Tutta la città diventa scena

Tutta la città diventa scena Tutta la città diventa scena T RA i grandi secoli. il Settecento evoca tuttora, a Venezia, qualcosa di profondo e di familiare: è spesso presente nei discorsi dei veneziani, come confronto naturale o come riferimento d'eccezione. Si dice àncora mobili del Settecento, ambienti del Settecento, teatro del Settecento, civiltà del Settecento, donne del Settecento... con una sorta di intima e ricorrente nostalgia, di raffinatezza perduta. Raro che ci si riferisca, ad esempio, al Trecento o all'Ottocento: l'uno, ormai, troppo lontano e probabilmente troppo austero: l'altro, vicino ma con poco umore. Questa «presenza» del Settecento, tuttora, a Venezia, trova radice dappertutto, cresce su un terreno naturale dove le cause si confondono con gli effetti... Forse è per via del Goldoni, mime di casa, che continua a rappresentarsi senza tregua: forse per via di quel Casanova che torna a inquietarci, con le sue diverse facce, da libri e da film; forse per via degli intramontabili Canaletto e Guardi, che fissano le ultime immagini della repubblica «libera», note e. care a tutti, disponibili fin nei mercatini rionali: forse per le grandi feste popolari, tuttora cosi largamente sentite, che ci riportano al tempo di prima degli austriaci e degli italiani: per la libertà allora strappata o concessa o sognata, per il libertinaggio vero o presunto... insomma per tutto il grande e complesso fascino del secolo dei lumi, che ebbe a Venezia particolari espressioni anche popolari, e per le varie diversità-analogie col nostro secolo. Forse è soprattutto per via del Carnevale: il Settecento evoca, più d'ogni altra immagine, quella lunga, incredibile festa dei ricchi e dei poveri, internazionale e stracittadina, da cui era corsa e percorsa l'intera Serenissima, e non solo tra Capodanno e Quaresima. Perché la «presenza», oggi, del Settecento è rievocata qui — quasi impersonata —soprattutto dal Carnevale? In altri termini: perché è ancora così sentito il Carnevale a Venezia? A Venezia, durante il Carnevale, ricomparivano secondo il racconto di Voltaire nel suo meraviglioso Candide, tutti i monarchi della terra, da quelli della Turchia a quelli di Gran Bretagna, di Russia, di Polonia... e con loro le persone credute morte: tutti in maschera. Certo comparivano qui i monarchi veri, in carne e ossa, da ogni parte del mondo, e insieme avventurieri e artisti, cortigiani e marinai, attori e mercanti..che si mescolavano in piena libertà tra loro e coi cittadini, coi popolani e con le duchesse... Al di là del racconto di Voltaire e del suo significato, la festa in maschera qui, come si usava e si usa, è certo un «costume» dalle molte facce: pratica di gioia con effetti liberatori e produttivi, ma anche volontà di nascondimento, di rimozione e di rivelazione: dove ognuno si illude di non avere padroni quando ha la maschera — la famosa «bautta» — sul volto, dove le età si confondono e i desideri si appagano, o almeno si trasformano e si spengono. Di più: il Carnevale e le sue feste si svolge- vano quasi tutte all'esterno, ora spontanee e ora istituzionalizzate, tra campi, calli e ponti, fin nei canali e nelle grandi piazze acquee lungo le infinite rive della città-laguna. li Carnevale è dunque uno dei tanti modi di riappropriazione della città, in ogni suo spazio, dagli androni dei palazzi ai campielli dei poveri, da parte di tutti, con distinzioni tra gli strati sociali sempre più ridotte, spesso sema più differenze di strato o di nazione, di lingua, di sesso, di religione. Già la casa veneziana in confronto al palazzo fiorentino è uno spazio aperto, largamente godibile, in una città ricca e senza fazioni, e Venezia intera è per sua natura tutta una scena: nel Carnevale avviene un nuovo uso di questa scena. L'intera città diventa, soprattutto, la scena del desiderio. Ed è questo die sentiamo ancora oggi: il «riuso» dell'antica scena che miracolosamente sussiste tuttora, in pieno mondo cosiddetto moderno, in piena «civiltà» delle macchine. Riuso dell'antico-presente, nel desiderio mai spento di essere noi stessi «diversi», almeno per un poco, che però «tornerà»: di diventare altre persone dal solito, con le antiche e nuove maschere sul volto. Resterà qualcosa, dopo la festa, della riaffermata «diversità»? Non lo sappiamo; niente, si dice, va perduto e comunque vale la pena di provare. Certo è riconoscibile, è in atto anche oggi, in una complessa società urbana come quella di Venezia, una specie, di grande lezione.-o almeno una sicura indicazione, sulla possibile «riappropriazione della città» da parte dell'uomo. La città vissuta e quindi amata dai suoi abitanti, -Za possibilità di incontro e anche di fuga, lo spirito collettivo accanto al privato, la festa che vìnce sulla tragedia: senza perdere i nervi, possibilmente, e la Voglia di lavorare, con un po' dì gioia perfino di sentirsi a! mondo. Tutto questo è tra i valori più autentici d'un lungo passato civile, e andava recuperato in un nuovo sforzo di immaginazione e realizzazione, nonostante il perdurare dei drammi, a Venezia, di oggi e di sempre, nonostante l'«acqua alta» e le difficoltà economiclie, le maree e i dissesti edilizi... — coinè andrebbe recuperato in ogni altra città che voglia essere umana. Per questo il lancio fatto quest'anno da parte della Biennale, con rinnovata energia, di una intensa serie di manifestazioni nel classico periodo di carnevale ha incontrato così largo favore popolare. Si tratta della «Biennale-Teatro» che prevede dal 14 al 19 febbraio tre-quattro spettacoli al giorno in sei diversi teatri, della «Biennale-Musica», degli «Incontri-Maschera e Travestimento», inframmezzati da azioni sceniche nei «campi» del centro storico, die culmineranno la sera del martedì grasso, quando da tutti i teatrìattori e pubblico confluiranno nella grande festa in piazza S. Marco.-promossa dal Comune. Il quale a sua volta annuncia una «Vogada de Càrneval», una grande manifestazione remiera in Canal Grande, la «Giornata della Maschera», la «Giornata della Commedia dell'Arte»... semplicemente coordinando nejgli orari i programmi di gruppi spontanei, disposti anche a fare da sé, senza aiuti: che mi pare, nel nostro paese, una bella testimonianza di vitalità. Il «personaggio folla» sta per irrompere nuovamente a Venezia, in vari modi, con isuoi mille volti, tra le sale e le colonne, i vecchi ponti e le rive: mette conto di tornare a vederlo, e magari di viverci insieme. Paolo Barbaro

Persone citate: Canal, Casanova, Guardi, Paolo Barbaro, Quaresima