Tre stanze per Kafka di Giovanni Raboni

Tre stanze per Kafka // nuovo Pascutto Tre stanze per Kafka Giovanni Pascutto TRE LOCALI PIÙ' SERVIZI Longanesi, Milano, 171 pagine, 6500 lire COME risolvere, su un piano strettamente personale il problema dello spazio abitativo? Mario il protagonista del romanzo di Pascutto con cui s'inaugura la produzione narrativa della rinnovata Longanesi, non ha dubbi in proposito: spaventando a morte l'anziana inquilina dell'appartamento accanto e inducendola così a lasciare liberi i sospiratissimi «tre locali più servizi» che, uniti (mediante semplice abbattimento di un muro) al «monolocale con angolo di cottura» nel quale Mario si sente soffocare, darebbe finalmente uno sfondo decoroso e forse, un nuovo equilibrio al suo pericolante rapporto con la ragazza amata. Resta da vedere, si capisce, quale interpretazione e soprattutto, quale attuazione dare a un enunciato e a un progetto così ricchi di ambiguità e sfumature. «Spaventare a morte» equivale a «provocare la morte»? E. nel caso che la morte tardi a sopravvenire o che comunque, lo spavento non basti a determinare il trasloco, si dovrà procedere manualmente cioè provocare con mezzi meno simbolici il decesso dell'ostinata vecchietta? Mario che è un sognatore e un intellettuale «disorganico» come tutti i personaggi di Pascutto. ed è capace di citare Buchner e Kafka nei momenti più'impensati e meno opportuni, sembra rifiutare, o almeno respingere nel limbo delle ipotesi impronunciabili, l'idea di una soluzione violenta. Crede nella metafora, e di metafora vuole, metaforicamente, uccidere. . E.così immagina e mette in opera un piano assai sofistieato. e secondo lui infallibile, a base dì testi letterari (un «rac- ' conto-verità» inviato al rotocalco di cui la malcapitata signora Òolinda è assidua lettrice), apparizioni volutamente sinistre, acquisti emblematicamente raccapriccianti (un coltello da macellaio fatto recapitare, a bella posta, mentre lui non è in casa, in modo che siala signora Dolinda a ricévere rinvoltò) e altri stratagemmi adeguatamente truculenti e spassosi. Funziona? Non funziona? TI povero Mario non potrà mai verificarlo (e noi con lui) perché con subdola, silenziosa destrezza e sincronia, qualcun altro sì insinua nel suo arzigogolato disegno, se ne appropria e lo realizza a modo suo. vale a dire sostituendo il gesto al simbolo e. naturalmente, facendo sì che la paternità dell'azione (cioè, per chiamare le cose col loro nome la paternità del crimine) ricada sull'autore del progetto. Non dirò come questo accada, né quale epilogo coroni la vicenda: in fondo. Tre locali più cucina è anche in certa misura, un «giallo», e non sarebbe giusto privare il lettore della sua razione di sorpresa. Ciò che vai la pena di chiedersi, invece e fino a che punto Pascutto sia riuscito a salvare, dentro un meccanismo così predeterminato, preciso, ben oliato (o che. perlomeno, si vuole, si prefigge'tale), il «passo» scattante e imprevedibile la bizzarria l'inquietante alonatùra onirica, il miscuglio di comicità e d'angoscia che costituivano il fascino e il piccolo tesoro poetico dei suoi romanzi precedenti. La risposta che mi sento di dare è. tutto sommato, interlocutoria. Ho l'impressione che Pascutto nel tentativo di conciliare l'accattivante funzionalità dell'intreccio con la pungente svagatezza e indolenza della rappresentazione e della scrittura, non abbia spinto fino in fondo ne l'uno né l'altro di questi due pedali e non abbia dunque raggiunto né la tensione grottesco-allucinatoria (alla Hitehcock alla Polanski) suggerite dal «plot», né il pathos lirico-autobiografico al quale ci aveva.sin qui abituati. E qualche sospetto al riguardo, deve averlo avuto anche lui se, a un certo punto, ha sentito il bisogno di far esclamare a Mario: «Sembra un fVm... e neanche tanto originale», evidente tentativo di esorcizzare il tasso di ovvietà e di artificio al quale ha creduto (per autodisciplina, o per volontà di successo) di doversi sottomettere. Per contro, l'altra «anima» del racconto (quella, diciamo Così, dostoevskiana, che traspare da un'annotazione come «La signora Dolinda... aveva ridato un senso aUa sua vita») appare un po' timida, un po' anemica, come se Pascutto si fosse trattenuto e moderato. II. libro, insomma, è-come sospeso a mezz'aria né del ttitto carne né del tutto pésce, vagamente irrisolto sia sul piano dell'«intrattenimento» che su quello della poesia. Ma bisogna pur riconoscere che esso non smentisce affatto le notevoli qualità di immaginazione e di scrittura che più volte abbiamo riscontrato in Pascutto e che fanno di lui uno dei narratori più dotati e singolari (e aggiungerei senza alcuna malizia, visto che ha superato da poco 1 trent'anni, promettenti) della sua generazione. Giovanni Raboni

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