De Amicis sul tram a cavalli di Giovanni Arpino

De Amicis sul tram a cavalli Tornala «Carrozza di tutti» De Amicis sul tram a cavalli Edmondo De Amicis LA CARROZZA DI TUTTI Viglongo, Torino 323 pagine, 14.000 lire DA circa novant'anni questo libro cerca la sua giusta fortuna. Scandito nelle sequenze come il celeberrimo Cuore (che uscì tredici anni prima) fenomenale reportage-romanzo-taccuino-confessione, è uno di quei volumi «tuttotondo» che ha- . stano per la conoscenza caratteristica e storica d'una città, d'un prototipo umano. Se un torinese ancora esiste, si affretti ad acquistarlo. Se un italiano, che sente ancora «li rami» risorgimentali, ha curiosità per Torino ed un certo torinesismo così esemplare, non vi rinunci. V'erano quindici linee tramviarie nella Torino del 1896. De Amicis, da gran giornalista e novellatore, da «voyeur» civilissimo, le esplora per captare stati d'animo, stagioni e volti, comportamenti e scatti umorali. Un capitolo per ogni mese. Una ricerca benevola e trepida, ma anche professionalmente ossessiva, per frugare tra gli aneddoti, per ricavare, da ogni aneddoto, un personaggio, una «figurina», di contadinotta o di signorina, di falegname socialista o di maschera incarnevalata. De Amicis come testimone. De Amicis come cannocchiale e microscopio puntati su una città, su un tessuto umano ed urbano così sfaccettati: dai portici ai «borghi», dai ricchi educati a quelli che già non cedono posto alle signore sul tram a cavalli, dalla tempesta di neve alle comunicande. Altri hanno parlato, e giustamente, d'una serie di «miniature», che "affrescano un'intera città, la tramandano ai nipoti, ai bisnipoti, come un documento unico. ' Altri ancora non hanno taciuto — ed è giusto — su qualche prolissità: ma va capita la smania di tutto abbracciare che doveva aver preso De Amicis, convinto di farsi mite e globale e poliforme padrone di ogni luogo e di ogni faccia. Il tram a cavalli va. L'autore consuma il suo tempo da un capolinea all'altro. Certo si sente fedele alla tradizione esploratrice e romanzesca che i «feuilletonisti» avevano costruito esplorando i «ventri» delle grandi città. iMa l'itinerario deamicisiano ha ben altro mdiri/.zo riposto, ben altro garbo: gli vengono dettati, sia l'indirizzo sia il garbo, da una Torino acquarellata e pur forte. Como ricorda degnamente Giovanni Tc- sio nella prefazione, fu De Amicis a dire: «Ve nell'affetto che gli occhi esprimono e la bocca tace, und dignità che raddoppia il valore... Non potrei più vivere altrove a nessun patto... trovar cento nuovi amici se qui non mi restasse un amico... ». Guai a esplorare queste pagine obbedendo alla nostalgia, a meno che questa non sìa tutta maiuscola. Guai a cedere a vagheggiamenti banali. Perché qui fu vita, e vi è. Bisogna ripercorrerla con coscienza storica e godendo di quell'ammicchio che l'autore sa far palpebrare tra le righe. Novant'anni circa — abbiamo detto — ci separano da questa amplissima, levigata e talora tormentata ricognizione torinese (ma piacerebbe ad un parigino e anche al milanese che nacque dai Navigli, ne siamo più che certi). Se calcoliamo lo spazio percorso, dal tram a cavalli alle metropolitane agli elicotteri al «jet», c'è da barcollare. La fine di «un» mondo "ce la siamo co* struita con le nostre mani, obbedendo certo ad un impulso industriai-tecnologico che non lasciava altri margini e .altri spazi. Ma dal tram a cavalli deamicisiano ai nostri semafori v'è un rosario di colpe, di abusi, di scadimenti umani ed urbani che creano, nel buon lettore, una filosofica crisi di rigetto. Ed è normale, è salutare. Non si pensi ad un romanzo-reportage perbenistico. Già allora De Amicis, esperto di transumananze tramviare. parla dei «villani d'Italia». Già allora, sul tram, si commenta di morti ammazzati nelle lande africane, tenenti e soldati mandati al sacrificio da una politica cieca. Già allora la nobile-cioccolata si mischiava con gli arsenici del vivere quotidiano. Ma in un equilibrio, se non stabile, almeno robusto ed esorcizzante. Poi. dalla «carrozza di tutti», ci hanno sbattuto giù. ed abbiamo cominciato, come si dice oggi, a «perdere l'autobus». Non uno. ma cento, ma mille. Giovanni Arpino

Persone citate: De Amicis, Edmondo De Amicis, Giovanni Tc, Viglongo

Luoghi citati: Como, Italia, Torino