Fellini, il cinema nasce dai fantasmi

Fellini, il cinema nasce dai fantasmi II regista ha appena finito «La città delle donne»: un ritratto di Georges Simenon Fellini, il cinema nasce dai fantasmi QUALCHE anno fa — nel 1959, credo, ma non ne sono sicuro, perché non ricordo mai nomi e date* — ho finito per arrendermi alle insistenze degli organizzatori del Festival di Cannes e ho accettato la carica di presidente della giuria. Una delle figure che mi sono restate maggiormente impresse nella memoria è quella di Fellini, che incontravo sulla Croisette quasi quotidianamente; talora anche più di una volta in un giorno. Appariva ai miei occhi come una sorta di gigante bonaccione placido, ma dovevo accorgermi ben presto che era invece un uomo tormentato dai suoi fantasmi, con i nervi a fior di pelle. Presentava quell'anno un film intitolato La dolce vita, che mi entusiasmò immediatamente. Ricordo un pranzo con i più importanti distributori francesi e stranieri, la vigilia della votazione conclusiva: parlavano tutti della Dolce vita con sprezzo arrogante, e uno di loro, ricordo, dichiarò con imperturbabile sicumera dell'uomo d'affari che non avrebbe certo sborsato cinquantamila dollari per la distribuzione d'un film come quello. Ciononostante La dolce vita ottenne il Grand Prix. Ma, santo Dio, quanto ho dovuto lottare! Meno male che faceva parte della giuria anche l'amico Henry Miller, che mi spalleggiò fino all'ultimo. La discussione si protrasse per ore e ore, aspra per non dire tempestosa. E alla fine, però, Miller ed io riuscimmo a spuntarla. Sappiamo tutti quale accoglienza il pubblico di tutto il mondo ha riservato a La dolce vita. Un altro aneddoto ha favorito la nascita della mia amicizia, ma sarebbe più esatto dire della mia fratellanza, con Fellini. Sempre anni fa, lessi una lunga intervista accordata a un settimanale parigino, dove tra l'altro Fellini rievocava alcuni ricordi d'infanzia. Uno^ di questi in particolare mi' colpì: bambino, era affacciato a una finestra di casa sua a Rimini mentre sulla piazza antistante alzavano il tendone di un circo. Inutile dire che fin dalle prime rappresentazioni il piccolo Fellini trovò modo di infilarsi nel circo e di assistere allo spettacolo, di cui non riusciva a saziarsi. Sono sicuro che nel momento che concedeva l'intervista ed evocava immagini che gli si erano impresse prof ondamente nell'intimo, Fellini non pensava ad Amarcord. Solo quattro o cinque anni più tardi, se la memoria non mi inganna, ne fece uno dei più bei film che siano mai stati girati Sono convinto che nel corso di questi quattro o cinque anni Fellini non ha mai pensato coscientemente a realizzare un film con queste immagini del passato. Lo perseguitavano, certo, ma nel chiuso del subcosciente, senza che ne emergesse l'intenzione di utilizzarle. Pure, Amarcord è nato. Con ogni probabilità la maggior parte dei film di Fellini, per non dire tutti, ha avuto questa matrice d'immagini liete o traumatizzanti risalenti ai primi anni dell'infanzia o all'adolescenza: Fellini, infatti, non «fa» del cinema. Il suo cinema nasce dal fondo della memoria e da problemi che ha vissuto. Ed è forse per questo che egli resta unico nel mondo del cinema: un mondo che possiede regole, tecniche, tendenze tutte peculiari e che di solito nasce, anziché dall'inconscio, dall'intelligenza dei registi, quando non invece da calcolate ricette suggerite dall'esperienza. Ho parlato sopra di fraternità. Dipende dal fatto che nemmeno io mi lascio guidare dall'intelligenza (la mia mi sembra tra l'altro inesorabilmente media), ma da forze istintive che sfuggono al mio controllo. Quando scrivevo romanzi, cominciando il primo capitolo non sapevo assolutamente cosa sarebbe successo dopo, ma sapevo che, quali che fossero gli avvenimenti, sarei stato nel giusto. Non sono presuntuoso al punto di paragonarmi a un Fellini, del quale non posseggo la genialità: ma abbiamo, in comune elementi sufficienti per capirci a qualche frase, a due parole, e anche tacendo. Non ci siamo incontrati spesso: eppure, dovunque ci troviamo, io (e credo anche lui) continuo ad avvertire l'intensità di un profondo legame. Fellini non è soltanto un grande regista, il più grande del nostro tempo, ne sono sicuro: è soprattutto Un creatore, grande, vero, fors'anche inconsapevole, talvolta un po' sconcertante, che ha attinto dal subcosciente il materiale per tutte le proprie opere. Per questo lo ammiro profondamente, un po' geloso, forse,' d'una potenza che sento di non possedere. Per me Fellini «è» il ci-, nenia. Non il cinema commerciale, non il cinema d'avanguardia, non il cinema di questa o quella tecnica, di questo o quel genere, drammatico, co-, mico o grottesco. Il cinema di un uomo che con tutti i mezzi a sua disposizione, talvolta anche i più imprevedibili, ci trasmette l'umanità e le ossessioni che vivono e si agitano dentro di lui. Georges Simenon (Per gentile concessione dell'editore Gremese)

Luoghi citati: Amarcord, Cannes, Rimini