Debolezze di un duro di Giovanni Cecchin

Debolezze di un duro Debolezze di un duro IL «mito» di Hemingway, l'Hemingway delle corride e della caccia grossa, l'Hemingway dei gesti vistosamente, esibizionisti, che addirittura si ammazza quasi a celebrazione di un suo stesso personaggio (come se i 25 elettroshock cui dovette sottoporsi nell'ultimo anno di vita e gli altri innumerevoli malanni non significassero nulla)... E se tutto fosse frutto della dabbenaggine di giornalisti e critici superficiali e di biografi male informati? Eugenio Montale, che incontrò Hemingway a Milano da Mondadori nel 1948, non si lasciò affatto impressionare dalla sua «insolente apparenza». Sotto quella «venerabile barba tolstoiana... e massiccia carrure da Vichingo» il poeta- scorse «un uomo timido... che arrossiva come una fanciulla, felice di trovarsi fra amici e ammiratori». E sulle pagine del Corriere della Sera aggiunse un'osservazione che è chiave interpretativa non solo di certi modi ingenuamente appariscenti dell'uomo Hemingway, ma anche delle sue opere letterarie: «Hemingway (ha) rovesciato il suo innato pudore, facendone uria sorta di sfrontata estroversione; la sua "carica aggressiva" (è) un modo di essere e di difendersi in un mondo ostile, in un "paese straniero"...». Montale vedeva, nel motivo della violenza e della morte, dominante nelle opere di Hemingway, il segno evidente di un suo senso precario dell'esistenza; insieme con il coraggio e la «virilità», tipici atteggiamenti di personaggi hemingwayani, che sono in realtà un «farsi coraggio», una specie di «canta che ti passa». Non a caso il primo episodio di un progettato rpmanzo sulla guerra in Italia (quello che sarà in seguito Addio alle armi) è una stupenda illustrazione del motivo della paura (v. «La notte prima dello sbarco», ne I racconti di NickAdams). Hemingway stesso fu al riguardo esplicito. «Quando la ferita sanguina io piango», disse una volta all'amico giornalista Aaron Hotchner. E in un'altra occasione, al suo editore Max Perkins: «E' dall'S lu¬ glio 1918, quando sono stato ferito a Fossalta di Piave, che non sono più hard-boiled (un "duro")... quando mi son sentito uscire l'anima dal corpo come un fazzoletto di seta che ti viene sfilato dal taschino per un angolo...». Le confessioni del romanziere sono la migliore introduzione alle poesie, circa una settantina, che egli scrisse in gran parte negli Anni Venti e apparvero in piccole riviste letterarie o in edizioni limitate, mentre altre rimasero inedite, e che ora l'editore Scribner's di New York sta per raccogliere e pubblicare in volume. Notevole, in esse, la varietà dei temi trattati: la guerra, i soldati, i borghesi, la falsa retorica, le convenzioni sociali, piccoli quadri feroci di un Ernest che guarda alla vita con gli occhi disincantati, spesso crudeli, perché scioccato, ma anche con un enorme bisogno di poesia, quella vera. Vi appare inoltre un Hemingway «appassionato artigiano» che ricerca seriamente un suo stile, che sperimenta ritmi, cadenze, motivi, frasi, singole parole, attento al loro «suono» («Io nei miei libri ho usato parole come Bach e Mozart hanno usato note musicali», dirà in una celebre intervista a George Plimpton nel 1958) per spremerne significati freschi ed essenziali. H fascino di certa sua futura prosa ha qui la sua orìgine. I versi che qui si pubblicano, àncora inediti nel testo originale e che devo alla cartesia del prof. Carlos Baker, dell'Università di Princeton, sono senza titolo e data. Hemingway sullo stesso tema (violenza e le sue diverse forme) ha pure scritto una «variazione» in prosa, là punta secca o racconto minimo «Due ungheresi entrano in una tabaccheria alle due di notte» di Nel nostro tèmpo (1923) poi incluso anche nella raccolta I quarantanove racconti (1938). Lo sfondo di Chicago (i macelli stock Yards) e particolarità stilistiche fanno risalire la composizione della poesia al 1919 o 1920, subito dopo il ritorno dello scrittore dall'Italia. Giovanni Cecchin

Luoghi citati: Chicago, Fossalta Di Piave, Italia, Milano, New York, Vichingo