Vestivamo la camicia nera di Luca Goldoni

Vestivamo la camicia nera Vecchie biciclette, Stantio e Ollio e i bombardamenti nelValbumdi Goldoni e Sermasi Vestivamo la camicia nera Luca Goldoni e Enzo Sermasi FIERO L'OCCHIO SVELTO IL PASSO Mondadori, Milano 125 pagine con 85 illustrazioni 7000 lire LA generazione dei cinquantenni trova in questo album di ricordi la propria infanzia e giovinezza. Si sa che un cinquantènne d'oggi la sua verde età l'ha vissuta in anni che erano indicati con una cifra romana seguita da E. F., che voleva dire era fascista. E' stato balilla e avanguardista. A scuola e alle adunate gli hanno fatto cantare: «Fiero l'occhio, svelto il passo» e anche: «Tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggior di Roma, maggior di Roma». Ma la data di nascita non ce la siamo scelta e «dobbiamo vergognarci di associare a i empi poco ameni un'infanzia per molti versi felice?». Qui la politica e la camicia nera non c'entrano, dicono gli autori, «c'entra solo il sortilegio di un'adolescenza lontana, archiviata, e che riesplode nitida, vicinissima, se si prova a sollevarne qualche lembo». Goldoni e Sermasi ritrovano- la bicicletta Legnano col cambio Vittoria e i libri della Salani, l'automobilina dei pompieri con la scala e la «Schuco», che a soffiarci sul tetto partiva o si fermava. Ritrovano le radio galena e i giochi da cortile con «regole» che erano sempre motivo di discussione. Ogni ricordo ne suggerisce un altro, dopo quarant'anni salgono dal fondo della memoria anche i temperamatite a forma di aereo o di incrociatore e i pennini perry. Ed ecco il ricordo di un viaggio in treno e della scoperta dal mare, comunque allora «la maggior parte della gente faceva le ferie in ca-_ sa fra cocomeri, campi di bocce e cinema all'aperto, che davano Stanilo e Ollio». Ecco le canzoni e gli abiti di quel tempo, le abitudini, i sentimenti, i giornaletti e il sesso («Si attribuivano perverse intensioni alla vicina che d'agosto usciva sul terrazzo a dar acqua alle orten¬ sie, proterva nel sòttabiiuecio nero»). Poi, la guerra. «A quei tempi facevamo corsi di geografia accelerati. Avevamo da poco finito di piantare bandierine su Ambaradam e Lago Tana, Temei e l'Estremadura e già ci erano familiari nomi nuovi come la Caretta e Scapa Flow». Intanto, St. Louis Blues era diventata Tristezza di San Luigi, Mandrake aveva perso il kappa e ora faceva la spia per l'Asse, Gordon era stato malamente rimpiazzato da Dik Fùlmine, "«io che avevo le collezioni di Topolino dal '36 al '41 èbbi un fremito di ribellione: le vie dell'antifascismo sono infinite». I ricòrdi rimasti indelebili in un ragazzo di quegli anni. Quelli degli orti di guerra, dello sfollamento e della tessera per mangiare, per vestirsi, per qualsiasi cosa. «V primi anni, la guerra si identificò con la fame» e con l'angoscia che prendeva alla gola in cantina per gli allarmi aerei, «convinti che fra poco saremmo tutti morti». In poche, magistrali righe sono indicate le esperienze che hanno segnato una generazione. «La morte ormai si era abbattuta sulla mia città, ma per chi non era colpito negli affetti più cari, la vita era più urgente...» e i ragazzi impararono l'arte di arrangiarsi per sopravvivere, impararono soprattutto «ad amare coloro che condividevano la mia sorte e a odiare quelli che pretendevano la mia medaglietta del battesimo in cambio di qualche chilo di zucchero». Uno dei ricordi più precisi è quello dei bombardamenti e delle case sventrate dalle bombe. «Nell'aria, anche quando il polverone era caduto, restava un odore forte eppure insipido, di stracci bagnati, di miseria. Passando vicino ai mucchi di pulviscolo si cercava di non pensare a certe storie di gente tirata fuori anche dopo cinque giorni, ancora viva ma impazzita». E anche: «C'era una specie di ritegno nel guardare dentro le case spaccate di cui restavano solo le pareti inteme di tanti < colori e, appesi ai muri, le foto-ricordo degli sposi, i crocifissi e le cassette d'acqua dei water». ... Infine, i ricordi degli ultimi giorni di guerra e della pace. Che cosa era la pace per un ragazzo? Era il sindaco, cioè la prima autorità non in divisa ma in borghese. Erano le colonne di camion Dodge con i fari accesi anche di giorno. Era una micca di pane bianco e poter prendere il treno per il mare, chi se lo ricordava più il mare? Era il bisogno continuo di toccare con mano la «differenza» fra com'era prima e com'era adesso. La pace significava «che ci s'incontra per strada, ci si abbraccia, ci si dice non mi sembra vero». I cinquantenni sono grati ai due autori di rinf rescargli la memoria, sono soprattutto grati del tono giusto con cui hanno rievocato quegli anni: una garbata ironia e anche un velo di malinconia, niente retorica né stile commemorativo, pagine sempre brillanti e anche divertenti. Per i più giovani, questo bel libro è una scoperta. Luciano Curino

Luoghi citati: Milano, Roma