Gabriele ti supplico scrivi per noi di Luigi Albertini
Gabriele ti supplico scrivi per noi II carteggio D'Annunzio-OjefWdall'amicizia alla rottura Gabriele ti supplico scrivi per noi VENTISETTE febbraio 1926. Ojetti ha accettato di dirigere il Corriere della Sera, non senza un interiore travaglio legato alla stretta amicizia con Luigi Albertini: doveva tutto ad Albertini che quattro mesi prima era stato allontanato, anzi cacciato dalla proprietà e dalla direzione del giornale, con un singolare innesto fra pressioni politiche e cavilli giuridici, ritmato dalle minacce di Farinacci alternate agli accorgimenti legali. La rottura fra i due vecchi amici è ormai completa. Ojetti, che è nato socialista, che ha condiviso le speranze e i sogni della democrazia avanzata di fine secolo è approdato al fascismo, ma un fascismo in chiave nazionalistica e alto-borghese, non senza pieghe e riserve inconfessate o rattenute. E' l'uomo adatto per attuare una fascistizzazione felpata e indolore del Corriere della Sera. Piero Croci è stato direttore quasi interinale, una soluzione professionale identificata nel vecchio e stimato corrispondente da Parigi. I Crespi sono alla ricerca di un alibi verso la cultura non ancora fascistizzata e verso i ceti borghesi che assicurano al Corriere una piattaforma di copie sufficienti a conservare l'abisso con il dirimpettaio Popolo d'Italia, il quotidiano di Mussolini che non uscirà dal ghetto di una tiratura limitata e comunque sostenuta dall'esterno. E Ojetti è l'uomo adatto: quasi provvidenziale (dell'ingratitudine della proprietà si accorgerà un anno e mezzo dopo, destituito dalla direzione mentre celebra Foscolo a Zante). Ojetti non è ancora seduto alla scrivania di Albertini che già chiede un articolo a Gabriele d'Annunzio. La «rottura» col giornale di via Solferino risale agli inizi del 1919, allorché la diversità di visione politica con Albertini diventa antitesi e il poeta affida «pezzi esplosivi» al quotidiano mussoliniano. Sette anni do¬ po Ojetti tenta il recupero della firma prestigiosa, quasi a voler rinnovare i fasti delle Canzoni d'oltremare e delle Laudi. Tentativo fallito, che si protrae per l'intero periodo di direzione e sembra destinato al successo solo nel novembre 1927, quando il Comandante effettua un discreto ma eloquente sondaggio per conoscere «quali condizioni regali» era in grado di offrirgli' il Corriere in vista della ripresa di una regolare collaborazione, resasi necessaria per gli alti costi delle «pietre del Vittoriale e delle voraci mae¬ stranze». Ma ormai è troppo tardi. Sono gli anni del consolidarsi del regime, ma i due protagonisti sembrano non accorgersene. Complesso e singolare l'atteggiamento di Ojetti davanti al fascismo, quale risulta dal volume ancora in bozze di Cosimo Ceccuti, Carteggio d'Annunzio-Ometti (1894-1937) che io stesso ho voluto e raccolto nella mia collana «Quaderni di storia» della casa Le Monnier, quasi a integrazione dei mirabili e non cUmenticabili studi di Nino Valeri, legati alle origini stesse della collana. Ceccuti non è alle prime prove con Ojetti. Ha già curato con Marcello Vannucci un'antologia di scritti, Immagini nelle parole. Ugo Ojetti per l'editore Longanesi. Ma qui lo scavo filologico è più importante e più illuminante. Si tratta di quasi quattrocento inediti dovuti alla gentile concessione del nipote, cioè del figlio di Paola Ojetti. Storia di un mondo, di un'epoca. Attraverso la scelta di brani, dal momento epico della guerra al clima della vittoria cosiddetta «mutilata», appare con estrema chiarezza il graduale disimpegno di d'Annunzio dalla lotta politica non meno del variegato e sinuoso avvicinamento di Ojetti al fascismo. La prima lettera — ed è detto tutto, per lo stile di quegli anni — è firmata «Gabriel». Giovanni Spadolini ,ɧÌfl
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