Caro Gide io l'amo come Prometeo

Caro Gide io l'amo come Prometeo Nelle lettere pubblicate in Francia l'impossibile passione di Dorothy Bussy Caro Gide io l'amo come Prometeo Per la scrittrice inglese l'autore dei «Sotterranei del vaticano» era come un dio, la folgore, l'Everest «Ho sognato di entrare in quella misteriosa stanza dove lei dorme» Ma lui ribatteva: «Cerchi piuttosto di meritare la mia amicizia» E ammetteva: «Ho il cuore secco. Ho tutto il talento immaginabile, ma nient'altro: il vuoto» PARIGI — Quando Dorothy- Bussy nata Strachey conobbe André Gide a Cambridge, nel luglio 1918, lei aveva 52 anni e lui 49. Da quest'incontro doveva nascere un'amicizia — amorosa da parte di lei, intellettuale e fondata su un'autentica «camaraderie» da parte di lui — che si protrasse per oltre trent'anni, fino alla morte dello scrittore nel 1951. Ce lo rivela la loro corrispondenza, conservata alla Bibliothèque Nationale: circa 600 lettere di Gide e 500 pervenuteci di Dorothy, la quale deve averne scritto almeno tre volte tante. Ora Gallimard ne ha iniziato la pubblicazione: il primo volume appena uscito, con note e un'ampia introduzione di Jean Lambert, riunisce, oltre ad alcuni stralci del diario della Bussy, 284 lettere che coprono il periodo 1918-1924. Le altre saranno raccolte in due volumi ulteriori. Quest'epistolario, — completando quanto sapevamo attraverso la corrispondenza di Gide, in particolare con Roger Martin-Du-Gard, i suoi diari e libri a sfondo autobiografico, o i «Cahiers de la petite dame», cioè Madame Theo Van Rysselberghe — costituisce un apporto significativo alla conoscenza del multiforme personaggio. All'epoca in cui Gide incontra Dorothy, egli aveva iniziato a scrivere «I falsari», meditava già di pubblicare «Corydon» — confessione omosessuale «suscettibile di mandarlo in prigione» — ed era per la prima volta felicemente innamorato di un ragazzo sedicenne, Marc Allegre!, che poi diventerà un famoso regista. Era andato a Cambridge appunto con Marc (non . senza . drammi, poiché la moglie Madeleine, i'Emmanuelle dei romanzi, aveva finalmente capito la sua vera natura e questa rivelazione avvelenerà i loro rapporti), voleva perfezionarvi il suo inglese, in vista di tradurre Shakespeare. Dorothy cominciò con l'essere la sua insegnante, «il suo dizionario e la sua grammatica», come dirà più tardi rimpiangendo i tempi dei loro primi approcci. Era la classica inglese cosmopolita, sempre in giro fra l'Inghilterra, la Costa Azzurra, Venezia o Firenze. A Londra, gli Strachey — una famiglia aristocratica di dieci figli, fra cui Lyttqn, autore de «Gli eminenti vittoriani», e James, traduttore di Freud — ricevevano il fior fiore degli ambienti politico-intellettuali: Virginia Woolf ne era la regina. A «La Souco», la loro villa fra cipressi e ulivi, affacciata sulla baia di Montecarlo, Dorothy e Simon Bussy, un pittore francese di secondo piano, che lei aveva sposato già in età avanzata, invitavano Gide, Valéry, Roger Martin-Diigard, Mauriac. In Italia, i Bussy erano ospiti di Berenson. Questo per situare il mondo che si riflette nell'epistolario. Dorothy non era bella. Piecolina, con una testa da indiano Jivaro, capelli dritti, frangetta e occhialoni che la facevano assomigliare a Foujita. Era colta, piuttosto intelligente — quando non era stravolta dal suo sentimentalismo —, ipersensibile, esaltata. Il suo sodalizio con Gide inizia su un piano puramente intellettuale, dominato dalla pas- sione che hanno in comune per Shakespeare, Browning, Blake. Diventerà ben presto la sua traduttrice dall'inglese: ne traduce nove opere, da «La porta stretta» al «Viaggio nel Congo», e questa collaborazione si interrompe soltanto nel 1946, quando Gide, a costo di ferirla, rifiuta di affidarle la traduzione di «Teseo» per cui preferisce «una voce maschile». Lo scrittore la deluderà molto anche per la cortese indifferenza con cui accoglie un suo manoscritto, «Olivia» — un romanzo a sfondo lesbico — che uscirà poi sotto uno pseudonimo e diventerà un best-seller: Dorothy potrà allora rimproverargli di aver misconosciuto due autori dì successo, lei medesima e Marcel Proust, di cui Gide rifiutò «La recherche» per la Nrf, dopo averla, come confessa in una lettera, «soltanto scorsa con un occhio ostile». Quattro mesi appena dopo il loro primo incontro, Dorothy già tradisce l'ardore dei suoi sentimenti, che ispireranno alcune delle più belle lettere d'amore della letteratura mondiale, degne di Eloisa o della monaca portoghese. E' quando imperversa un'epidemia d'influenza e lei trema per la salute di Gide: «Tremo di paura, e tutto quel che sento per lei, le mille cose che mi stanno a cuore, sembrano confondersi nell'unico' desiderio che lei rimanga in vita. Posso soltanto sperare di morire d'influenza prima di lei...» (da notare che Dorothy scrive in inglese, quindi usa il «you» ambivalente, mentre Gide, rispondendo quasi sempre in francese, ricorre al «vous» che mantiene le distanze: il «lei», più freddo ancora, che siamo costretti ad adottare, non rende queste sfumature). Dorothy cerca di consolarsi dell'assenza dell'amato con il suo lavoro di traduzione: i libri di lui le consentono di sentire «giorno e notte la sua voce, la sua dolce voce torturante che le parla». In realtà il loro è un dialogo di sordi. A una passione sempre più delirante (per Dorothy Gide è «Prometeo», è un monumen¬ to naturale come l'Everest, un prodigio come la folgore, dice di amarlo più di quanto i cristiani amino il loro dio), il romanziere oppone una cortesia cerimoniosa, dettata dall'istinto di conservazione. Lei è gelosa: non di Madeleine, con cui non osa misurarsi, né di Elisabeth Van Rysselberghe, dalla quale il romanziere avrà una figlia nel 1923, e nemmeno del dilettissimo Marc Allegret, ma di qualsiasi segretaria, degli amici che accaparrano Gide, dei suoi compagni di viaggio. L'assilla perciò con lettere disperate o furibonde, poi si pente di averle scritte, ne scrive altre l'indomani, professandosi indegna, ignobile, disgustosa, invocando umilmente perdono. Gide talvolta ignora queste esplosioni, talvolta le dà corda, la mettein guardia dolcemente {«non avventurarti sull'orlo del tuo amore») oppure in modo secco: «non merito il suo disprezzo. Cerchi lei di meritar meglio — e più semplicemente — la mia amicizia». Ma il cuore ha delle ragioni che la ragione ignora. .N<?/ sogno l'innamorata osa varcar la soglia dell'amato inflessibile: «Il mio *r. io ha visitato il suo, e ne ho tratto conforto, e pace, e gioia... Sono penetrata in quella stanza misteriosa dove lei dorme e, appassionata e sentimentale come sempre, mi sono inginocchiata vicino al letto, ho tuffato il viso nel suo guanciale, accanto alla sua testa, e lei mi ha preso una mano fra le sue, e un fiotto di amore e tenerezza ci ha irrorato. E la compassione, il perdono, la fiducia reciproca ci hanno lavato di ogni peccato e ogni rancore...». La realtà tuttavia non corrisponde affatto al sogno. Il Gide in carne ed ossa, nel prendere congedo, la bacia in fronte «come per dovere» e le offre la propria guancia da baciare: «ma le mie labbra erano altrettanto fredde della sua guancia, e sono rimaste immobili al contatto. Allora mi sono sentita agghiacciare fino al midollo». La donna che così si esprime, come un'adolescente, ha 56 anni. A 73 confesserà ancora a Gide di aver «desiderato follemente di ricevere da lui lettere d'amore», e di desiderarlo sempre. Vi è in questa passione senile un'indubbia componente masochista. Analizzando i sentimenti «torturanti» che la lacerano, Dorothy esprime «un desiderio doloroso di consumarsi in una sorta di inutile sacrificio». Oppure invita Gide a punirla: «sia severo con me — sia crudele — se mi trova importuna (lei sa bene che, per quanto mi lamenti, amo la sofferenza inflittami da lei)». Crudele Gide lo è spesso nei suoi confronti, per esasperazione o senza rendersene conto, ma soprattutto per difendere un territorio sentimentale che è riservato alla moglie. E lo dice con molta franchezza, nel vano tentativo di ricondurre la spasimante alla ragione: «come può rifiutarsi continuamente a capire che mi sarebbe quasi intollerabile concedere a chiunque, e pure a lei, qualcosa di cui penso che (Madeleine) potrebbe essere gelosa! Ora, quel che lei mi chiede è precisamente quel cbe± le ho votato (a Madeleine), che le riservo... Crudele è il fatto che lei (Dorothy) lo sappia, e ne debba soffrire...». Se l'affetto di Gide per la moglie «santa» e vilipesa, che si accompagna a un profondo sentimento di colpa e a un desiderio velleitario di espiazione, è manifesto in questo epistolario, altrettanto lo è il suo fondamentale egoismo. Per esempio, quando Elisabeth Van Rysselberghe, che egli ha messo incinta, sta per partorire, l'abbandona sola ad Annecy «vicinissimo a una clinica modello, dove la sua stanza è già prenotata», per intraprendere un viaggio di piacere in Marocco. Al ritorno differirà una visita alla giovane madre e alla neonata, la piccola Catherine, per timore del «cosa ne dirà la gente». Che cosà pensa in effetti la gente di lui? «Che ho il cuore secco — risponde a Dorothy, consapevole dei propri difetti — che sono in- , telligente, molto intelligente, che ho tutto il talento possibile immaginabile, ma nient'al- ' tro: il vuoto». E giocando sulla consonanza «Gide-vide»,.aggiunge: «si è detto che la natura non ha orrore del vuoto, ma ha invece orrore di Gide». Eppure questo personaggio — fuori dalla norma in tutti i sensi — resta sempre affasci-'nante. Lasciamo all'adorante Dorothy l'ultima parola: «Com'era il suo sguardo quell'ultima sera? Lo sguardo di un uomo a mare, che va alla deriva. La passione gli brillava negli occhi, una passione frenetica. Per me? Oh no! No. Non per me, ma per tutto ciò che la vita gli aveva negato. Per l'amore che non ha mai conosciuto, che gli era interdetto — voglio dire l'amore da uomo a donna — un amore uguale, reciproco. E dire che migliaia di persone muoiono senza aver visto un simile sguardo!». Elena Guicciardi Gide e Wilde Gide e Oscar Wilde: è il tema del libro pubblicato da Mario Luca Giusti di Firenze, in una piccola, limpida edizióne di mille copie (84 pagine, 5000 lire). Contiene due scritti di Gide, dedicati allo scrittore che gli fu amico e maestro, poco dopo la sua morte : *In memoriam», con i ricordi di un rapporto durato nove anni; «Il De profundis», con il commento alla famosa lettera di Wilde dal carcere. Le traduzioni sono di Maria Luisa Spaziani e Elena Tognini Boielli. Quando Gide scrisse gueste pagine, fra il 1901 e il 1905, non aveva ancora confessato la propria omosessualità; ma intendeva schierarsi hi difesa dell'amico, nel momento in cui tutti cercavano di dimenticarlo.