La notte, la peste e il diavolo

La notte, la peste e il diavolo La notte, la peste e il diavolo Per gentile concessione della Sei pubblichiamo alcune pagine da «La paura in Occidente (secoli XIV-XVIII)» di Jean Delumeau (pagine 648, lire 15.000). LA cultura dominante, fra il XTV e il XVII secolo, ha ingrandito, nella misura in cui si è soffermata con una morbosa inclinazione sulla stregoneria, il satanatismo e la dannazione, il lato inquietante e malefico della notte ( e della luna). E' col favore delle tenebre, ad esempio, che si credeva si svolgessero la maggior parte dei sabba, data la complicità fra peccato e oscurità. E l'inferno, a quell'epoca dipinto e descritto migliaia di volte, viene rappresentato da Dante e dai suoi successori come il luogo (d'ogni luce muto», dove l'acqua è nera e dove perfino la nave ha perduto il suo candore. Satana — è risaputo — è il signore delle tenebre, dove la sua feroce fantasia inventa i supplizi più tremendi per far impazzire e tormentare i dannati. H. Bosch, rifacendosi all'autore della Divina Commedia, è stato inesauribile su questo tema; ma anche per un umanista come G. Bude, erede della tradizione greca e'romana delle discese agli inferi, e del discorso cristiano sul regno di Satana, l'inferno non può essere altro che il dominio di una notte senza fine. Troviamo anche in lui un luogo comu ne generalmente accettato dalla mentalità del tempo: quando evoca il mondo infernale egli parla ora del «cupo Tartaro» posto «nel più profondo dell'abisso che si sprofonda nelle profondità più recondite della terra», ora di una «caverna buia e terribile», ora di quella «prigione orribile ed oscura che è lo Stige, rapitore d'uornimV, o ancora descrive «il pozzo che non si colma mai» dove resterà eternamente «prigioniera una moltitudine di ricchi, di poveri, di vecchi, di giovani, di bambini [sic], di folli e di saggi, di incolti e di sapienti». E per lui, come per tutti i suoi contemporanei, Lucifero è «il principe delle orride tenebre», un «brigante nel buio» e — con un'espressione di Omero—l'«Erinni che abita nelle tenebre». Così, attraverso una duplice insistenza da un lato sull'astrologia, dall'altro sul potere di Satana — aspetto di cui si tratterà nel capitolo Vili — la civiltà europea agli inizi dell'Età Moderna sembrava essere in preda, con l'ausilio della stampa, ad una ancora più grande paura dell'oscurità. ' Esisteva tuttavia una certa vita notturna, in campagna come in città. D'inverno si combatteva la noia e si abbreviavano le ore di buio riunendosi in veglie che potevano protrarsi fino alla mezzanotte. Sono quelle che ih Borgogna venivano chiamate le «capanne». ida tutti i paesi della^Borgogna^ scrive nel XVI secolo Tabouret Des Accords, anche nelle "buone città", poiché vi abita un gran numero di poveri vignaiuoli -che non possono comperarsi la legna per difendersi dai rigori dell'inverno, molto più rigido in questi climi che nel resto della Francia, la necessità, madre delle arti, ha suggerito questa trovata per costruire in qualche strada appartata una casupola o costruzione formata da molti pali piantati in circolo nella terra e ripiegati nella parte superiore e in cima in modo tale da formare come la cupola di un cappello; questa viene poi ricoperta di solle e letame così ben amalgamati e mescolati che l'acqua non riesce a penetrarvi. In questa capanna, fra due pali nel lato più riparato dal vento, si lascia un piccola apertura larga circa un piede e alta due, che serva da ingresso, e tutt'intorno ci sono dei sedili, fatti con lo stesso materiale, per farvi sedere parecchie persone. Lì di solito, dopo cena, si riuniscono le più belle rogasse di questi vignaiuoli con le loro conòcchie ed altri lavori è vegliano fino atta mezzanotte». Veniva così creato un luogo caldo, in cui la notte non poteva entrare e in cui un rito tranquillizzante di amichevole socievolezza rendeva vane, per qualche ora, le minacce dell'oscurità. Nelle campagne era usanza un po' dovunque organizzare tali veglie, che sono durate fino agli inizi della nostra epoca. Le cerimonie di Natale e i fuochi di san Giovanni le «nottate» dei contadini bretoni, i balli scatenati delle sere di nozze, le musiche indiavolate, i raduni di pellegrini giunti da molto lontano e che, arrivati sul far della notte, attendono l'alba dentro — o presso — la chiesa, meta del loro viaggio: tutte queste manifestazioni collettive erano altrettanti riti per esorcizzare i terrori della notte. Inoltre, il Rinascimento ha visto accrescersi, negli strati sociali più elevati, il numero delle feste che si svolgevano dopo il cadere del giorno; Montaigne, di passaggio a Roma nel 1581, vi assiste ad una giostra notturna rappresentata davanti ad un pubblico aristocratico. Qualche anno dopo Th. Dekker ricorda le danze, i «travestimenti e mascherate» organizzate a Londra per le grandi occasioni nelle case dei ricchi, di sera, alla luce delle fiaccole... ★ * LE cronache del passato che descrivono le epidemie di peste formano quasi un museo dell'orrore. Sofferenze individuali é spettacoli allucinanti nelle strade si uniscono, per creare l'intollerabile. C'era dapprima il martirio degli appestati «Caldo insopportabile, senso di soffocamento sentito dai malati, febbre violenta, dolore insostenibile agli inguini e alle ascelle»: è il quadro clinico che redige nel 1650 un medico di Ma- laga. I chirurghi pensavano di agire correttamente tentando di aprire o di cauterizzare i tumori refrattari. Alcuni erano "tanto duri", riferisce D. Defoe, «che nessuno strumento poteva inciderli, e allora li bruciavano con la pietra infernale, cosicché parecchi morivano pazzi dallo spasimo». Passando al piano collettivo, ecco Marsiglia nel 1720 come la vede un contemporaneo: i «vapori malefici» escono dalle case in cui si decompongono i cadaveri e si innalzano dai mucchi di materassi, coperte, biancheria, stracci ed ogni sorta di rifiuti che marciscono. Le tombe piene di cadaveri mostrano «corpi mostruosi,-alcuni gonfi e neri come il carbone, altri egualmente gonfi, blu, violetti e gialli, fetidi e scoppiati, che lasciano una scia di sangue guasto...». Un'epidemia di peste era quindi, anche per coloro che sopravvivevano, un trauma psichico profondo, come vediamo dalle parole turbate di un religioso, testimone della peste del 1630 a Milano. Egli le enumera tutte in una volta: «La confusione dei morti, dei moribondi, del male, dei gridi, urli, spaventi, dolori, affanni, timori, crudeltà, latrocini, disperazioni, lagrime, esclamazioni, povertà, miseria, fame, sete, solitudine, carceri, minacce, castighi, lazzaretti, unguenti, tagli, frenesie, febbri, fuga, spavento, oltraggi, vendette, buboni, carboni, sospetti,svenimenti...»... ★ * SCHEMATIZZANDO, si può dire che in questo periodo — e ancora a lungo dopo — sono coesistite due diverse rap- j presentazióni di Sàtana: una popolare, l'altra di élite, e quest'ultima fu la più tragica. Si indovina la prima attraverso deposizioni nei processi e aneddoti riportati da umanisti e uomini di Chiesa. Alcune sono state men: zionate più sopra. In Lorena e nel Giura, i documenti giudiziari ci rivelano che spesso il diavolo popolare non è designato con un nome biblico, ma si chiama Robin, Pierasset, Greppin, ecc. Nel solo distretto di Ajoie (ve: scovato di Bàie) e per gli anni 1594-1617, essi fanno conoscere circa 80 nomi di demoni. E non è raro constatare che il colore nero (caratteristica di Satana} non è loro riservato. A volte in effetti sono verdi, blu o gialli: questo sembra ricollegarli a divinità molto antiche della foresta del Giura. Noi siamo allora riportati in un universo politeista, in cui il diavolo è una divinità fra altre, suscettibile di essere adescata e che può essere benefica. Gli si presentano delle offerte, salvo poi a scusarsi di quésto gesto davanti alla Chiesa ufficiale. Cosi fanno ancora al nostri giorni ì minatori di Potosi che rendono un culto a Lucifero, dio del sottosuolo, ma se ne pentono poi periodicamente nel corso di sontuose processioni in onore della Vergine. Il diavolo La peste di Tournai del 1394 (Miniatura di Gilles Le Muisit)

Persone citate: Borgogna, Defoe, Dekker, Gilles Le Muisit, Giura, H. Bosch, Jean Delumeau

Luoghi citati: Francia, Londra, Lorena, Marsiglia, Milano, Roma