Satchmo: una tromba per il re istrione di Luciano Curino

Satchmo: una tromba per il re istrione ouis Armstrong, uomo e musicista, in una biografìa di Walter Mauro Satchmo: una tromba per il re istrione T A voce arrangolata // I di Louis Armstrong e gli incredibili acuti della sua cornetta restano uno dei volti sonori della nostra epoca. Ci siamo riconosciuti in essa, gente di tutti i paesi, anche se la sua arte veniva da un terreno popolare ben delimitato. Un caso dei più completi e allucinanti di elevazione dei succhi popolari a valore universale d'arte», scrisse il critico musicale Massimo Mila per la morte del «re del jazz», avvenuta nel quartiere di Queens, a New York, il 9 luglio 1971. Più o meno fu anche il giudizio della critica di tutto il mondo. Non si trattò di frasi di circostanza, scritte nell'emozione del momento. Sono passati otto anni di questa nostra epoca che facilmente crea miti e rapida-, mente li dimentica, ma il tempo nulla ha tolto alla fama di Armstrong. Alle numerose biografie del grande «Satchmo» pubblicate dopo la sua scomparsa, si aggiunge questa di Walter Màuro. «Louis Armstrong il re del jazz» (pagi¬ ne 214, 8500 lire), che sta per uscire da Rusconi. Mauro è uno dei maggiori storici ed esperti di jazz, Armstrong lo ha conosciuto bene e ne serba ricordi che sono importanti testimonianze. Ha ammirato l'artista, lo ha amato e ancora lo ama. Ma vi ha anche visto debolezze ed errori che un biografo onesto non può tacere. Sicché il suo libro è fondamentale per capire il «fenomeno Armstrong». «Quando con le luci dei riflettori sul volto riusciva a catturare una platea enorme, con la forza un po' diabolica dei suoi occhi e dei suoi gesti, una storia di rivalsa e di dominio sembrava scattare d'incanto...». Walter Mauro è bravo nell'evocare atmosfere e il fascino dell'artista. Rileva la simpatia che destava il personaggio, la forza comunicativa del suo gesto, la sua gigantesca risata. Racconta le sue vicende umane e spiega la sua carriera musicale e la funzione che egli ebbe. (E la storia di «Satchmo» è la storia di oltre mezzo secolo di jazz). n biografo si fa però seve- ro e intransigente quando vede il «suo» artista concedere troppo al pubblico dal palato facile, lo vede, insaziabile di successo, slittare verso zone d'ombra dalle quali gli è difficile venire fuori. E così il «re del jazz», a Roma, partecipa a uno show televisivo come accompagnatore di Claudio Villa in una esecuzione semplicemente penosa di «Oi Mari». «Era l'ulteriore segno di un declino dal quale tuttavia lo salvava parzialmente quel congenito istrionismo che gli consentiva di scegliere il lato dell'ironia ogni volta che si trovava a dover operare in condizioni che lui stesso considerava pericolose e poco producenti per lui». Ma il peggio accade nel 1968: tra lo sgomento degli appassionati di jazz, Armstrong partecipa al festival di Sanremo. «Satchmo stava pagando a caro prezzo i molteplici cedimenti e le continue concessioni fatte alla musica commericale, per aver voluto sempre tenere i piedi in due staffe, quella del jazz e quella della musica leggera, due generi del tutto inconciliabili per la natura ideologica ed etica che divide inesorabilmente i due moduli espressivi». Un altro motivo di critica: l'atteggiamento conciliante e talvolta sottomesso di Armstrong verso i bianchi. Egli fu assente nel momento cruciale della Black Revolution e, tranne in rare occasioni, non prese mai una posizione chiara nei confronti delle questioni sociali e razziali della sua gente. «Satchmo con ogni probabilità si rendeva conto che con quella sua musica aveva aperto la strada a una rinascita nera che poi lui stesso aveva interrotto, preso da sollecitazioni di altro genere che gli venivano dalla logica del management che lo cingeva d'assedio». Una biografia onesta non può essere soltanto apologetica, deve raccontare la verità, qualunque sia, possa anche dispiacere. Ma se nella storia di Armstrong c'è qualche pagina poco bella, ce ne sono moltissime magnifiche e quando egli mori tutti furono concordi nel riconoscere «Za grandezza del musicista e la sincerità umana che governava ogni suo gesto, ogni sua azione. I vecchi jazzmen vollero sottolineare il significato del suo magistero alla tromba». I giudizi più importanti e anche i meno retorici vennero proprio dagli uomini dell'avanguardia più irritata e battagliera: • «Noi ci sforziamo di fare oggi quello che facevano all'inizio musicisti come Armstrong: la loro musica era gioia di vivere, era la bellezza che si imponeva... Louis Armstrong è stato nel mondo una sorta di ambasciatore, per i neri, per il jazz, per l'America...». Ma la cosa più bella di Armstrong l'aveva detta qualche tempo prima Mattalia Jackson, la grande interprete degli spirituals, che era stata alla testa della sua gente in marcia verso Washington: «Non amare Luois vuol dire non amare il mondo». Luciano Curino S3 IP jmmm.

Luoghi citati: America, Armstrong, New York, Roma, Sanremo, Washington