Amarsi in un ghetto di New York di Claudio Gorlier

Amarsi in un ghetto di New York In Baldwin anche il privato è minacciato dal razzismo Amarsi in un ghetto di New York Mark Twain WILSON LO SVITATO Garzanti, Milano XXVIII-194 pagine 2300 lire James Baldwin SE LA STRADA POTESSE PARLARE Rizzoli, Milano 178 pagine, 6500 lire James Baldwin SULLA MIA TESTA Bompiani, Milano 493 pagine, 8500 lire MOLTI problemi cruciali, e molti libri, guadagnano in comprensione quando li si osserva in una prospettiva più ampia. Ecco perché consigliamo ai lettori dei nuovi (e dei meno nuovi) romanzi di James Baldwin di approfittare della nuova edizione italiana di Pudd'nhead Wilson, di Mark Twain, con il titolo Wilson lo svitato (in precedenza, un'altra traduzione si chiamava Wilson lo zuccone,/. Ne vale la pena. A parte le suggestioni di questo Mark Twain apparentemente «minore», dal suo ribaldo equilibrio tra comico, grottesco e tragico alla geniale invenzione di un giallo processuale anticipatrice dei vari Perry Mason, Wilson lo zuccone è una delle rappresentazioni più complesse e laceranti del problema razziale, diciamo pure della sua maledizione. Notate che lo scrittore condivideva molti dei pregiudizi, tipici della sua età, sulla differenza cosiddetta biologica tra bianchi e neri; pure, la storia del nero che si crede a lungo bianco per effetto di uno scambio avvenuto nella culla, e, conosciuta la verità, consuma sino in fondo, con furore, la propria condanna; ha una forza sconvolgente. Ma soprattutto spicca la figura della madre, la schiava Roxy, con la sua «minaccia sovversiva», ha scritto esattamente Henry Nash Smith «alla cultura dominante». S'intende che Jamés Baldwin non può permettersi l'angolatura di Mark Twain, vale a dire di un bianco americano; anzi, egli ha osservato a suo tempo, parlando di. Faulkner, che nessuno scrittore bianco sa spogliarsi del suo paternalismo e trattare coerentemente un personaggio nero, ossia «altro». Quando Baldwin assumeva .questa, perentoria posizione, si usava dire «negro» ('negro, in inglese, o spregiativamentenigger), mentre uno dei modesti risultati della lotta dei diritti civili negli Stati Uniti ha imposto ir termine black, cioè una parola non gravata da un'ipoteca in sostanza discriminante, persino suo malgrado. Ma le contraddizioni e gli interrogativi sull'identità nera tormentano fatalmente gli stessi intellettuali di colore. Pochi mesi or sonò, nelle pagine di American Studies International, un'accesa polemica ha diviso un rispettato accademico nero, Saunders Redding, e un poeta, drammaturgo, saggista militante, Imamu Amiri Baraka (un tempo Le Roi Jones; il nome swahili significa grosso modo «sacerdote, comandante, benedizione»), il quale ultimo ha denunciato il tentativo di castrare la cultura dei neri americani, di integrarla, di fossilizzarla. Baldwin ha sofferto di persona queste contraddizioni scegliendo dapprima la rottura, poi ripudiandola in una requisitoria postuma — e ingenerosa — contro il suo maestro Richard Wright, e infine ripiombando nel dubbio pessimistico, testimoniato da un romanzo pieno di velleitarie simpatie per la nuova sinistra, Dimmi da quanto è partito il treno. Se la strada potesse parlare e Sulla mia testa riflettono diversi livelli e con un significativo crescendo, considerando che il secondo è più recente, i dilemmi di Baldwin, ossia di uno scrittore — va rammentato — destinato a scrivere per un pubblico fondamentalmente bianco, e legato ormai ai grandi canali dell'industria editoriale. Se la strada • potesse parlare è un romanzo d'impianto piuttosto esile, und sorta di Love story dei ghetti newyorchesi, dove il privato idillico e familiare viene posto continuamente in forse e minacciato dalla dura realtà della segregazione strisciante, tuttora oppressiva nelle grandi metropoli. Tish e Fonny, i due giovani protagonisti, lottano in un vuoto angoscioso che rischia di inghiottirli, ma rimangono due stereotipi. Sulla mia testa ci riporta al grosso romanzo totale, caro a Baldwin, e ci rimanda a uno dei suoi modelli preferiti, Henry James. Peraltro, l'ottica di Baldwin rimane aggressivamente soggettiva e torrentizia. Il romanzo contiene un vero e proprio repertorio della tematica di Baldwin: c'è il cantante di blues, profetico e dionisiaco interprete dell'anima popolare nera, c 'è la ragazza nera che cerca uno spazio esistenziale e se lo conquista a un prezzo assai caro, qompresa la violenza carnale ad opera del padre, ci sono viaggi attraverso gli Stati Uniti, fino al Sud, terra della più bieca persecuzione razziale e in Europa, c'è il nero arrivato, fratello del cantante, piccolo, borghese che si avvicina a una lenta presa di coscienza tale da legittimare il suo ruolo di narratore in prima persona. A somiglianza di Un altro uomo, qui Baldwin manovra il doppio registro del «diverso», nero e omosessuale, fino all'esasperazione; del resto, la sua ricerca d'identità ha sempre privilegiato la di^mensione della sessualità, per stare con Norman Brown, polimorfa. E al fondo del viaggio del protagonista si incontra quasi inevitabilr mente la catastrofe: là, per il jazzista Rufus, lo spettacolare suicidio, qui, per Arthur, l'infarto che lo fulmina in un pub di Londra. Nel frattempo lo scrittore conferma le sue antinomie mai risolte, partecipe da un 'lato della condizione di vittima in quanto «altro», e dall'altro di intellettuale americano. che guarda all 'Europa con l'estraneità e la diffidenza di chi è stato culturalmente plasmato dal nuovo mondo che gli impone, appunto, la sottomissione e l'acquie-, scenza. Il Baldwin profeta dei grandi saggi, al quale lo stesso Baraka ammette di aver guardato con simpatia, resta avviluppato in questa rete, mentre il suo grido si smorza nella frenesia di un quotidiano consumato con furore isterico ma senza alcuna concreta via d'uscita. Un ruolo fisso, dunque, che si ritrae di fronte al richiamo di un'identificazione con le . grandi correnti sotterranee della cultura popolare afro-americana, tipico delle nuove generazioni di scrittori neri americani. come Ishmael Reed, per accontentarsi, analogamente al personaggio-narratore, di riferire con amarezza i termini della sconfitta, si chiami accettazione o individualistico rifiuto. Claudio Gorlier

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