Vargas Llosa e lo scribacchino di Mario Vargas Llosa
Vargas Llosa e lo scribacchino Vargas Llosa e lo scribacchino Mario Vargas Llosa LA ZIA JULIA E LO SCRIBACCHINO Trad. di Angelo Morino Einaudi, Torino 329 pagine, 10.000 lire SE Vargas Llosa non avesse composto tutto un libro, assai felice, su Gustave Flaubert, La orgia perpetua (1975), oltre a quello, più celebre, fonte di numerose polemiche, su Garcia Marquez, non sarebbe stato così evidente che il modello di questo La zia Julia e lo. scribacchino, è L'educazione sentimentale dello scrittore francese e più genericamente il modello frequentatissimo del «Bildùngs-roman». Ma questa semplice e quasi ovvia constatazione ne reca altre due che tanto ovvie non sono: primo, che scrivendo una vicenda sostanzialmente autobiografica, Vargas Llosa ha sagacemente parodizzato il modello, contrapponendo alla sua incerta crescita come scrittore la fama straripante d'un mestierante dell'invenzione romanzesca, il corposo personaggio di Fedro Camacho, fabbricante instancabile di storie passionali e truculente per Radio Lima; secondo, d'aver basato il lato propriamente «sentimentale» della vicenda su una trasgressione della famiglia borghese-tipo perù- vianà attraverso i suoi amori e il rocambolesco matrimonio finale con la zia Julia, parente, divorziata e di parecchi anni più grande di lui, Mario o Marito, non ancora maggiorenne. Già con Pantaleone e le visitatrici Vargas Llosa ci aveva offerto, oltre che un saggio della sua vocazione umoristica, il rovesciamento parodico del romanzo della selva, come dimostra Francesco Tarquini in uno studio ingegnoso che vedrà la luce nel primo numero della rivista Letterature d'America. Qui l'autore peruviano insiste nella impostazione parodica, che, profusamente disseminata di fatti, situazioni, personaggi e ambienti svariati, ha prodotto un romanzo di assai divertente lettura. Al centro, le ragioni della scrittura o della professione dello scrittore: che sono certo le ragioni del protagonista, ma che nascono, in contrappunto, sulle narrazioni dello •scribacchino» Camacho, poiché i racconti a suspence, tecnica perfetta da. feuilleton, che occupano i capitoli pari del libro, rappresentano un magazzino di' desideri repressi o di amori respinti dello scrittore Mario, il quale di quella materia grezza è anche lui impastato. Le ragioni della scrittura, ho detto. Dunque, un romanzo sul modo di fare romanzo; dunque, ancora una volta, un esempio — non del tutto convincente, perché un po' trasandato e diluito — di metaromanzo. Partendo da una impostazione vagamente simile, Calvino ha fatto cose molto più egregie, non a caso allargando il discorso sulla scrittura alle sue ragioni speculari, quelle della lettura. Di recente il giovane critico peruviano Lopez Soria — che sta svolgendo seri studi su Lukasc, da cui sicuramen¬ te ha tratto molta scienza é un pizzico di pedanteria — ha voluto distinguere, nella carriera brillante di Vargas Llosa, un pre e un post: lo scrittore de La città e i cani, de La casa verde e di Conversazione nella Cattedrale, da quello di Pantaleone e de La zia Julia. Ha scritto: «Nei personaggi del primo Vargas Llosa, fino a Conversazione nella Cattedrale inclusa, vi è adeguamento tra la vita e l'etica. L'etica, in quanto forma della vita, nasce dalla vita stessa, la modella senza sopprimere nulla della sua freschezza originaria. Ma già in Pantaleone e ancor più ne La zia Julia l'etica dei personaggi è qualcosa che viene da fuori, che s'impone loro come forma, come una sorta d'imperativo categorico che rende smunta la vita. Si tratta in entrambi i casi dell'etica dell'obbligo derivata dalla professione, il che non è altro che una forma dell'etica borghese, attribuita, tuttavia, a tipi umani che non appartengono pienamente a questa classe». . La citazione non dà abbastanza idea del discorso arti¬ colato e motivato di Lopez Soria il quale imputa giustamente all'eccessivo «professionalismo» di Vargas Llosa i motivi della sua supposta involuzione. In verità, questo scrittore è senza dubbio il più dotato, culturalmente e tecnicamente, di tutti i narratori ispanoamericani dell'ultima o della penultima leva. Ma sarebbe schematico oltre che arbitrario non riconoscergli ancora capacità polemiche e critiche nei riguardi della società che fa da sfondo vivo ai suoi romanzi. Qualche settimana fa la stampa peruviana si è scatenata contro di lui perché in una intervista aveva dichiarato che nei quartieri poveri di Lima i bambini contendono il cibo ai cani. L'ottusità dei benpensanti, militario civili, del Perù, che già aveva reso celebre Vargas Llosa bruciando La città e i cani nella pubblica piazza, continua a offrire elementi di riflessione al nostro scrittore: a lui il compito di trovare lettori al di là della cortina oscurantista tesa dai cadaveri viventi dei suoi censori. Dario Puccini
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