Ambigua calma di Giobbe di Guido Lopez

Ambigua calma di Giobbe Viaggio nel labirinto del personaggio biblico Ambigua calma di Giobbe Giacoma Limentani IL GRANDE SEDUTO Adelphi, Milano 206 pagine, 7000 lire NON è davvero consueto che una donna si iscriva alia scuola rabbinica. Ma Giacoma Limentani, romana, sui cinquantanni (altro non è scritto nei risvolti di copertina) lo ha fatto. Ovviamente, non per seguire una professione che non è contemplata al femminile, ma per approfondire sull'originale la conoscenza dei testi biblici e postbiblici, il mondo del Tannach, del Talmud, della Cabbalà, la rigogliosa, affascinante produzione di leggende, parabole, apologhi e massime che vanno sotto il nome di midrashìm (da una radice che rimanda a «investigare», «sviscerare») e di aggadoth, cose che si leggono, si tramandano. E sul mondo del midrash si basano i suoi due ultimi volumi, Gli uomini del libro (1975) e il recen-r tissimo II grande seduto.. Precedentemente, nel settembre 1967, la stessa Adelphi aveva pubblicato, della Limentani, un breve romanzo, In contumacia, segnalato all'editore da Angelo Ripellino. Era una storia dei nostri tempi, raccontata in prima persona: parlava di un'adolescente insanguinata dalla pubertà e dallo stupro, un filo di sangue correva per tutto il libro; il fatto—inai rappresentato direttamente, ma sempre alluso, rimosso in contumacia, incombente lungo tutto l'arco d'una vita — insozzava sacre memorie, si ingrumava in un segreto irrivelabile; la ragazza, poi donna, era una bambina ebrea, a Roma, con i tedeschi per le strade e per le case. Già in quelle pagine af- fioravano accenni a persone e cose del midrash, della Cabbalà. «Quel manoscritto ci sconvolse — dicono alla Adelphi—ed parve che non si potesse fare a meno di pubblicarlo, anche se a quel tempo non avevamo altri libri di narrativa in catalogo. Uscito solo, lo hanno letto in pochi». Andò decisamente meglio con Gli uomini del libro, d'una decina d'anni posteriore, una deliziosa raccolta di leggende ebraiche illustrata da Emanuele Luzzati nel più autentico spirito del midrash. Le edizioni Adelphi nel frattempo si erano meritata la fama di scopritori di talenti narrativi (basti il nome di Guido Morselli) e di intenditori di cose ebraiche o legate al mondo ebraico: i romanzi di Joseph Roth — uno dei quali, sia detto per inciso, intitolato a Giobbe —, le traduzioni di Ceronetti Giobbe, per l'appunto, è il Grande Seduto, protagonista o più esattamente pernio di questo terzo libro della Limentani, per nulla allegretto come lo era il secondo in cui l'Eterno «appena ha un po' di tempo libero fra lo studio della Lègge e le cure dell'Universo» si diverte a giocare con il Leviathan, il gran pesce degli abissi, «ed è giusto che sia così: il riso lava l'anima, e nessuno deve prendersi troppo sul serio» — nemmeno il Signore Iddio. Per niente allegra questa storia di Giobbe—e come lo potrebbe? — anzi inquietante come poche altre, ma pur essa tinta di tutti i colori, i sapori e le tenebre del midrash. In una nota pubblicata al termine della storia di Giob- be, l'autrice rende conto del perché si è accinta alla terribile avventura di cimentarsi con Giobbe. E potrà avvenire che questa nota piaccia, a qualcuno, più del testo che la precede. E' chiara, organizzata, razionale, pone un problema affascinante di esegesi biblica e storica, dice le strade imboccate per tentarne la soluzione, procede con una logica «occidentale», che è cosa ben diversa dal procedere del midrash. «Vivere con Giobbe non è stato facile — scrive la Limentani —. Lo dico dopo sei anni di una convivenza che sotto certi aspetti mi ha molto stimolata, ma sotto altri ha avuto l'effetto lacerante della caduta di un mito». Una dissacrazione di Giobbe e del testo biblico? Assolutamente no, non questo. Ma un Giobbe diverso, e per certi riguardi opposto all'immagine che tutti ne ahbiamo, d'uomo pio, povero, incolpevole e perseguitato, questo sì. Egli avrebbe nientemeno che tralasciato una delle prime regole dell'ebraismo — dice la Limentani — «aiutati che il del ti aiuta*. Di qui, appunto, la sua caratterizzazione di Grande Seduto. E questo Giobbe «nuovo» vien fuori dal tesoro praticamente inesauribile dei midrashìm, via via accumulato nei secoli, e in cui si ritrovano' non uno solo ma tanti Giobbe, in tempi diversi, in situazioni a volte contrastanti fra loro. Essi rendono la figura di Giobbe ancora più ambigua e problematica che nel testo canonico, a sua volta già contaminato da interpolazioni. . Ne è nato un libro a più dimensioni, intricato, in qualche modo «rashomònico», avvolto in se stesso e più volte ripetitivo (e però mai eguale), in cui Giobbe compare, sparisce e ricompare accanto ai suoi tradizionali interlocutori, ma più volte in rapporto con altri — i Patriarchi, Mose, il Faraone, Salomone, e dove il bìblico tentatore, diviso nei suoi tre nomi di Samuele, Sàtàn e Malistinto, assume vèste di grande antagonista, mentre si affacciano sulla scena animali parlanti, gemme stregate. La Limentani procede nella selva delle leggènde per illuminazioni e improvvisi block out, tocca gli abissi del ripugnante poco dopo essere salita al sublime, talvolta si dilunga, altrove si fa ellittica e, giunta al termine del suo libro con-, geda il lettore con là più elusiva delle sentenze, per di più messa in bocca a Samuele: «So di alberi che noti esistono e non sono mai stati creati, con le radici di parole e le fronde di specchio». E' un rimando all'epìgrafe apposta al frontespizio — una filastrocca curiosamente tratta non dal midrash ma dà Winnie the Pòoh o altro capriccio di A.A. Mime: «I think I dm ah élephant...». «Dirà d'essere un elefante che sta dietro d un elefante dietro a un elefante che però c'è e non c'è». Insomma, se il lettore non ha pazienza é orecchio alla musica del libro e alla struttura del midrash, si perde. Ma se, al contrario, decide di lasciarsi andare, di percorrere con scioltezza il labirinto, di ascoltare quelle voci, vedere quelle visioni, accettare quelle apparizioni, credere in quel mondo, allora II grande seduto si impadronirà diluì, come ogni opera di poesia; e da quel percorso inventato uscirà non con la verità in mano — che non è cosa di questo mondo — ma avendo almeno misurato il mistero di Giobbe, che è poi il mistero della giustizia e della vita. E scusate se è poco. . Guido Lopez «Giobbe» di Durer

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