La fantascienza non ha bisogno di fantasia

La fantascienza non ha bisogno di fantasia Saggio di Scholes e Rabkin sul popolare genere letterario La fantascienza non ha bisogno di fantasia RSchdes. Et& Rabkin FANTASCIENZA. STORIA, SCIENZA, VISIONE Pratiche editrice, Parma, 296 pagine 6.000 lire DI fronte a questo tentativo, condotto congiuntamente da R. Scholes e E. S. Rabkin, di tracciare una storia e una teoria della fantascienza, non si sa se esprimere riconoscenza, o invece delusione. Riconoscenza, per l'indubbia quantità delle informazioni che ci vengono fornite, e per una periodizzazione che sembra sufficientemente persuasiva. Delusione, invece, per le incertezze e i mancati approfondimenti sul piano teorico; soprattutto se si tiene presente che Scholes aveva firmato, anni fa, assieme a R. Kellogg, l'eccellente «Natura della Narrativa». Sarebbe bastato che alcune delle categorie là usate trasmigrassero in questa nuova opera, ovvero che essa venisse impostata come un capitolo aggiuntivo dell'altra. Giusta, senza dubbio, la decisione di non risalire troppo lontano nel tempo, e di far partire invece il fenomeno dagli inizi della nostra età contemporanea, associandolo al decollo della scienza e della tecnologia. I due autori esprimono argutamente questa scelta di fondo con la sigla «DJ7.», Dopo Frankenstein, attribuendo così all'opera di Mary Shelley il vanto di aver inaugurato l'era fantascientìfica. Dopo, vengono i grandi pionieri isolati, Poe, Verne, Bellamy, e quindi ancora, a cavallo dei due secoli, l'attività geniale di H. G. Wells, abbastanza nota anche da noi. E pure nei primi armi del Novecento si hanno,alcune figure solitarie come quelle del russo Zamjatin, del cecoslovacco Capek, dell'inglese Staple. don: fantascienza europea, di buona lega, non distinguibile dagli intenti «superiori» della narrativa senza aggettivi. Sempre i nostri autori fanno invece notare che negli Anni 20 il fenomeno, negli Usa, si scatena dal basso, come aspetto di creatività popolare e di consumo, appoggiata alla nascita di riviste specializzate. Domina in questo senso la figura di Hugo Gernsbach. non solo e non tanto autore in proprio, quanto editore, e fra l'altro coniatore dell'etichetta ufficiale del «genere», almeno per il mondo anglosassone, risultante dall'accoppiamento di «Science» e «Fiction» (altra cosa è il nostro «fantascienza», ma su questo punto dovremo tornare). Ulteriori periodizzazioni: l'età d'oro, degli Anni 50, dominata dalla figura di Isaac Asimov; gli Anni 60 e quindi. la cosiddetta «nuova ondata», caratterizzata da autori come Philip Dick, Ursula Le Guin, Brian Aldiss, con i quali si va verso un raffinamento e una sofisticazione del «genere», con un avvicinamento, come del resto è quasi sempre avvenuto in Europa, alla narrativa maggiore, e anzi con scambio reciproco di parti (i nostri autori fanno a questo proposito i nomi di RorAe-Griìlet, Calvino, Bardi. Vonnegut). Questa, in rapida sintesi, la trama storica dèi volume, che ognuno, evidentemente, si potrà divertire ad arricchire di alni nomi e di altre tappe. Più interessante qualche riflessione teorica, e. ricominciamo pure dall'etichetta stessa, osservando che, una volta tanto, il termine italiano appare più felice di quello inglese, dato che da noi viene introdotta scopertamente la «fantasia». Invece il più neutro «science-fiction» causa qualche eccessiva prudenza, in Scholes e Rabkin: come se la fusione tra la fantasia e la scienza non fosse costitutiva del genere, come se questo non prendesse tutto il suo senso e valore storico da un'antitesi rispetto alla narrativa di analisi etica, psicologica, ambientale; come se non esprimesse, ai nostri tempi, il grande ritorno deU'affabulazione, del puro diletto per le «storie». Si tratta insomma del capovolgimento più radicale del «trend» imboccato dalla narrativa occidentale, dal Settecento in poi, che puntò diritta verso il Realismo e il Naturalismo. Fecero via via eccezione il romanzo gotico, il feuilleton d'appendice, il romanzo simbolista fin-de-siècle. Ora non a caso la fantascienza è il loro autorizzato erede, nel nostro secolo. Sempre per questa prudenza verso il «fantastico», che non fanno rientrare organicamente nel «genere», i due autori osano lasciar fuori dalla porta una presenza decisiva come quella di Lovecraft (da cui viene pari pari un attuale prodotto di massa trionfante sugli schermi, «Alien»). E anche di fronte a un altro maestro come Ray Bradbury hanno molte esitazioni, sempre per la solita ragione che egli sembra pescare troppo nell'immaginario. Inoltre, è ben presente alla loro attenzione C. S. Lewis, che oltre ad essere autore in proprio, è anche prezioso teorico della letteratura medievale e dei poemi allegorici. Ma allora non si capisce perchè non sia neppure nominato Tolkien, perdendo così tutta la dimensione magica, , esoterica, di revivalismo medievaleggiante, che è uno degli sbocchi più interessanti della fantascienza. Infine, avrebbe meritato sottoporre ad analisi più ampia e sistematica il fenomeno degli scambi incrociati tra la fantascienza stessa e la narrativa di avanguardia o di ricerca: un fenomeno che oggi si rivela cruciale, e che apre a quest'ultima una delle poche vie d'uscita. Renato Barillì

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