Con Strehler rivive il Nost Milan di Bertolazzi

Con Strehler rivive il Nost Milan di Bertolazzi Al Piccolo il 14 dicembre la famosa commedia ambientata nel mondo dei «barboni» Con Strehler rivive il Nost Milan di Bertolazzi CASO alquanto singolare, quello di Carlo Bertolazzi. Nato e morto nella «sua» Milano (oddio, a voler essere precisi a Rivolta d'Adda), visse soltanto 46 anni e di questi appena una quindicina li dedicò alla vera e propria vocazione teatrale. La sua esistenza, breve, la suddivise in parti eguali tra il palcoscenico, i giornali e una tardiva attività di notaio che lo distaccò definitivamente dal teatro senza però pacificarlo con se stesso: erede, in questo, di quel particolare stato d'animo degli Scapigliati suoi contemporanei e come lui professionisti in ritorsioni intellettuali. Riscoprire l'opera teatrale di Carlo Bertolazzi è stato, in questi trent'anni, uno dei punti-chiave della politica culturale del Piccolo Teatro di Milano, individuati soprattutto nelle rappresentazioni dell'Egoista e del Nost Milan, spettacolo entrato ormai nella «leggenda» del palcoscenico italiano del dopoguerra, fin dall'ormai lontano 3 dicembre 1955, quando il sipario di via Rovello si aprì su quel brulicante luna park di poveri e derelitti straccioni che era il «Tivoli» del 1893. Che strano. La famiglia di Bertolazzi era agiata, non già povera. I suoi studi, Carlo li compi regolarmente all'Università di Pavia. Le sue prime «distrazioni» poetiche sono da dimenticare, così come le sue prime esperienze teatrali. Ma da quando arrivò a Pavia la compagnia Sbodio-Camaghi, Bertolazzi iniziò a scrìvere in dialetto, in quello splendido dialetto meneghino fin-de-siècle. H successo allora gli arrise, an- che se "Gerolamo Ro\'etta, altro suo illustre teatrante coetaneo, ebbe a scrivergli più volte: «Da' agli italiani tutto quello che hai dato ai milanesi... Scrivi altre Gtbigiànne, altri Nost Milan, ma scrìvili in italiano... Concorri (orrore, orrore!) tu pure con noi a formare questa benedetta lingua italiana parlata!». Lui no, Bertolazzi non se lo sognò neppure. Quando abbandonò momentaneamente il dialetto, lo fece per pure occasioni economiche, per veder rappresentate al¬ cune sue opere (minori) in altri teatri. Ma al «suo» milanese non volle, non potè rinunciare mai. In questo, El nost Milan, forse più della più compiuta e «perfetta» Gibigianna, in questo, nei suoi quattro atti originari della Povera gent (la prima parte) e dai cinque atti dei Sdori (la seconda parte), rimane il suo capolavoro drammatico e stilistico: un'identità quasi perfetta tra il mondo popolare descrìtto e la lingua popolare impiegata a descrìverlo. La «ripresa» del Nost Mi¬ lan, se così vogliamo chiamare uno spettacolo che «rinasce» oggi e che nessuna delle nuove generazioni può aver visto, non deve significare per il pubblico, oggi milanese, domani nazionale, un semplice omaggio alle tradizioni cittadine, una riscoperta «folcloristica» del dialetto. «E', piuttosto — sono parole di Giorgio Strehler, regista dello spettacolo che andrà in scena il 14 dicembre al Piccolo — la ferma volontà di recuperare ancora una volta un'opera ingiustamente ignorata o, peggio, malconosciuta, e dall'altra indicare un terreno d'indagine e di lavoro sui fenomeni della letteratura e del teatro popolare, sugli aspetti del dialetto — dei tanti dialetti! — nel nostro Paese, sulla sparizione lenta ma inesorabile di tantissime espressioni artistiche tipicamente «regionali» nel corso degli ultimi cent'anni. Rappresentare El nost Milan oggi, nell'Italia dilacerata degli Anni Ottanta, nell'Italia percorsa da rabbrividenti contraddizioni sociali, vuol significare, a mio avvi¬ so,pararennanztuttodi Verità: verità di un mondo sottoproletario troppo simile ieri a oggi; verità etnica e linguistica; verità di parlare, di esprimersi è di comportarsi cóntro le regole e contro le codificazioni di una società che — nel 1893 e nel 1979 — sembra voler privilegiare ancora l'Arroganza sulla Ragione, il Potere sulla Giustizia. Giorgio Polacco Su Carlo Bertolazzi la letteratura critica non è molto vasta. Di recente (1971) è uscita un'antologia, presso Einaudi, curata da Folco Portinari (pagg. 482, L. 5500) con un'esauriente prefazione ad opera della stesso curatore, intitolata «Realismo e realtà». Si possono inoltre consultare, cum grano salis, le poche pagine di Benedetto Croce (La, letteratura della nuova Italia, Ed. Laterza, voi. II), ma soprattutto i due bellissimi saggi dovuti, guarda caso, a due studiosi francesi ed entrambi tradotti in italiano: quello di Louis Althusser (in Per Marx, Ed. Riuniti) e quello di Bernard Dort in II teatro pubblico (Ed. Marsilio). Esiste poi una tesi, ampia e documentata, ad opera di Mary Bertaccini (relatore il professor Emilio Faccioli), discussa a Firenze, facoltà di Magistero, il 1970. Un brano breve e consuetudinariamente polemico, di Alberto Asor Rosa, è contenuto in Scrittóri e popolo (Ed. Samonà-Savelli). Per finire, 'Eugenio Ferdinando Palmieri ha scritto più pagine su Bertolazzi, riunite di recente a cura di G. A. Cibotto (Del teatro in dialetto, Ed. delRùzahte, L. 10.000). 9-P- Manangeia Melato e Tino Carraro sulla scena di «El nost Milan» (Foto Luigi Ciminaghi)

Luoghi citati: Firenze, Italia, Laterza, Milano, Pavia, Ro, Tivoli