Cronaca di « crudeliati» nella Roma del Trecento

Cronaca di « crudeliati» nella Roma del Trecento Cronaca di « crudeliati» nella Roma del Trecento Anonimo romano CRONICA Adelphi, Milano pagine XVI-850, lire 50.000 L9 ANONIMO romano che nella seconda metà del Trecento si accinse a redigere una cronaca di eventi recenti in Italia e in Europa, particolarmente nella sua città, si guardava intorno con mente pensosa e critica, e si diceva come Tito Livio: «Mentre che sto occupato a scrivere queste cose, so' remoto e non veggo le crudelitati le quali per tan. ti tiempi la nostra citate hao vedute»., così «mentre che prenne diletto in questa opera, sto remoto e non sento la guerra e li affanni li quali curro per lo paese». Scriveva per consolazione, ricercando le gesta del passato ch'erano grandi, ma ahimè, dal 1327. anno con cui dà principio alla narrazione, al 1353. quando la chiude al ventisettesimo capitolo, cosa trova sulla sua strada e ci viene raccontando? La cacciata da Roma del senatore Giacomo Savelli, la sconfitta del principe della Morea a Castel Sant'Angelo, un antipapa, una cometa e una carestia in Lombardia, la cacciata da Firenze del Duca d'Atene, un diluvio e piena d'acqua a Roma, un terzetto di tenagliati. impiccati e decollati, peste e moria nel mondo intero, terremoti in Italia, assedio, distruzione e decollamenti dei Perugini, lapidazioni a Roma, guerre nelle Marche e in Emilia, commedia e tragedia di Cola di Rienzo... Probabilmente sono queste le consolazioni di ogni storico e la colpa non è loro se tutto il mondo è paese e ogni tempo è presente. Ma qui, in queste duecento pagine, l'accumularsi delle atrocità, miserie, sventure è tale da stordire anche il vivente dei nostri Anni Ottanta. Nulla, pure nel riflesso stilistico, dell'olimpica calma dell'invocato modello liviano, o anche della pacatezza mercantile del contemporaneo Villani. Se mai, il sadismo di Tacito, anche nella laconicità dell'espressione spezzata ed ellittica: «Tutto die duraro la vaitaglia. Granne suono fao. Quarantaquattro centinaia de uomini fuorò occisi, senza li affocati in fiume o nelli gorgi della neve»; oppure: «Questa fame fu per tutto lo munno generale. Grande era la pecunia che se numerava per poca de annona avere. Molta iente manicava li cavoli cuotti senza pane. La povera iente manicava li cardi cuotti collo sale el'érva porcina». E così via, in un'alternanza di classicismo ben studiato e crudezza popolaresca, un'intensa rappresentazione visiva, piena di colori e vesti e ornamenti, notazioni sugli abiti, sulla moda (per esempio della barba), squarci cittadini e ritratti a tutto tondo, digressioni aristoteliche, un ricordo preciso e quelle zone di mistero che fanno la suggestione anche degli affreschi più elaborati. Finché si giunge alla parte finale, agli ultimi due o tre capitoli, in cui viene consumata la vicenda incredibile di Cola di Rienzo. Lì la cronaca dell'Anonimo ha il suo gran finale. Pagine che condensano inconsciamente il ritratto del popolo e del suo demagogo, un alternamente grande e vano, abile e ingenuo tribuno, di cui le storie di Livio e di Sallustio sono piene di esempi, qui come concentrati, sì che davvero «omo trovarao alcuna cosa la quale se revederao avenire in simile». E' tutto uno snodarsi di notazioni lapidarie, acute: Roma che piapge a sentirlo concionare, il suo regno di Bengodi, la sua orazione davanti all'imperatore in Praga, il carcere in Avignone in compa-: gnia dei classici antichi, il gran promettere, i sogni esaltati, i trionfi romani e un grande amore per il popolo, e com'era cambiato e come fu giustiziato, e la conclusione: «Omo era corno tutti li aitri, temeva dello morire». Questa la parte del resto più nota della Cronica, quella che già circolava prima della nuova edizione critica completa che ora ci dà Giuseppe Porta in un eccezionale volume pieno di apparati, varianti, nòte, indici, scarse informazioni storiche e glossario poco generoso agli ignari lettori d'un impasto romanesco sulle prime abbastanza arduo. Si può capire come un testo simile, scomparso, allora, ricomparso nel Cinquecento e poi via via stampato in misura soprattutto parziale incontrasse il teutone Gregorovius, il visionario D'Annunzio e i filologi puri, a cui non lascia ormai più molto spàzio il lavoro esaustivo del Porta; Carlo Carena // testo dell'Anonimo, sull'ascesa e la fine di Cola di Rienzo Cola di Rienzo in due incisioni del '500

Persone citate: Avignone, Carlo Carena, D'annunzio, Giacomo Savelli, Morea, Tacito, Tito Livio