libro, pubblica-j, to nel 1951, raccoglieva il componimenti esemplari di una brava studentessa di Radcliffe, interprete del suo tempo, del suo ambiente e del suo sesso. Le successive esperienze della protesta e, dell'impegno politico ne hanno arricchito e orientato, non avvilito né tantomeno strumentalizzate la personalità poetica: il femminismo della Rich coinvolge così la sfera letteraria con piena consapevolezza ed a buon diritto, nell'intento di restituire alle donne il loro contesto culturale ponendo le basi di una nuova poesia. La letteratura stessa diventa dunque parte essenziale della rivendicazione femminista, come realtà da riscattare e ricostruire, e non semplicemente come mezzo di sfogo di una rabbia millenaria e quotidiana. Ed è proprio questo che rende queste poesie così diverse da quelle di tante altre non meno accese femministe nostrane: la mancanza di improvvisazione, la dignità cosciente, il rispetto di un mezzo espressivo faticosamente recuperato. Leonardo Mancino IL SANGUE DI HEBERT Manduria, Lacaita; 106 pagine, 4000 lire (antonio motta) Mancino ha coltivato da sempre con una sorta di odio/amore la poesia. Dalla tensione esistenziale delle prime prove al dettato corrosivo e civile de La bella scienza si è continuamente confrontato evitando i toni sterili e lamentosi di tanta poesia prodotta nel Sud. Anzi la perdita di questo «Sud panico» e sensuale a favore: di una condizione antropologica più vasta è l'approdo de it sangue di Hebert, opportlinamente introdotto da Roversi e accompagnato da una lucida postfazione di Zanzotto. La chiave di lettura di questa raccolta va cercata in un volumetto di alcuni anni fa Per struttura s'intende (Geiger.. 1973) che proclama con forza il ruolo del poeta provocatore! («Il poeta per fare la sua guerra restì, poeta... .la condizione del poeta è sempre guerra»), che vive le conflittualità del reale sulla sua pelle. Lo specifico della poesia di Mancino è la capacità di toccare il fondo delle cose con una passione e una partecipazione che diviene, di volta in volta, trasgressione, disperazione disperata, volontà di volere per sfuggire alla morte delle occasioni e degli evénti: «Morire così o forse / è così che si muore / il poco spazio i i soli varchi utili nel corso / dell'epoca pure solenne / di parole in lotta / tra sintassi ed obiettivi / ...sentirsi spegnere l'idea i eia luce dentro gli occhi».

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