Dal '68 un torrente di poesia

Dal '68 un torrente di poesia ' * Fra discussioni e polemiche l'antologia di Antonio Porta sugli Anni Settanta Dal '68 un torrente di poesia LE antologie di poesia — si dice — continuano a essere oggetto di discussione critica, di promozione da parte dei loro editori, di autopromozione dei loro autóri, di invettiva (o di lamento) da • parte degli esclusi. Si è appena spento il clamore dedicato per un intero anno ai mondadoriahi" Poeti italiani del Novecento' a cura di Pier Vincenzo Mengaldo, e già si affaccia alla ribalta della discussione una nuova antologia: la Poesia degli Anni Settanta a cura e con Introduzione e note di Antonio Porta, e con una Prefazione di Enzo Siciliano, appena edita da Feltrinelli (647 pagine, 10.000 lire). Prima di parlarne bisognerà intenderci brevemente sul termine di «antologia», suggerendo, in proposito, almeno due proposizioni un po' estremistiche ma chiarificatrici: quella del florilegio-che, a botta fredda e con strumentazioni storico-critiche rigorose e assodate, aspira a fare il punto su una materia abbastanza vasta di anni (o di decenni); e quella dell'antologia di proposta, di lavoro, quando non di gruppo o di lotta, il cui fine è molto più di promuovere una certa azione o tendenza poetico-letteraria, che non di sistemare, diciamo così, museograf icàmente una certa materia, fatta in base al senso interpretativo o al sapere critico del suo autore. Pur con le dovute cautele e parziali sovrapposizioni che possono risultare fra l'un genere e l'altro, la Poesia degli Anni Settanta di cui ora parliamo, appartiene ben più al secondo che al primo. E', insomma, un libro i cui pregi si risolvono più che in una tendenziale aspirazione all'oggettivismo, nell'esplicito prevalervi del soggettivismo del suo autore o curatore, su una materia tuttora in vivace ebollizione. Del resto lo stesso Porta nella sua «introduzione» pone subito l'accento più sul libro d'autore, scritto, sia pure per mano di altri, in prima persona, che sul bilancio volutamente equilibrato e storicamente maturato. Va da sé — vi dice — che: «... un'antologia è prima di tutto un fatto personale...»: cosa che, per lui, si riassume intanto nell'aver scelto come anno d'inizio il fatidico '68 con tutto quello che di mitologico si lega a tale data nella cultura non solo letteraria della sinistra, e nell'opzione per un'«esigenza antiautoritaria, che richiede una verifica dei testi al di fuori di ogni valore attribuito ai singoli autori e un operare su un piano orizsontale, paritario, dunque indicare percorsi in direzioni diverse piuttosto che scegliere e discriminare...». Va da sé che Porta, adottando questa prospettiva volutamente non direttiva e «di base», in verità sceglie e discrimina allegramente, facendo esclusióni che, a nostro parere, non parrebbero accettabili da parte di un antologista che volesse tendere veramente a offrire l'obbiettività di uno strumento di diacronia critica, del tutto esauriente sull'argomento (si pensi all'esclusione di opere poetiche perfettamente inserite nel decennio '68-78 considerato dal suo libro, come le più recenti di Vigolo, o Gatto, o de Libero, o Bigongiari, o Bassano o Maria Luisa Spazia- ni, o Margherita Guidacci, o Ramat, o Bandini, o Berardinelli, per dirne solo alcune). In cambio, il libro prende forza e vigore soggettivistico proprio dal partire polemicamente dalla sua data iniziale, ponendo in essa una tensióne mitologica tutta particolare in favore dell'«immaginazione», della «dialogicità», della «carnevalizzazione» del discorso poetico, in cui paiono meglio evolversi e fiorire sincronicamente il politico e il privato della poesia, il senso di una parola che agisca stravolgendo schemi pratici o ideologici che le pervengono dalla pur prossima tradizione e che, specie in alcuni più giovani, si ricarica di un senso del collettivo o del simbolico in cui risolve (o sublima?) il personale dello scrivente. Così, anno per anno, in successione dal '68 al '78, -e con una finale e bene aperta appendice sui lavori in corso di poeti di diverse generazioni «Verso gli Anni Ottanta», il libro ci offre non tanto un'antologia, quanto una serie di percorsi molto personali d'autore, acuti e rivelatori, dentro a una fitta e vitale materia poetica che qui si sta, in verità, dissodando per una futura antologia, entro la quale il curatore coinvolge giustamente anche se stesso come scrittore di versi, e ponendo anehe sé nel suo frullatore ermeneutico-critico quanto e più degli altri. Il libro trascura in modo marcato l'area di derivazione ermetica e puristico-novecentesca, senza la quale non sarebbero neppur concepibili le operazioni neosimboliste e neofavolistiche di alcuni poeti giovanissimi che, molto opportunamente. Porta mette in risalto nella parte terminale della sua parabola. In cambio pone ben dinamicamente e attivamente a confronto i maggiori rappresentanti dell'aureo «maihstream» della nostra poesia del decennio — da Palazzeschi, a Montale, a Solmi, a Betocchi, a Penna, a Bertolucci, a Sinisgalli, a Luzi, a Sereni, a Caproni per dirne alcuni — col lavoro ormai similmente consolidato e perfettamente emerso di poeti un po' più giovani, come Fortini, Pasolini, Zanzotto, Risi, Giudici, Cattafi, Orelli, Erba, Sanguineti, Amelia Rosselli e lo stesso Porta, che sono perfettamente in marcia per raccogliere (e modificare) l'eredità dei predecessori. Ma c'è di più, che il dinamico sincronismo di Porta, come controparte di certe esclusioni, permette l'emersione di presenze opportunamente rilevate in aree poetiche più vicine al suo odierno inclusivismo : da quelle di ambito più sperimentale e neosperimentale, o di poesia ironica e grottesca, o urbana e metropolitana, o femminista, o psicologica è psicanalitica, che indicheremo qui, molto sommariamente, nei nomi di Cacciatore e Dal Fabbro, di Testori e di Ramella Bagneri, di Roversi e di Rossana Ombres, di Pagliarani e di Majorino, di Ottieri e di Peregalli, di Pignotti e di Tiziano Rossi, e certo di altri, per esempio negli incantevoli «nonsense» di Toti Scialoia o di Giulia Niccolai. Mentre, ugualmente, il libro si affaccia generosamente sul lavoro dei più giovani, che al di là di una moda festivaliera che sembra a volte blandir- ne le punte più caduche e esibizioniste, mostrano già qualità e dimensioni linguistiche ben riconoscibili, per lo meno nel lavoro di Vassalli e Orengo, diZeichen e di Bellezza, di Cucchi e di De Angelis, di Viviani e di Cagnone, di Scalise e di Conte. E, certo, ve n'è altri.. Resterebbe da chiedersi se la dimensione sessantottesca (magari oggi un po' delusa e refoulée) che sta alla base del libro di Porta, e che emerge dalla sua Introduzione e dalle note spesso penetranti e molto personali da lui dedicate agli 85 antologizzati, sia da cogliersi parimenti in positivo. O se, invece, il '68 non sia, ad esempio, la sublimazione utopica di un vuoto della «Real-politik» che, come suggerisce con pertinenza Siciliano nella sua pur discordante Prefazione, ha lasciato emergere: «...il terrorismo, la guerriglia urbana, i riti mortuali delle droghe pesanti e una cecità politica, da parte della maggioranza che detiene la responsabilità della cosa pubblica, sempre più alimentatrice di malessere, di sgomento...». Ma su questo, dissentendo amichevolmente sia da Siciliano che da Porta sulle loro oppóste posizioni, ci vorremmo domandare se il percorso infine metaforico e simbolico del linguaggio poetico vada poi così di pari passo con quello tanto più cieco, bolso, sordo, pragmatico della cronaca politica. O se, per concludere, non esistano, fra l'uno e l'altro percorso, rapporti più mediati, distanti, discordanti, di cui il critico e l'antologista debba infine tener conto. Marco Forti

Luoghi citati: Bassano, Montale, Vigolo