Lo psicoanalista diviso fra Dioniso e Apollo di Augusto Romano

Lo psicoanalista diviso fra Dioniso e Apollo Le teorie analitiche di James Hillman, allievo di Jung Lo psicoanalista diviso fra Dioniso e Apollo James Hillman IL MITO DELL'ANALISI Adelphi, Milano 379 pagine, 12.000 lire HILLMAN chiama apollinea la mentalità illuminista e positivista (e le sue ascendenze giudaicoprotestanti). fondata sull'idea di progresso, sulla importanza data alla conoscenza, al distacco critico, alla chiarezza obbiettiva: apollineo è insomma l'atteggiamento scientifico, razionalista e volontarista, che è il mito in cui oggi vive l'establishment, culturale dell'Occidente. Quésta mentalità presuppone una antropologia che, espressa in termini psicologici, rinvia a una immagine eroica dell'uomo, il cui compito è quello di allargare sempre più l'area della coscienza, controllando e ordinando la molteplicità innominata dei fenomeni; l'ideale sottostante è quello di un «io» forte, «maschile», distaccato dalla materialità intesa come istintualità o, con le parole di Jung, dal «lato abissale dell'uomo corporeo». Tale atteggiamento è riconoscibile anche nella psieoanalisi e in genere nella psicoterapia, la quale applica un metodo apollineo ad una materia che certo apollinea non è. La stessa parola «analisi» e la nozione di «presa di coscienza» sono, da questo punto di vista, molto rivelatrici:-esse indicano infatti che il rapporto dell'io con l'inconscio si pone come un tentativo di colonizzazione. L'inconscio è in qualche modo l'oscurità o addirittura il male: il viaggio in quella regione è una ricerca nelle zone di confine, da cui tornare alla luce solare della coscienza con un bottino di nuovi materiali psichici da sistemare. L'esperienza del diverso è perciò sempre compiuta in funzione della coscienza, l'emozione è in funzione della riflessione. Anche se oramai traballante, e attaccata da molte parti, questa ùnmagine dell'uomo è ancora prevalente e guida i comportamenti pratici e le scelte dichiarate: in altre parole, noi siamo monoteisti non solo nelle credenze religiose. Sebbene eredi della cultura classica, abbiamo disimparato che i^wiLiinu uioiiopai auu lixc ogni realtà ha il suo dio, che l'immagine più adeguata per descrivere, e legittimare, la varietà defilé esperienze umane è quella di un pantheon di divinità che reggano, dando loro senso, i più diversi moti dell'esistente. La conseguenza di questa situazione è che l'imperialismo apollineo, come ogni imperialismo, genera ribellione e tentativi di sostituire ad esso un imperialismo di segno contrario. Sul piano culturale . la parabola di Nietzsche, che al monoteismo apollineo contrappone un monoteismo dionisiaco, è esemplare e può essere estesa anche a fenomeni sociali oggi allarmanti, quale la diffusione di comportamenti «psicopatici», caratterizzati dalla traduzione degli impulsi in azioni dirette, senza nessuna mediazione simbolica. In questa prospettiva si possono anche leggere le vicende della «sinistra» freudiana e in particolare il pensiero di Norman Brown, cui si è ispirato il movimento del '68 e in genere l'anarchismo giovanile. Hillman oppone all'egemonia apollinea, e ad ogni altra egemonia, un modello non gerarchizzato della psiche; per esso, anziché di un sopra e di un sotto, è più appropriato parlare di policentrismo, di rotazione, di movimenti interiori, di va e vieni dell'energia psichica, dove nessun centro — nessun dio — è privilegiato. Niente di più contrario alla famosa asserzione di Freud, secondo cui l'io deve installarsi là dove dominava l'Es. Perché questo modello possa funzionare, esso deve incarnarsi, vivere nell'esperienza. Un altro dio, un dio rimosso, che nella nostra società e nella nostra psiche ha condotto sinora una vita irregolare ed oscura, nascosto dentro le sofferenze nevrotiche, associato a tutto ciò che viene considerato di qualità inferiore, e in particolare all'inferiorirà femminile, Dioniso, deve essere reintegrato nel posto che gli spetta. La psiche deve di nuovo essere impregnata dall'eros. In una lettera al fratello John Keats scrisse una frase di commovente fervore: « Chiamate, vi prego, il mondo La valle del Fare Anima». Ad essa si riferisce Hillman quando osserva: «La riflessione può fare coscienza, ma oiu»».^ bJ**'XJ / **' • » l'amore fa anima". Anima è parola «umida», cui non si addice il linguaggio della psicologia accademica, che rende sterili le metafore trasformandole in astrazioni. E' parola in certo modo femminile, e Dioniso è il dio delle donne; mettersi sotto il suo segno significa riappropriarsi della fondamentale bisessualità umana. Un . importante capitolo del libro di Hillman è dedicato all'esame psicologico della tesi, che percorre tutta la storia della cultura occidentale, dalla Bibbia a Freud, dell'inferiorità femminile. Sul femminile la coscienza apollinea ha proiettato il male: materia, male, oscurità e donna sono associati. Recuperare il femminile significa recuperare l'esperienza della passività, il senso della creaturalità, l'iniziazione al còrpo, alla vita, all'amore. La coscienza accetta di indebolirsi, poiché la femminizzazione è uno «sciogliersi, un abbandonarsi, un dimenticare». Riferirsi ad Apollo e Dioniso potrebbe sembrare semplicemente un modo fantasioso di parlare. Ma se si riconosce la necessità di limitare lo strapotere del discorso unidimensionale, si ammette anche -che ogni realtà richiede inevitabilmente un suo linguaggio. La realtà dell'anima esige un discorso immaginale, che pesca nell'inesauribile depo¬ f~ --^— « w £ sito dell'inconscio collettivo le forme che le sono proprie. La vita non va spiegata, ma raccontata, come il frammento di un mito che ci trascende ma a cui partecipiamo con le nostre passioni e sofferenze. Il passaggio da un io apollineo ad un io immaginale e dionisiaco non è senza effetti per l'analisi, anzi ne rivoluziona il mito. A proposito del transfert, l'esigenza di non privilegiare il significato rispetto all'esperienza modifica radicalmente la natura del rapporto tra i due soggetti, che si fa molto più coinvolgente. Inoltre, fine primario della terapia non è più quello di guarire nel senso tradizionale, ma piuttosto di accogliere la «malattia», di farla parlare, di farla entrare in risonanza con i contenuti della memoria mitica, di «ingenerare anima attraverso l'amore». La fine (e il fine) dell'analisi coincide con l'accettazione della femminilità e della bisessualità della coscienza. «La psiche va in terapia alla. ricerca di eros... Noi siamo andati in cerca dell'amore per l'anima., Questo è il mito dell'analisi». Il libro di Hillman è affascinante e densissimo. Nel darne conto, ho dovuto per necessità lasciar da parte molti sviluppi di grande interesse, come la discussione sull'isteria, sul masochismo, sul linguaggio psicologico. Ma soprattutto è un libro che porta dentro la pratica analitica un discorso antropologico .che l'analisi ufficiale teme e trascura. I rischi che vi sono connessi appaiono evidenti: giacché doveva recuperare Dioniso, qua e là Hillman sembra dimenticare Apollo, o assumerlo solo come bersaglio polemico". Allievo di Jung, ne radicalizza talune intuizioni e perciò «Il mito dell'analisi» andrebbe letto parallelamente ai libri di Neumann, che di Jung ha sviluppato soprattutto la tematica connessa al mito dell'eroe. Al di là di questo però il lettore troverà un autentico amore per l'anima e una passione che non si vergogna dell'utopia giacché sa che l'utopia spesso è il non ancora nato, il bambino sconosciuto che sta maturando nelle pieghe della storia. Augusto Romano . —^ — Cari Gustav Jung

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