Cocteau: un poeta alla macchina da presa

Cocteau: un poeta alla macchina da presa Cocteau: un poeta alla macchina da presa Jean Cocteau DEL CINEMA Il Formichiere, Milano 165 pagine, 6000 lire CHE senso ha raccogliere in volume una serie di prefazioni, scritti e appunti sul cinema che la morte impedi all'autore di ordinare? L'ambizione di Cocteau a fuggire dalla banalità del quotidiano e il suo narcisistico impegno a volgarizzare il surrealismo oggi sembrano tagliati fuori dall'evoluzione della cultura. Nel cinema poi, arte giovane, che marcia in fretta e non ha mai troppo tempo per la riflessione, le sue posizioni si direbbero antiquate. Invece questa pubblicazione curata da André Bernard e Claude Gauter riserva parecchie sorprese. A partire dalla prima riga dove si coglie il fastidio dell'intellettuale («Sono assolutamente contro gli spettacoli popolari») subito contraddetto con teatralità nella riga successiva: «... perché ritengo che tutti i buoni spettacoli siano popolari». Per Cocteau il regista ha il compito di costruire una tavola solida, non di farla ballare: «Un ebanista non saprebbe essere uno spiritista e viceversa». Solo la dose d'amore che l'autore ha impresso nella sua opera riuscirà ad agire sugli spettatori. La scrittura elegante di Cocteau riversa sul cinema una serie di riconoscimenti e definizioni singolari. Il cinema sarebbe, un'affascinante stella morta il cui palpito arriva agli uomini molto tempo dopo che essa l'ha emanato; pensare alla gioia di Mozart se avesse potuto registrare i titoli di testa del Flauto magico; un'ambizione remota — scrivere del disegno e disegnare della scrittura — si esprime nel film come connubio di queste due alternative. Jean Cocteau si attacca a ogni appiglio per parlare con trasporto del cinema e del proprio cinema. Non si definisce un cineasta ma «un poeta che usa la macchina da presa come un veicolo adatto a permettere a tutti di sognare insieme uno stesso sogno, il sogno sognato da svegli, il più vero del vero, del quale si vedrà un giorno che fu il segno distintivo della nostra epoca». Squarci barocchi, volute ingenuità, stile sostenuto fanno di tali appunti una lettura sempre interessante. Non è questo tuttavia il pregio più sicuro dell'antologia. L'originalità di Cocteau come regista e soprattutto come frequentatore di cinema consiste nella sua capacità profetica e nella sua concezione ascetica. Prima della «nouvelle vague» si batte per il cinema d'autore auspicando «che la cinepresa diventi una stilografica e che ognuno possa tradurre la propria anima nello stile visuale». Sono parole del '48 che solo negli Anni Cinquanta gli Astruc, Chabrol, Godard e Truffaut faranno proprie sulle colonne dei «Cahiers du Cinema» e nelle loro prime regìe (Le rideau cramoisi, Les cousins, A'' bout de soufflé). , Così Cocteau chiede che i'~ mecenati favoriscano i cattivi affari («,.. certi cattivi affari») e che si dia spaziosi rivoluzionario 16 mm. Scomoda persino Talleyrand — «Il tradimento è una questione di date» — per sostenere la bella inattualità dei capola-» vori, anche dei suoi: Il sangue d'un poeta che si appone al surrealismo, La Bella e la Bestia che capita in pieno neorealismo, l'Orfeo che viene prima di Orfeu negro. Piero Perona

Luoghi citati: Milano