Kabul, l'altro volto dell'Islam

Kabul, l'altro volto dell'Islam Uno sguardo alla cultura nella tormentata storia dell'Afghanistan Kabul, l'altro volto dell'Islam Gli avvenimenti di Kabul, con l'invasione delle truppe sovietiche, hanno portato bruscamente l'Afghanistan alla ribalta internazionale. Sull'Islam e la cultura afghana abbiamo chiesto un intervento al professor Alessandro Bausani, ordinario di islamistica all'Università di Roma e autore di numerosi saggi. Egli consiglia anche alcuni testi utili per capire la tormentata storia dell'Afghanistan. IL concetto di Afghanistan come unità politico-statale è relativamente recente. Prima della formazione del regno afghano (agli inizi del XX secolo) si parlava di letteratura Pashto e di letteratura persiana. Da circa il 1940, dopo un lungo predominio del persiano come unica lingua di cultura, le lingue ufficiali dello Stato afghano sono due: il Pashto, lingua di ceppo iranico-orientale, molto diverso dal persiano, e il persiano nella forma fonetica e morfosintassica orientale o centro-asiatica, identico, salvo lievi divergenze, a quello che si parla nel Tagikistan e nell'Asia Centrale sovietica e similissimo anche al persiano dell'Iran, ma che gli afghani preferiscono chiamare Darì anziché Pam riservando quest'ultimo termine al persiano dell'Iran, e quello di Tagico al persiano dell'Asia Centrale soviètica. La tendenza attuale dell'elite afghana è quella di considerare nazionalisticamente afghane tutte le produzioni letterarie persiane composte da autori nati nell'ambito degli attuali confini dell'Afghanistan, e anche tutto quanto è scritto in Pashto, anche fuori dei confini dello Stato afghano, cioè nel Pakistan, dove si trovano più di 4.000.000 di parlanti Pashto e alcuni importanti centri della cultura Pashto o Pathan, primo fra i quali Peshawar. Anche se qualcuno potrà — con buone ragioni — criticare tale scelta culturale, essa era fatale una volta ► creato uno Stato unitario afghano: è un processo di più o meno artificiale integrazione prodottosi del resto, in epoche più antiche, nella stessa nostra zona culturale europea per formare quelle astratte nazioni moderne che disgraziatamente sono oggi anche troppo concrete. Va poi detto che anche le tribù di Pathan che formano la nazione afghana (in senso stretto) sono spesso dilaniate da inimicizie tradizionali fra clan e clan. Così, per non fare che un esempio di attualità; il clan dei Durrani, cui apparteneva la dinastia regnante sino al 1973 (e anche quel Dauud Khan che la detronizzò) aveva una secolare inimicizia con la tribù Ghilzay cui appartenevano Taraki e Amin... Qual è il ruolo dell'Islam in Afghanistan? Va subito detto che l'Islam afghano è molto diverso culturalmente da quello iraniano. Innanzitutto si tratta di Islam in gran maggioranza di tipo sunnita non sciita come in Iran. Dato che l'Iran divenne sciita di fatto nel XVI Secolo, chi abbia visitato "4'Afghanistan di qualche decennio fa aveva l'impressione di trovarsi in un Iran «antico» e devo dire, almeno per quanto mi riguarda, che l'impressione era piuttosto positiva, malgrado l'innegabile maggiore arretratezza tecnica degli afghani. Il sunnismo afghano implica intanto una relativamente minore importanza dei Mullà (corrispondenti agli Ayatollah sciiti) che influenzavano quasi soltanto le masse ignoranti e non, come in Iran, anche in parte certe pèrsone colte. La storia dell'Islam afghano è ricca di personalità interessanti: basti pensare all'antico eretico del 500 Bayazid Ansari detto dai suoi seguaci il Maestro Luminoso che riteneva di aver avuto una rivelazione divina e diceva che Dio poteva rivelarsi anche nella lingua nazionale Pashto. E un gran poeta-filosofo dell'India musulmana (l'Afghanistan ha sempre gravitato, dopo la sciitizzazione dell'Iran, verso l'India-Pakistan da una parte e l'Asia Centrale dall'altra) Mirza Bedil (1644-1721) è diventato quasi il maestro spirituale dell'Afghanistan: nell'università di Kabul esiste persino una cattedra specifica di Bedilistica! E' però interessante che questo Bedil, per esempio, di gran interèsse filosofico e che sembra quasi un antesignano dell'attualismo gentiliano fu interpretato anche nel senso di un monismo materialistico e gode tutt'ora di grande fama nelle zone islamiche dell'Unione Sovietica. Questo ci porta a dire che, a diversità dell'elite scettica semiatea e piuttosto corrotta di Teheran dell'epoca dello Scià, l'elite afghana mostrò spesso notevoli componenti culturali genericamente etico-religiose e spésso progressiste. -t Non va dimenticato che il primo grande modernizzatore dell'Afghanistan fu proprio un re, il sovrano Amanullah, che regnò dal 1919 al 1929 combattendo nel 1919 con successo contro gli inglesi che a quell'epoca erano «gli americani» di ora in Asia... Egli, con le sue innovazioni rivoluzionarie e forse premature (equiparazione delle donne agli uomini,, abolizione del velo ecc.) si inimicò i retrivi Mullà. Gli inglesi ne profittarono per sobillare o favorire una rivolta che cacciò il re, il quale poi visse a lungo in Italia. Insomma una élite innovatrice che magari paternallsticamente mira,ad imporre dall'alto una mentalità moderna e laica non è una novità nell'Afghanistan. Io personalmente fui, molti anni fa, in lunghe relazioni di amicizia con un «pezzo grosso» dell'epoca di Amanullah, ora scomparso, tipico afghano che conosceva solo il persiano di Kabul, sebbene avesse girato come esule mezzo mondo, tradizionale nel modo di vita eppure moderno e laico nelle idee: mi diceva addirittura che sarebbe, stato anche favorevole alla Repubblica, se fosse stato possibile. Si tratta insomma di una specie di illuminismo settecentesco che è particolarmente facile a nascere nelle élites sunnite. E' la parte più radicale di queste élites che ha preso il potere col colpo di Stato del 1973. Quello che ne è seguito non è molto chiaro nemmeno àgli esperti. Vi entrano certo almeno due elementi. Uno sono le gelosie interne sia di partito (il Partito Democratico del Popolo Afgano sembra dividersi ;n due fazioni, il Khalq più estremista e il Parcham. in qualche modo più moderato) sia tribali e di razza (ripeto che in Afghanistan convivono Pathan. Tagichi e Uzbeki, oltre a comunità minori). L'altro elemento sono le ovvie influenze straniere. Infatti mentre lo sciismo iranico non ha collegamenti con Paesi estranei (salvo il grosso nucleo di sciiti in Iraq) la vittoria di un integralismo sunnita in Afghanistan significherebbe collegamenti con l'integralismo sunnita del Pakistan e anche con quello saudita e altri, ingrosserebbe e rafforzerebbe probabilmente il grande fronte «di destra» arabo-islamico e, per di più, essendo più di venti milioni di musulmani dell'Asia Centrale sovietica molto legati culturalmente a quelli afghani, rappresenterebbe un grave pericolo, anche politico, per l'Urss. Per concludere vorrei consigliare a coloro che si interessano della questione afghana di leggere i numerosi e forse ai più ignoti testi in lingua italiana sull'argomento, a cominciare dal più antico ma sempre utile volume di E. Caspani e E. Cagnacci, Afghanistan, crocevia dell'Asia (Vallardi, Milano, 1951), sino al volume dedicato all'Afghanistan dalla rivista «Il Veltro» della Dante Alighieri (XVL 5-6, ottobre-dicembre 1972) e al recente informatissimo volumetto storico-politico di G. Vercellin, Afghanistan 1973-1978: dalla Repubblica presidenziale alla Repubblica democratica (Venezia, Quaderni del seminario di Iranistica dell'Università, 4, 1979). Alessandro Bausani