Sicilia autonoma offresi al miglior offerente di Alberto Papuzzi

Sicilia autonoma offresi al miglior offerente Ricostruite le manovre degli indipendentisti isolani Sicilia autonoma offresi al miglior offerente Giuseppe Carlo Marino STORIA DEL SEPARATISMO SICILIANO Editori Riuniti, Roma 308 pagine, 7800 lire l'N copertina una fotografia di pupi siciliani (firmata da Enzo Sellerio): corazze, elmi, spade di latta luccicano tra i fili dei burattini. Si scende in un pezzo di Sicilia antica, baronale e teatrale, dove alla ribalta si combattono finte gesta mentre rimane nell'ombra chi manovrala recita. Eccola questa Sicilia gattopardesca. La vicenda rievocata da Giuseppe Carlo Marino in Storia del separatismo siciliano si svolge tra l'estate 1943 e il febbraio 1947. cioè tra l'invasione alleata nell'isola e la crisi dei governi di unità nazionale. E' una vicenda avventurosa in cui s'intrecciano esaltazioni ideologiche e interessi di notabili, retorica e machiavellismo, politica e banditismo, come in un giallo di Leonardo Sciascia. Si parte da un manifesto che nel luglio 1943 le truppe alleate incontrano sulla strada verso Palermo: «La Sicilia vuole organizzarsi governarsi e vivere separatamente, da sé. Il nuovo Stato libero e indipendente di Sicilia deve sorgere e sorgerà perché questa è l'indefettibile volontà del popolo...». Comincia allora una singolare battaglia politica at-' traverso la costituzione del Movimento per l'indipendenza della Sicilia, cui fanno capo le posizioni più varie: antifascismo autonomista, socialismo anarchico, economismo liberale, e soprattutto il rifiuto dell'idea^ dello Stato. Incapace di raccogliere un consenso popolare al di là delle prime confuse ventate, espressione praticamente di una sola classe — la borghesia degli intellettuali ma anche degli agrari — diviso da acuti contrasti interni e coinvolto in un pesante gio¬ co di intrallazzi, il Movimento per l'indipendenza siciliana ha vita breve fin dall'inizio: sopravvive al proprio fallimento soprattutto come ricatto degli agrari e dei notabili nei confronti dello Stato e come arma di pressione sulla nascente Democrazia cristiana. In questo contesto va visto il formarsi di un esercito separatista, affidato tra gli altri a Salvatore Giuliano, che non supererà mai i 400-500 uomini armati. La curiosità del lettore è attratta in particolare dai protagonisti della vicenda: personaggi in cui sembra di ritrovare i caratteri tipici del gioco polìtico. L'autore ha potuto ricostruire anche le storie individuali nei minimi dettagli, avendo avuto accesso per primo ai materiali finora inediti dell'archivio di Finocchiaro Aprile, leader del Movimen to. Animatore dell'idea indipenderttistica,,grande retore e oratore, diplomatico un po' rozzo ma capace di avvilenti trasformismi, Finocchiaro Aprile, pur di tenere accesa la fiammella del separatismo, si rende disponibile per ogni alleanza, dalle sinistre aUa mafia. Offre la Sicilia ora agli americani ora a Churchill. Scrive a Eleonora Roosevelt: «Saremmo lieti e orgogliosi se la Sicilia potesse essere la longa manus degli Stati Uniti in Europa...». A Churchill: «E' nostro desi- derio che l'Isola svolga la sua vita futura nell'orbita delle alleanze puramente inglesi, sistema da noi preferito». Nei proclami sbandiera l'idea repubblicana, e contemporaneamente avvia trattative con Umberto di Savoia per ricostituire il Regno delle Due Sicilie. Nei suoi documenti si vagheggia anche di un regno dell'Africa settentrionale; armeggia per ottenere una rappresentanza della Sicilia alle Nazioni Unite. Conduce la sua battaglia 'nell'illusione di essere il burattinaio, di poter giocare su più tavoli, di poter usare i baroni e gli idealisti: spiazzato dalla De, alla fine subisce anche il confino, ritrovandosi solo, sopravvissuto al suo movimento, un vecchio radicale ottocentesco. Accanto a lui, ecco Antonio Canepa, il puro, il rivoluzionario, il «rosso», «passato dalla mistica fascista alla . mistica anàrco-socialista». che muore con due studenti, durante un trasporto d'armi, in una sparatoria coi carabinieri. Ecco Antonio Varvaro, il più realista, il più politico, diffidente così della retorica di Finocchiaro Aprile come delle esaltazioni e dei fanatismi di Canepa; protagonista di una scissione nel Movimento per l'indipendenza, sceglierà la militanza nel Partito comunista. E, infine, i veri burattinai: i baroni e gli agrari, che utilizzano il separatismo per ottenere favori, privilegi, protezioni dallo Stato e dalla De. Tra essi, don Calogero Vizzini, consigliere occulto di Finocchiaro Aprile, ombradelia mafia, «un piede nel separatismo un piede nella De». E il barone La Motta, il più acceso propugnatore delle bande armate: è lui a chiamare Salvatore Giuliano a capo dell'esercito separatista. S'inizia allora per il «re ■ di Montelepre» la triste carriera di mercenario degli agrari, fino al massacro di Portella delle Ginestre. Alberto Papuzzi