Sopravviveremo alle sfide del nuovo medioevo?

Sopravviveremo alle sfide del nuovo medioevo? Roberto Vacca discute le tesi apocalittiche del filosofo Deshusses Sopravviveremo alle sfide del nuovo medioevo? TORINO — L'uguaglianza, la giustizia, il bene e il bello — visti come scopi prossimi che la nostra società dovrebbe raggiungere — sono proprio quelli che ci potevamo attendere da un filosofo ginevrino. Questi è Jerome Deshusses. autore di Délivrez Prométhée (Liberate Prometeo): un libro di 400 pagine in cui descrive i rischi attualmente corsi dall'umanità e gli ostacoli che incontriamo per raggiungere quei fini. Prometeo è il simbolo della verità e della liberazione degli uomini. Deshusses fornisce liste dettagliate di catastrofi imminenti, di mali e di altre situazioni negative particolari. Le catastrofi sono (nell'ordine) l'inquinamento, la ìguerra e l'esplosione demografica. I mali sarebbero: la menzogna, il furto e l'assassinio. Altre situazioni negative sono: l'economia motivata dal profitto (che razionalizza il furto), la monotonia monopolistica dell'amore entro la coppia che rovina i figli e non rimedia al male più grave — quello della disuguaglianza delle condizioni di partenza fra gli uomini. Perché queste minacce non sono state eliminate? Perché non si è trovato rimedio a queste situazioni negative? Potrebbero riuscirci gli Stati (cioè i governi), le grandi industrie, i ricercatori scientifica o. infine, il popolo. Nessuno di questi gruppi, però, sta facendo niente di serio. Deshusses vorrebbe farci sperare in un miglioramento radicale della società, in una nuova utopia che sta per sorgere. Non è molto chiaro che cosa dovremmo fare per avere, subito l'utopia. Abolire le automobili. Abolire la pubblicità (che serve solo a scambiare informazioni false, proprio come fa.il cancro in biologia). Abolire l'espansione economica. Queste sono alcune delle esigenze che Deshusses avanza per prime, usando toni mistici. E' venuto ad esporle a voce a Torino in un dibattito, pubblico al Club Turati sul tema: Dobbiamo cambiare la nostra vita o attendere di esservi costretti? Fra i partecipanti al dibattito c'erano: Aurelio Peccei (presidente del Club di Roma). Giorgio Bert, Thomas McKeown e J. Carpentiér (tre medici sociali). V. Bettini (ecologo) ed io. Deshusses ha illustrato le sue tesi con il linguaggio pretenzioso tipico di certi saggisti francofoni. Sfondava porte aperte: «Il vero viene per eliminazione del falso». Faceva giochetti di parole: «La società di eguali è in competizione con la società degli ego». «Il mondo è ambidestro fra i mi-itanti dun della squadriglia egualitaria e i mi'itan puri del'o squadrone legalitario-. Questi manierismi irritanti non sono colpe gravi. E' colpa più grave trattare questioni vitali insieme — o dopo — altre questioni marginali. Di questa colpa negli ultimi anni Si sono macchiati parecchi di quelli che parlano dei nuovi stili di vita. All'inizio degli Anni Settanta T. Roszak (La crescita di una controcultura. Feltrinelli 1971) e C. Reich (La nuova America. Rizzoli. 1972) sostenevano di voler combattere l'alienazione, la violenza e la guerra. Poi la liberazione che descrivevano era fatta di frasi trite («essere sempre se stessi») o di prescrizioni folcloristiche (come quella di portare pantaloni molto larghi alla caviglia). In tempi più recenti, il sociologo norvegese John Galtung ha fatto tentativi impasticciati di definire che cosa sia l'ipersviluppo. Ha usato statistiche distribuite a chiazze sulle società dei paesi avanzati ed ha cercato di individuare i mali peggiori, che sarebbero: il cancro prodotto dall'industria, le malattie circolatorie di chi mangia troppo, i disturbi mentali e gli inquinamenti. Galtung, propone di rimediare a tutto fondando cooperative e comuni, anche se i dettagli restano nel vago. Io la penso abbastanza diversamente. Ci sono cose — attività — che attualmente non fanno parte della vita di (quasi) nessuno e che. invece, dovrebbero far parte della vita di tutti. Quasi nessuno, ad esempio, sta lottando per il disarmo nucleare. Lo faceva tanti anni fa Bertrand Russell con la sua grande autorità; la sua grande mente e il suo grande cuore" — e non è servito a niente. Nessuno ricorda nemmeno più il simbolo del movimento per mettere al bando le bombe atomiche. E. intanto, da allora il pericolo è diventato molto più grave. Una ventina d'anni fa solo poche nazioni avrebbero potuto essere distrutte dalle bombe atomiche. Oggi potrebbero essere distrutte tutte dalle bombe all'idrogeno. Questa minaccia — che potrebbe uccidere tutto il genere umano —è sicuramente da mettere al primo posto. Io credo che dovremmo tutti cambiare la nostra vita in modo da dedicare un po' di tempo e di sforzi a lottare per il disarmo nucleare. Sarebbe ragionevole. Se lo facessimo tutti —in tutto il mondo, potremmo anche ottenerlo questo disarmo. Al secondo posto metterei il rischio di una carestia gravissima. Ci sono al mondo più di 800 milioni di persone in condizioni di alimentazione marginale —e grosso modo sono tutti analfabeti. A parte i conflitti — armati o no — basterebbero due o tre anni di stagioni cattive per ucciderne decine e forse centinaia di milioni. Si potrebbe quasi sostenere che le cose sono andate troppo avanti e che le carestie sterminatrici nel Terzo Mondo non potranno essere evitate. Non possiamo esserne sicuri, però. Quindi dovremmo, di nuovo, cambiare la nostra vita e dedicarne una parte a cercare di risolvere questo problema. Non c'è da fare elemosine: le frazioni minime del prodotto nazionale incanalate verso gli aiuti internazionali non fanno male, ma non risolvono il problema. Per risolverlo ci vogliono idee nuove: concepite, trasmesse, insegnate.» confrontate con la realtà. C'è un'associazione non governativa, la Society for International Development don 6000 membri in tutto il mondo, che ha trasferito recentemente il suo quartier generale da Washington a Roma. La sezione italiana si chiama Associazione Italiana per lo Sviluppo Internazionale ed ha circa 200 membri. Io ne sono il presidente e so bene che non riusciamo a fare molto. Se la sezione italiana avesse un milione di membri e quella internazionale ne avesse 30 milioni, verrebbero fuori più idee e più azioni buone. Ma. per avere questo, qualche milione di persone dovrebbe cambiare — un po' — la propria vita. Questo della fame per mancanza di risorse alimentari e per eccesso di popolazione è'il ben noto argomento di Malthus. Duecento anni fa non ha descritto la realtà. Potrebbe descriverla in modo accurato e tragico in questa fine di secolo. Oltre al dilemma malthusiano della fame, c'è il secondo dilemma malthusiano della proliferazione della complessità. Anche se le risorse naturali (agricole e minerali) non si esauriscono, corriamo ugualmente il ri¬ schio di morire per disorganizzazione. La società moderna e i grandi sistemi che la tengono in vita possono diventare troppo grossi e complessi fino a risultare ingovernabili. Questa è la mia ipotesi di un medioevo prossimo venturo, che potrebbe colpire soprattutto l'emisfero Nord del pianeta. Per evitare quest'altro pericolo che ci attende, forse, tra uno o due decenni, dobbiamo avere sistemisti, pianificatori e decisori molto più bravi di quelli attuali. Io sostengo che sarà impossibile formarli, se insieme non si innalza in modo drammatico il livello culturale di tutta la società. E questo vorrebbe dire cambiare — in meglio — le abitudini e la vita di qualche miliardo di persone. „ Dovremmo cambiare la nostra vita, dunque, per evitare la guerra, la carestia, il caos organizzativo. Rispetto a queste tre grosse necessità, scompaiono del tutto i cambiamenti marginali e di interesse individuale e privato. Sono fatti privati i rapporti amorosi all'interno della coppia. Né risolveremo nessun problema importante ad esempio mettendoci a fumare la marijuana. Anzi: per avere qualche aiuto a risolverli dovremmo, magari, abbandonare tabacco e alcol. Ma ci sono risposte più realistiche e concrete alla domanda: «Vogliamo cambiare vita — o aspettiamo di esserci costretti?». Anzitutto dobbiamo decidere a chi sia rivolta la domanda. Io dico che ha senso solo se è rivolta a tutti: in tutto il mondo. Allora si vede subito che la risposta è negativa per quel miliardo di persone che si trovano in condizioni di istruzione e di alimentazione minime e marginali. Non sanno quasi niente e non hanno nessuna risorsa. Non possono cambiare niente, dunque. Non saprebbero in che modo cambiare e non possono farlo perché non hanno scelte. Cominceranno a poter scegliere quando sapranno di .più. Ma per insegnare a un miliardo di persone, ci vogliono mezzi imponenti. Il governo dell'India, con l'aiuto di quello americano, ha messo in orbita il satellite Site che trasmette programmi educativi direttamente ai televisori dei più remoti villaggi indiani. Poi. però, hanno speso quasi tutto il denaro che avevano per gli apparati spaziali e per quelli elettronici — e non ci sono più soldi per realizzare i programmi educativi da trasmettere. Per fare le cose meglio, c'è bisogno, quindi, di aiuti ben meditati e ben progettati dei Paesi industrializzati e più ricchi. Ma non si può sostenere certo che in questi Paesi tutti ne sappiano abba¬ stanza, cioè conoscano il mondo in modo adeguato. Anche dove sa leggere e scrivere il 99,9% della popolazione, questo non serve, se poi solo pochi leggono e scrivono effettivamente. Io dico che nei Paesi avanzati non esiste una vera opinione (pubblica su questioni vitali. Non esiste, anzitutto, sulle tre minacce più gravi — guerra, carestia e caos per eccesso di complessità. L'opinione pubblica è assente perché le conoscenze non-sono diffuse e disponibili a tutti —mentre dovrebbero esserlo. Si fa un gran parlare di valori — in astratto. Poi i governanti si divorziano dal mondo, pronunciano discorsi astratti e virgolettati e, quando gestiscono radio e televisione favoriscono balletti, barzellette e notiziole: mai la diffusione di conoscenze. Qualcuno mi obietterà: «Afa ci sono quelli che cambiano vita! Gli ecologi, i verdi i conservazionisti vanno in bicicletta, combattono le centrali elettronucleari, tor.nano alla natura'.». Io rispondo: «Anzitutto sono pochi — troppo pochi per incidere sulle medie. Poi sono poco informati. Spesso sono incoerenti. Amano la natura a parole, ma non la conoscono affatto. Vogliono una società a basso contenuto di energia, ma sprecano elettricità e surriscaldano le loro case. Danno più importanza a quello che mangiano che a quello che pensano. Credono che semplificare il mondo contemporaneo sia facile — e. invece è dannatamente difficile». Per aumentare la stabilità e le possibilità di sopravvivenza del mondo e dei suoi abitanti, i cambiamenti non devono essere casuali. Devono essere saggi — meditati, n cambiamento vero di cui c'è bisogno non è, quindi, solo un cambiamento di vita. Per cambiare in meglio dobbiamo prima aumentare le nostre conoscenze. Questo vale non soltanto per poche migliaia di specialisti, di decisori o di capi. Vale per tutti. La risposta conclusiva, quindi, è: «Se continuiamo ad essere tanto ignoranti, saremo costretti dal caso a cambiare la nostra vita in modi imprevisti e probabilmente sgradevoli e, magari, a perderla. Se vogliamo cambiare vita, possiamo migliorare molto lo stato nostro e quello di tanti nostri simili. Però non basta deciderlo: bisogna imparare, conoscere, comprendere. Quando centinaia di milioni di uomini e donne raggiungeranno conoscenza e comprensione molto maggiore , dell'attuale, allora l'uguaglianza delle opportunità sarà molto più vicina è il mondo sarà un luogo migliore». Roberto Vacca

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