Toffanin, l'inquieto esploratore del Cinquecento

Toffanin, l'inquieto esploratore del Cinquecento Toffanin, l'inquieto esploratore del Cinquecento Nato a Padova il 26 marzo 1891, Giuseppe Toffanin si laureò in lettere nella sua città con la tesi E Romanticismo italiano e i «Promessi Sposi», che fece pubblicare l'anno dopo a Forlì. Nominato professore universitario di Letteratura italiana poco più che trentenne, insegnò a Messina e a Cagliari, e, dal 1928, a Napoli, dove stette sino al collocamento fuori ruolo nel 1961. Della sua imponente produzione ricordiamo alcune delle opere più note: La fine dell'Umanesimo (1920), L'eredità del Rinascimento in Arcadia (1923), n Cinquecento (1927), Che cosa fu l'Umanesimo (1928), E secolo senza Roma (1942), H Tasso e l'età che fu sua (1946), Carducci poeta dell'Ottocento (1950), Italia e Francia: Umanesimo e Giansenismo, l'Arcadia e Cartesio (1960). Si è spento nella sua Padova il 2 marzo. M NELLA vasta bibliografia di Giuseppe Toffanin accanto alle opere, più numerose e ponderose, del critico, a cominciare dagli anni giovanili per arrivare fino alla fervida vecchiaia, si registrano raccolte di liriche, novelle, commedie e, più notevole forse, un libro di ricordi e confessioni H vaso di Sassonia, del 1963. Questi libri che, a chi consideri la fortuna delle opere di storia letteraria possono sembrare prodotti marginali del Toffanin, se non ci danno la chiave per entrare nel laboratorio del critico, dovrebbero essere presi in considerazione come indizi notevoli di un temperamento estroso e irrequieto, che non si senti inai del tutto appagato dal suo fecondo lavoro di storico della letteratura e delle idee. Certo, benché uscito dalla scuola di Vittorio Rosso, il Toffanin non prese dal maestro né il rigore filologico né la cautela e la misura nel fare storia. Fu quello che si dice un critico di idee, che probabilmente, in una cultura diversa da quella italiana del secondo ventennio del Novecento, avrebbe avuto mag¬ giore risonanza, parlando non da una cattedra universitaria o scrivendo per specialisti Si sarebbe magari più spavaldamente mescolato nella politica, mettendo le sue letture e le sue congetture al servizio di un partito dichiaratamente conservatore. Lo avrebbe favorito una cultura come la francese fra le due guerre, aperta al libero dialogo democratico, in cui un cattolicesimo più colto e più battagliero del nostro fosse rappresentato, nelle sue tendenze e correnti anche da quella dei fautori convinti della conservazione e della restaurazione. Ma non fu cosi Con moderazione che poteva renderle accettabili il Toffanin fin da La fine dell'Umanesimo si opponeva alle interpretazioni del Rinascimento che possiamo definire genericamente laiche, traendo già le logiche deduzioni sul valore e i limiti della cultura venuta dopo, dal Seicento al Novecento. Ma,, al tempo stesso, egli si proponeva di discutere il problema delle orìgini del Rinascimento, problema che affrontò già nella Storia dell'Umanesimo e studiò più a fondo nel volume II secolo senza Roma. Col ridurre il preteso elemento pagano del Rinascimento e gli ardimenti di una concezione immanentistica della vita e valorizzando la spiritualità cattolica nella sua grande corrente tomistica e razionalistica, il Toffanin veniva a correggere le interpretazioni sia del Burckhardt sia dei nostri idealisti capo in testa Giovanni Gentile, e richiamava l'attenzione — non essendo del resto isolato in questa revisione critica—sui non rigidi confini tra Medioevo e Rinascimento. Ma da giudici molto autorevoli gli fu ben presto obiettato che le idee non bastano a dare consistenza alle opere storiche: occorrono prima di tutto i fatti. E oggi le interpretazioni più accreditate dell'Umanesimo e del Rinascimento, del Baron, del Cantimori, del Garin, obbligano a una revisione, anche. . più severa che non sia stata in passato, dei lavori del Toffanin. Ricordo che, tra il serio e lo scherzoso, egli scrisse una volta che, se altro di buono non avesse ricavato dai suoi molti.studi gli sarebbe rimasto il merito di avere ridato il pósto che compete nella storia letteraria a Vincenzo Maggi, il pius Madius, commentatore della poetica di Aristotele. Ben altre e più rilevanti sono le acquisizioni di cui gli andiamo debitori. Anche in òpere delle quali non accettiamo la tesi generale, egli ebbe intuizioni molto acute, e ha lasciato tracce profonde. Al Toffanin si deve, per non dire d'altro, la esplorazione del filone averroista nella nostra cultura dal Medioevo al Rinascimento; e da lui é partita la rivalutazione, giustissima, delle correnti filosofiche e letterarie padovane, che è uno degli eventi rilevanti della nostra storiografia, non soltanto letteraria. Le polemiche intorno al Postar fido vennero studiate, con grande acume e buona documentazione, già nel libro sulla Fine dell'Umanesimo. In Tasso e Ve-, tà che fu sua hanno il rilievo che meritano l'esame della poetica tassiana e la dimostrazione di tutto quello che lega il poèta delia Gerusalemme liberata alla sua età. E non solo questo resta di lui Ma a un'opera almeno va senza riserve il consenso dei lettori anche più esigenti: al giovanile Machiavelli e il tacitismo che, quando è riapparso in nuova veste in anni recenti, non ha dato affatto l'impressione ai vecchi e ai nuovi lettori di essere la ristampa di un libro esaurito, difficilmente reperibile fuori delle biblioteche, bensì di essere un'opera ancora viva e insostituibile. Ettore Bonora