London: un nuovo sogno per l'America

London: un nuovo sogno per l'America London: un nuovo sogno per l'America NELL'ARTICOLO che Claudio Gorlier ha dedicato al Martin Eden di Jack London fTuttoiibri, 17-11-79), si sottolinea uno degli aspetti a mio parere più caratteristici di quest'autore; un aspetto, fra l'altro, che più d'una volta gli valse accuse di plagio: la sua «capacità di rinnovare vecchi materiali: Ora, mi sembra interessante notare come si tratti non solo di «vecchi materiali»; non solo cioè di quei luoghi letterari già affermati nella produzione di massa della seconda metà dell'Ottocento (la «scalata al successo» dell'eroe povero ma onesto di Horatio Alger, che London riprènde spogliandola da incrostazioni sentimental-lacrimevoli, e innestandola su uno sfondo di vitalismo pessimista). Parlo di quella «qualità» che il miglior London ha (e che potrebbe scadere a difetto, mentre in lui finisce spesso per essere affascinante) di vero e proprio divulgatore e volgarizzatore, di traduttore ,in fiction, in narrativa racconto romanzo, ciò che nella sua foga di autodidatta divorava e digeriva. Non solo gli owii e abbondantemente ricordati Kipling, Spencer, Nietzsche; ma anche—e forse soprattutto — quei materiali che la cultura americana del suo tempo stava scoprendo o producendo, con un approccio molto vicino a quello che lo stesso London usava nei loro confronti: un approccio empirico, pragmatico, o — con una parola difficilmente traducibile in italiano, ma molto efficace in inglese — lay (cioè «laico, non specialista^). Nella produzione migliore di London (quella cioè in cui - la foga del propagandista è maggiormente tenuta a freno, e questo suo metabolismo di scrittore-divulgatore è più lasciato libero di funzionare), riusciamo a coglie¬ re —aldilà della trama, della storia, dei personaggi e delle vicende — le tensioni culturali, i dibattiti, le polemiche dell'epoca. In primo luogo, mi pare, la scuola sociologica statunitense, e in particolare quella che prende le mosse dalla discussione su Darwin e Spencer alla fine del secolo, e alla cui luce si possono leggere molti «racconti del Nord», per ciò che riguarda il problema dell'«adattamento dell'individuo all'ambiente» (si pensi zoprattutto all'attacco iniziale in In a Far Country, del1900). ★ ★ Ma non è solo la sociologia: è anche la fisica, la chimica, la psicologia. D'altra parte, la cosa non riguarda il solo Jack London, ma tutta una serie di intellettuali dell'epoca che, sotto l'influsso di nuove scoperte e nuovi orizzonti, rielaborano propri canoni di giudizio giungendo non di rado a un pessimismo totale o alla fuga nell'irrazionale (a proposito di fisica e psicologia, si pensi a quanto esse influenzarono Brooks Adarns e la sua The Law ci Civilization and Decay, 1895). Penso al bellissimo racconto «La legge della vita» (1902), che può esser letto come la traduzione letteraria del «primo principio della termodinamica»; ma — si badi—nel modo in cui il fisico inglese Tyndall l'aveva a sua volta volgarizzato: «... Alla natura, nulla si può aggiungere e nulla si può togliere; la somma delle sue energie è costante... Le onde possono tramutarsi in increspature, le increspature in onde — la grandezza può esser sostituita dai numeri, i numeri dalla grandezza...». A un «onnivoro» come Jack London queste problematiche, specie attraverso versioni a loro volta volgarizzate, non potevano certo sfuggire: ed è quello che ac¬ cadde anche con il «superuomo» nietzschiano, che London conobbe non tanto alle fonti, quanto attraverso il cosiddetto «Nietzsche americano» Benjamin De Casseres o quell'Osias L. Schwarz, per il cui libro General Types of Superior Man (1916) London scrisse una prefazione lusinghiera; e posi accadde anche per il suo «socialismo», assimilato piuttosto attraverso le «traduzioni* e «interpretazioni» alla William Ghent, o innesti diversi e contraddittori come la Fabian Society, l'anarchismo stirneriano, o certo «socialismo tedesco» che, approdato in America, vi impiantava ipoteche con? senatrici e spesso francamente reazionarie (la scuola cui si formò il sindacalismo di Samuel Gompers). Infine, è ciò che accadde con Cari Gustav Jung, che London scoprì negli ultimi anni, divorò e ritrasmise in una serie di «racconti dei mari del Sud», come acutamente ricorda James I. McClintock fWhite Logic, 1976). Ma forse il «vecchio materiale» che maggiormente—e tragicamente — London si provò a rinnovare fu il «sogno americano» e il «mito della frontiera». Un esperimento, una scommessa, quasi, che London cerca di mettere in pratica: spostare questa frontiera (ormai chiusa, e definitivamente, negli Stati Uniti) in un ultimo ambiente ancora incorrótto da civiltà e società organizzata, il Klondike. Ma le «verità» che London, nel corso di quest'esperimento, rivela sono tragiche, e il leit-motiv di questi racconti è non a caso l'agonia, la morte, che sopraggiunge sì al termine di una lotta caparbia, ma anche dopo errori, frastrazioni, ferite fisiche e morali. Questa la Frontiera, questo il suo mito: il «vecchio materiale» che London riporta alla luce e di cui si fa ancora una volta di¬ vulgatore è in decomposizione. Allora, il suicidio di Martin Eden è il suicidio di Jack London, che «nell'istante in cui seppe, cessò di sapere». > * Vale la pena di ricordare che, mentre di Martin Eden il lettore italiano ha l'imbarazzo della scélta fra sei (!) diverse edizioni (frutto di un costume editoriale che, a parte l'indubbio valore e interesse di alcune delle relative presentazioni, mi sembra piuttosto criticabile), il resto della produzione di London è ben lontano dall'esser tradotto in italiano in dimensioni adeguate (fra l'altro, nel riquadro «Leggere London», mancano, oltre alle due edizioni Sonzogno e Longanesi di Martin Eden, l'edizione Guanda de La strada curata da A. Roffeni e la raccolta Le morti concentriche, Franco Maria Ricci Editore). r E' triste, se lo si confronta con redizione completa curata da Francis Lacassin per la francese Collection10/18, che riunisce sia classici sia inediti, e materiali preparatori o prime stesure interessantissime per seguire l'evoluzione stilistica e ideologica dell'autore. Negli Stati Uniti, poi, la critica su London ha avuto un impulso notevole grazie all'opera di un gruppo di studiosi come Earle Labor (la cui monografia è, insieme alla biografia di Andrew Sinclair, quanto di meglio sia possibile leggere sull'opera completa di Jack London), Hensley C. Woodbridge (autore, insieme ad altri due studiosi come Tweney e London, d'una monumentale e fondamentale bibliografia. C'è da augurarsi che un simile approccio, un po' meno attento alla «moda» London e un po'più allo «scrittore» London, si diffonda presto anche in Italia. Mario Maftì

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