Un po' di buon fiele da gettare sul mondo

Un po' di buon fiele da gettare sul mondo La risata di Quino, per distruggere i miti borghesi della nostra società Un po' di buon fiele da gettare sul mondo DA qualche parte, Quino Ijarscritto dì «essere un disegnatore senza stile». Oppure, l'ha detto. Non sappiamo quanta sincerità e quanta civetteria giochino in questa dichiarazione, se pure è stata pronunciata. Certo è che Quino, provenienza argentina mà traguardo (ampiamente raggiunto) internazionale, è uno dei più puntigliosi e attenti disegnatori umoristici di questi ultimi anni. Fin dai tempi di Mafalda, il fumetto che lo portò al S; ccesso in tutto il mondo, Quino elaborò un segno personalissimo'', perfezionando al contempo una visione del mondo atroce. Nel fumetto affidava le sue critiche feroci a una masnada di bambini. Arrivato in Italia a ridosso degli anni della contestazione, quello di Mafalda parve un personaggio che semplicemente secondasse quest'ondata: una bambina distruttiva, sul piano ideologico, fin troppo pronta a rivedere le bucce agli adulti. Certo è che già là il disegnatore e umorista argentino dimostrava la sua sorprendente capacità di graffiare o meglio incidere bubboni con la rapidità di una pantera che colpisce e scappa. Ma il meglio Quino lo sta forse dando ora, che ha messo lo stop a Mafalda, per volteggiare nel mondo della vignetta tradizionale o delle vignette in sequenza ma non propriamente strutturate in fumetto. I suoi personaggi sono spesso spaventevoli. Pochi come lui hanno un senso indecentemente discreto di che cos'è la vecchiaia: i suoi anziani fanno sordidamente pena. E si respira, sia nel disegno meticoloso, sia in un certo gusto macabro, da trionfo della morte visto con occhio barocco, un alcunché di volutamente «rétro»: non vi imbatterete mai in capelloni, tanto per dire, sfogliando le pagine dei suoi album. Tutt'al più, qualche concessione potrà essere fatta a una graziosa ragazza in minigonna, ma senza calcare troppo il pedale sulla sessualità. Più che altro, gli abitanti delle sue tavole sono personaggi in grisaglia o spinati, vecchiette persine ottocentesche, gentiluomini deteriorati dal tempo ma con addosso ancora troppo umani pruriti. Ecco, noi crediamo che forse il segreto della genialità di Quino, e non ci sembra di sperperare per lui una parola troppo grossa, stia in questo costruire per accenni e suggerimenti, senza forzature evidenti, un mondo saldamente borghese, dalle radici ottocentesche, però ribaltando la:visione che nell'Ottocento il borghese aveva del mondo: e cioè un'idea tutto sommato rassicurante, con prospettive avvenirìstiche ottimali. La scienza avrebbe fatto quadrare tutto, in fondo si sarebbe potuta conciliare l'idea di Dio con quella del progresso tecnologico. Quino, invece, e non sappiamo quanto ne sia consapevole, vignettizza in modo apparentemente'tradizionale, insomma senza abbandonarsi a un segno finto-ingenuo alla Copi, così spoglio, moderno, avanguardistico, ricostruendo otticamente strutture tradizionali: ma, al loro interno, egli fa sgorgare tutta la sua esulcerata paura, tutto il suo schifato pessimismo. Dato che oggi si parla tanto di pensiero, negativo, cercandone padri e antenati dappertutto, noi diremmo che Quino appartiene a buon diritto a questa stimata famiglia. Ed è tanto più curiosa la sua presenza in questa genealogia (come figlio, nipote o bisnipote, non importa), quanto più graficamente occultata con le grazie di un disegnatore che, lo voglia o meno, ha uno stile e se lo tiene caro, possiede trucchi e tecniche da accademico, pur con la tentazione di irriderli. Lontano dall'Argentina, dove nacque, terra di ufficiali burbanzosi e seriosi, gretti come i suoi eroi in grisaglia, Quino è un esule. Ma non dall'Argentina, quanto piuttosto dal mondo, o da ciò che ne è la finzione rassicu-, rante. Il suo odio per il potere è travolgente. Una vignetta per tutte. Un povere- diavolo, spelacchiato, curvo, con il cappello in mano, davanti a una porta sulla quale campeggia la scritta: «Direttore Generale». E più sotto il pazzesco avvertimento: «Chiudere la porta prima di entrare». Occorre altro? No: soltanto prendere visione di quell'ometto di mezz'età, smarrito e vinto, reo confesso di essere vissuto da subalterno. La morte, in Quino, la fa da padrona: quante vignette fanno ghignare fiele, ti introducono nell'Ade senza rassicurarti, come per un tirocinio da fare subito? Cè molto di spagnolo, di ispano-americano, in questo. Le nozze con la tremenda signora vengono celebrate un pochettino ogni giorno, burocratizzate (e sa il cielo quanto Quino si. sbizzarrisca nello sfottere, satireggiare e inzaccherare di palta la burocrazia d'ogni tipo). Quino: ovvero il fallimento del nostro secolo visto attraverso il precedente. Il crollo del mito, delle speranze, lo spalancarsi del nulla esistenziale, della noia e della nausea davanti ad eroi che se ne ritenevano immuni per definizione e diritto. Un'architettura di un grafismo acutissimo, una sperimentata paura di vivere, esorcizzata dalla voglia di ridere. Magari con la bocca di sghimbescio. Carlo della Corte

Persone citate: Carlo Della Corte,

Luoghi citati: Argentina, Italia, Mafalda