Giocando a Monopoli ci scappa il morto di Giovanni Raboni

Giocando a Monopoli ci scappa il morto La Svizzera di Orelli «con qualche sospetto» Giocando a Monopoli ci scappa il morto Giovanni Orelli IL GIUOCO DEL MONOPOLY Mondadori, Milano 200 pagine, 6500 lire CHE bizzarra, sottile, sconcertante musa è quella dell'ordine e del benessere! Per il viaggiatore che dall'incandescènte pantano della realtà italiana giunga nel piccolo paradiso, nitido e civettuolo, della Svizzera italiana (e da Milano, per esempio, ci vuole poco più di mezz'ora;, c'è davvero da non credere ai propri occhi: tutto funziona, tutto è tranquillo e pulito, tutto trasmette segnali di sicurezza, stabilità, assenza di drammi e conflitti... Ma sarà tutto oro quel che luce? A sentire gli-intellettuali che, in quel piccolo paradiso, ci vivono da protagonisti e non da ospiti (la condizione degli ospiti, si ,sa. è sempre privilegiata, deliziosamente irreale;, si direbbe proprio di no. O meglio, si direbbe che sotto quella superficie, quella patina rassicurante e lievemente soporifera, adattissima a vegliardi e vegliarde d'ogni nazione, ci siano tensioni complicate e minacciose, latenze micidiali, emblematiche deformità. Tanto più se dalla graziosa Lugano, dalla bella Locarno, dall'amabile e austera Bellinzona ci si sposti verso un'altra Svizzera, verso le roccheforti del potere bancario mondiale. Ho scritto «intellettuali» ma pensavo, in realtà, soprattutto agli scrittori. Chi non ricorda — con ammirazione e inquietudine — i racconti e le commedie di Durrenmatt. di Frisch? Obbedendo alla musa dalla cui evocazione ho preso le mosse, questi due importanti autori (tanto importanti da sfatare, se ancora ce ne fosse bisogno, la fortunata banalità cinematografica — ricordate? Orson Welles, II terzo uomo... — che vuole la Svizzera patria di orologi e cioccolatini e di nessun grande artista o pensatore: e Rousseau, allora? e Robert Walser? e Paul Klee?;, hanno raccontato e messo in scena per tutti noi il disvelamento delle trame mortali e dei dissesti psicologici che allignano all'ombra della ricchezza. E l'hanno fatto, spesso e non a caso, utilizzando i meccanismi e l'atmosfera del «giallo», dell'intrigo poliziesco, così congeniali alle società in cui il capitalismo cele-» bra i propri maturi trionfi. Perché in Italia non si scrivono, né si sono mai scritti, dei buoni e credibili libri gialli? Ma perché siamo troppo poveri. E perché non se ne scrivono in..Unione Sovietica, in Cecoslovacchia, nella Germania dell'Est? Ma perché la polizia, là, ha altro da fare che cercare l'assassino della vecchia signora o il mostro dei «Wagons-Lits»... Scherzi a parte, vorrei dire che questo romanzo allegorico-grottesco (e anche un po' poliziesco, per l'appunto; e anche un po' «strutturale» e «combinatorio», con judicio...; del ticinese Giovanni Orelli. già au-' tore di pregevoli prove narrative come L'anno della valanga (1965; e La festa del ringraziamento (1972; e operatore culturale di primo piano nella città in cui vive, che è Lugano, si inserisce assai bene, con autorevole originalità e convincente compiutezza, nella «poetica» che ho sin qui cercato di suggerire. Suo scenario, infatti, è la Svizzera delle grandi banche, delle potenti e misteriose «holding», degli sbalorditivi rifugi antiatomici; e suo tema di fondo è la natura intrinsecamente, inevitabilmente .omicida della lotta per la conquista del potere oligarchico-finanziario — lotta che si svolge, ovviamente, ben al di sopra delle teste dei comuni mortali, della gente qualsiasi, degli emarginati (indigeni o allogeni che siano; — e ha per oggetto, reale e al tempo stesso metafisico, il più antico e incrollabile degli strumenti-feticci della supremazia dell'uomo sull'uomo: il denaro. Inutile dire che questa lotta, oltre che omicida (il racconto ruota, come un autentico «giallo», intorno a un'intuibile catena di soppressioni fisiche;, è anche estremamente esatta, stilizzata, quasi rituale: non è una rissa, è una «partita», con le sue tappe obbligate, i suoi cerimoniali, la sua violenza sublimata in regole ripetitive e straniando. E che cosa, allora, per situarla e descriverla mossa dopo mossa, misfatto dopo mi-, sfatto, poteva prestarsi meglio di un gioco capitalistico, simbolico- e spietato per eccellenza come il «Monopoli»? La grossa «trovata»"di Orelli (ma vorrei che il termine «trovata» non fosse minimamente inteso in un'accezione negativa o limitativa; è dunque.questa: raccontare la sua storia come se si svolgesse, dal principio alla fine, sul tabellone del «Monopoli». Ma siccome Orelli non è un giocatore meccanico, un computer, ma un vero scrit" tore. ed è ricco di cose da dure non solo «contro» un certo tipo di realtà, ma anche «dentro» e su quella realtà, il trattamento di tale trovata è, nel suo libro, estremamente cauto e al tempo stesso inventivo; non si fossilizza mai in schemi più o meno algebrici, ma svaria con efficacia dall'astratto al concreto, dall'impassibilità al furore, dal tono del referto a quello del «pamphlet» satirico-visionario. E il risultato, davvero confortante, è che II giuoco del Monopoly non è (come sarebbe potuto risultare in altre mani; un bel progetto di libro, ma un bel libro in carne e ossa, leggibile a diversi livelli ma sempre con immutabile gusto e profitto. Giovanni Raboni