Il valzer di Cecco Beppe

Il valzer di Cecco Beppe Monumentale biografia di Herre sull'imperatore d'Austria Il valzer di Cecco Beppe Franz Herre FRANCESCO GIUSEPPE Rizzoli, Milano 483 pagine, 14.000 lire PER generazioni d'italiani —7 dalla Prima Guerra d'Indipendenza alla Prima Guerra Mondiale — sua maestà apostolica Francesco Giuseppe I, imperatore d'Austria e re d'Ungheria e di altri regni, fu semplicemente Cecco Beppe, l'odiato nemico che le folle studentesche, alla fine del secolo scorso, maledicevano nel loro ritornello cadenzato «Morte a Franz, Viva Oberdan», colui che il poeta della Laudi definiva «l'angelicato impiccatore, l'angelo della forca sempiterna». Vero è che il suo lunghissimo regno, iniziato a 18 anni e finito a 86, fu costellato d'impiccagioni e, nei possedimenti d'Italia e d'Ungheria, allignarono più forche che alberi nel parco teresiano di Schónbrunn. Ma quanto può valere, a 64 anni dalla sua morte, la visione manichea degli italiani che scorgevano in lui, nei suoi fanti croati dai baffi di capecchio, soltanto il simbolo del male, della tirannia, contrapposto al patriottismo dei popoli oppressi? E' un giudizio unilaterale, che di fronte alla storia ha lo stesso valore di quello opposto, nato tra gli ultimi decenni del XIX secolo e i due primi del XX, di un Francesco Giuseppe sovrano modello, padre dei suoi popoli, di sangue diverso, ma uniti dallo stesso amoroso rispetto per un capo venerando, che col suo meticoloso lavoro quotidiano, durato assai più di un mezzo secolo, aveva saputo tenere in piedi, in un'Europa sconvolta dai nazionalismi, uno Stato composto di sudditi di razzie differenti, dalle molte lingue e dalle molte religioni, obbedienti al vegliardo che, dalla Hofburg di Vienna, malgrado le tragedie familiari che 10 a ve vano, tra vagliato, dedicava ogni ora della lunga giornata al benessere dei suoi popoli, pur così spesso inquieti e ribelli. La grande letteratura austriaca fiorita in c*uegli anni, dal decadentismo di Hoff.manstahl fino alla memorabile stagione narrativa di Roth, di Musil, di Werfel, contribuì potentemente alla costruzione della leggendaria figura del monarca saggio, dagli occhi cerulei, amico della pace, curvo dall'alba fino alla notte sulla scrivania da cui dirigeva le sorti del grande impero che aveva 11 cervello a Vienna, la nuova Vienna dei Ring, costruita da lui, il cuore a Budapest, e estendeva i suoi confini dalle Alpi Tirolesi ai Balcani, dal móndo slavo dell'Est alle terre italiane per lingua e cultura, dalle soglie[del militarista Reich germanico, rifondato dalla Prussia, fino a quelle del moribondo sultanato ottomano. Così forte fu l'eredità letteraria di quegli scrittori, scomparsi contemporaneamente all'impero ch'essi seppero trasformare in poetica leggenda, ritmata dai valzer dj Strauss, da ispirare ancora oggi tardivi nostalgici di un mondo asburgico che fqrse esistette in realtà solo in quelle pagine e che di fatto non fu che la storia di un progressivo inarrestabile sfacelo, la vana lotta, condotta da una perfetta macchina burocratica, per contrapporre la tradizione alla marcia del progresso e delle . indipendenze nazionali. Tra l'impiccatore di .Oberdan e di Battisti e il sovrano paterno e illuminato erede di Giuseppe H, oggi, a tanti decenni dalla ,sua morte, la storia è chiamata a stabilire il ritratto reale, sfatando sia l'immagine del carnefice di patrioti, che quella del monarca romantico, alla ricerca della verità su un lungo regno che, occupando la seconda metà di un secolo e i primi sedici anni del successivo, sostenne, o forse meglio subì, una parte decisiva nella costruzione del mondo in cui tuttora viviamo. A scolpire, a tutto tondo, il ritratto veritiero di. Francesco Giuseppe si è impegnato con documentata obiettività e felice scioltezza di stile, uno storico viennese, ricco anche di esperienze giornalistiche, Franz Herre, di cui Rizzoli pubblica oggi, in attenta traduzione, la ponderosa biografia di colui che fu per i suoi popoli, l'amassero o l'odiassero, il Kaiser und Kónig, l'Imperatore e il Re, il sovrano bicipite come l'aquila dello stemma, simbolo ufficiale dello Stato, quando questo si trasformerà in monarchia austro-ungarica e diventerà sempre meno germanico e più plurinazionale. Destinato fin dalla prima adolescenza a succedere sul trono asburgico allo zio Ferdinando, psicopatico fino all'imbecillità, fu educato con rigidità militare per quel compito, e affidato dalla madre,- l'arciduchessa Sofia, che lo dominerà per tutta l'esistenza, perché lo istruisse alla politica, al maggior diplomatico del tempo, il principe di Mettermeli. Salito al potere troppo presto, a 18 anni, dopo la rivoluzione viennese, la guerra coi Piemontesi, la sollevazione magiara, Francesco Giuseppe inaugurò la lunga serie di errori che contraddistingueranno il suo regno Chiamando in aiuto lo Zar di Russia per domare gli Ungheresi ribelli: pagherà definitivamente quell'errore del 1849 nel 1914, quando la Russia, proseguendo la marcia verso Occidente, iniziata allora, gli solleverà contro gli slavi del Sud che, ucciso in un attentato l'Arciduca Ereditario, accenderanno la miccia della conflagrazione mondiale che distruggerà insieme l'impero degli Asburgo e quello dei Romanov. Impossibile seguire la curva fatale della finis Austriae disegnata magistralmente da Herre : ci limiteremo a osservare con lui che Francesco Giuseppe, incapace sia come capo militare che politico, ebbe la disgrazia di avere come avversari successivamente i due maggiori diplomatici della seconda metà del secolo, Camillo di Cavour e Otto von Bismarck.. Tappe del cammino verso la fine dell'impero millenario degli Asburgo furono Solferino (San Martino l'A. non lo nomina neppure) e là disfatta di Kòniggratz (Sadowa per i Francesi e gli Italiani per cui- il nome tedesco suona impronunciabile). La seconda sconfitta segnò la definitiva' uscita dell'Austria dalla Confederazione Germanica che la Prussia andava dominando, fino a trasformarla nel proprio impero, dopo Sedan. Altra disgrazia,'familiare questa, per Francesco Giuseppe fu l'alleanza col sangue malato dei Wittelsbach, da cui derivò l'instabilità esistenziale e coniugale della consorte Elisabetta, vittima innocente del pugnale di Luccheni, e la follia latente che condusse il figlio Rodolfo all'omicidio di Mary Vetsera e al suicidio, dramma d'amore che nascondeva forse un insanabile contrasto politico col padre. Nulla fu risparmiato al longevo imperatore, né la fucilazione del fratello Massimiliano, che per megalomane irrequietudine wittelsbachiana, aveva accettato l'effimero trono del Messico, né l'uccisione dell'erede d'accatto, Francesco Ferdinando, assassinato dai nazionalisti serbi; «In due modi Francesco Giuseppe ha infinitamente nuociuto all'Austria — dirà un ex primo ministro austriaco, - von Koerber. — prima con la sua giovinezza, poi con la vecchiaia». L'analisi di questi irreparabili danni viene condotta con acume e attenzione da Herre, in questo saggio biografico che si legge con la piacevolezza di un'opera narrativa. Senza voler peccare di nazionalismo, dobbiamo tuttavia rilevare che l'A., pur così, documentato, dimostra una radicata antipatia per gli Italiani, mosso forse da disprezzo per le loro qualità militari che giudica scarse: non si ...nomina la partecipazione delle truppe piemontesi alla guerra di Crimea, e tanto meno l'intervento di Cavour al Congresso di Parigi, che pose la questione italiana tra i grandi problemi europei; abbiamo già detto dell'omissione della battaglia? di S. Martino, pur ammettendo che 5500 piemontesi sono morti a fianco dei francesi. Quanto ai tre sovrani di Ca-, sa Savoia che si succedettero in quei decenni, da Carlo Alberto a Umberto I, li classifica sbrigativamente «arrivisti». . Vorremmo dilungarci di più nell'esame di questa monumentale biografia, saggio vasto e completo sull'Europa danubiana dalla caduta di Napoleone alla fine dell'Austria imperiale, ma dobbiamo limitarci a concludere che il,, giudizio finale dello Herre ci sembra sia che Francesco Giuseppe non fu né l'impiccatore spietato (immagine che l'A. non adombra neppure) quale lo videro gli Italiani, né il paterno sovrano modello dipinto dai romanzieri austriaci della belle epoque, ma il burocratico e minuzioso dirigente di un'azienda antichissima che la storia aveva ormai condannato a un irrevocabile fallimento. Guido Artom