La Cina chiude il libretto rosso

La Cina chiude il libretto rosso Per capire il dopo Mao, mentre arriva in Italia Hua Kuo-feng La Cina chiude il libretto rosso MENTRE da noi arrivano i cinesi, Hua Kuo-feng in testa, che possiamo leggere sulla Cina per rimettere un po' d'ordine nelle nostre idee su quel paese oggi intenzionato a avvicinarsi, a saltare il fosso, a aprirsi? Per ironia della storia (o della moda?) è avvenuto che quanto più la Cina si chiudeva, tanto più c'era, da noi, richiesta di Cina, e quanto più si apre, tanto più sembra scemare l'interesse per l'attualità, per il contingente, per il quotidiano che sono, in realtà, gli aspetti sui quali i cinesi stessi oggi si interrogano. Li volevamo meravigliosi e impenetrabili, lontani e distaccati, perché soltanto così potevamo violentarli, appropriarcene a nostro uso e consumo, intellettuale si intende, farne «l'altro» da additare a modello o al ludibrio. La loro «diversità» eccitava discorsi estremamente rarefatti ma indubbiamente stimolanti per noi che, per inveterato secolare costume, sempre della Cina abbiamo fatto la proiezione di un nostro sogno politico, senza curarci mai di approfondire quella realtà ma prendendone disinvoltamente spunto per mitizzarla. Anche la banalità del loro quotidiano (certo evidente) è stata sfruttata per costruire pagine edificanti sui «cinesi», generalizzazione a pensarci bene molto offensiva perché appiattente delle individualità. «I cinesi fanno così e cosi», «I cinesi dicono che...», «I cinesi invece...». Il dopo-Mao, cioè questi ultimi tre anni, hanno per fortuna inaugurato nuovi filoni nella pubblicistica sulla Cina: quello del ripensamento autocritico, quello della recriminazione per «Ze belle cose che avrebbero potuto essere ma non furono», quello del reportage più preciso e attento a cogliere aspetti della realtà quotidiana, quello (più raro ma tut^ tavia presente) dell'analisi approfondita di certi aspetti, non il Tutto-Cina ma alcune componenti della cultura, dell'economia o della letteratura cinesi. E ecco quindi, freschi di stampa, due libri di giornalisti italiani, subito rivelatori del nuovo reportage, sulla Cina, non più mitizzante ma sempre tuttavia «amichevole». Si tratta di I sei mesi che hanno cambiato la Cina di Sergio Lepri e di Cina di Enzo Biagi. In realtà sia Lepri che Biagi si sono accostati alla Cina ciascuno secondo il proprio «stile», la propria scuola e forma mentis professionale, dandoci due spaccati e due libri diversi. Che possano essere considerati tipici del nuovo «stile» di reportage sulla Cina deriva probabilmente dal fatto che la Cina stessa, per prima, ha cambiato «stile». Lepri, da diciotto anni direttore dell'Ansa, la massima agenzia italiana di informazioni, ha scelto il taglio «raccontare i fatti senea commento» e quindi, per i sei masi più appassionanti della recente storia cinese, quelli che vanno dall'ottobre 1978 all'aprile 1979, e che hanno visto grandi mutamenti, ci offre una cronaca giorno per giorno che coglie nella loro immediatezza tutti i temi che via via affiorano, molti dei quali già negli anni precedenti «bollivano in pentola». Preziosissima dunque questa cronaca di fatti perché trovarseli tutti riuniti, uno dietro l'altro in serrata successione quotidiana, permette alla fine al lettore di darsi, in parte, quelle risposte che Lepri volutamente non dà, consapevole com'è dell'impatto della notizia e dei pericoli dell'interpretazione. Anche Enzo Biagi non interpreta bensì racconta fluido in questa sua ultima e complessa «geografia» avvalendosi della sua collaudata tecnica: citazioni, interviste, non descrizioni elaborate ma colpi d'occhio nominan¬ ti, il tutto in rapida successione cinetica, così che il suo libro sembra quasi la sceneggiatura di un documentario da girare subito perché quésta Cina di adèsso non è quella «di sempre», e quel che è vero oggi potrebbe non esserlo più domani, è dunque Biagi, e questo è il suo merito, racconta di un crescere,- di un movimento e non si sofferma mai, tanto sa che è inutile. Ridimensionato così in un'ottica più precisa e non aprioristicamente edificante, il filone del reportage sulla Cina è senza dubbio destinato a proseguire ma già si rivela secondario rispetto a altri filoni che si propongono un'analisi più approfondita di certi aspetti della storia e della cultura cinesi, presenti e passati : £ '.' Còsi estremamente attuale anche per i recenti segnali di apertura della Cina nei confronti del Vaticano, si ri-, vela il libro di André Chi L'Occidente cristiano visto dai cinesi che raccoglie e commenta scritti di quei letterati confuciani che, alla fine del secolo scorso, si posero il dilemma della modernizzazione del paese, proces¬ so del quale intuivano l'ineluttabilità ma che comportava, per taluni, la perdita della tradizione civile e culturale della Cina, per altri, addirittura, la perdita della sovranità nazionale, quindi la scomparsa della Cina a opera di una cultura che per molti aspetti, non a torto, i cinesi avevano tutti i motivi di considerare «barbara». A leggere questo libro si nota come i letterati cinesi avessero, per certi versi, conoscenze precise e opinioni assai acute sull'Occidentementre, per altri, la loro, ignoranza era così grossolana da sconfinare nella stupidità (osservazioni che potrebbero egualmente applicarsi alla massima parte dei giudizi passati, ma anche attuali, degli occidentali sulla Cina). __'..'„„ Ma il dopo-Mao, oltre a averci portato il V volume delle opere di Mao Tse-tung, tradotto ih italiano direttamente dai chiese da Filippo Coccia e Maria Regis per Einaudi, con una esauriente introduzione e con note in cui si méttono in rilievo le varianti tra le stesure non ufficiali dei testi di Mao (divulgate dalle Guardie Rosse all'epoca della rivoluzione culturale) e la versione ufficiale edita da Hua Kuofeng, all'estero, più che in Italia, ha visto tutta una fioritura editoriale sulTargomento Cina di estremo inte- ~ resse. Si va dalle indagini sociologiche come Avoir 20 ans en Chine... à la campagne di Jean-Jacques Michel e del gruppo di giovani rifugiati cinesi che a Hong Kong hanno dato vita alla rivista «Huang He» (Fiume giallo), prima e più autorevole voce del dissenso, a testi di studio di fondamentale importanza come La civilization de la ' Chine classique di Danielle e Vadime Elisseeff che assieme a Le monde chinois» di Jacques Granét (tradótto iif Italia da Einaudi)* è" lettura indispensabile per chiunque voglia conoscere la Cina in profondità. Oppure a libri insoliti, come quello di Jacques Pimpaneau Chanteurs, conteurs, bateleurs che raccoglie e presenta il teatro delle strade, X testi delle ballate recitate nelle bettole o nei mercati dagli artisti gi. rovaghi, unici depositari, di una delle più ricche tradizioni orali del mondo. E, ancora, è appena uscito in Inghilterra di Dick Wilson Mao, the Feople's Emperór, una biografia compietà di Mao come uomo d'azione, politico, pensatore ma anche come «uomo che amava le donne» (ed è uh libro serio, non di pettegolezzi. Anche il «privato» di Mao, chi potrebbe negarlo?, è «politico»). Di grande attualità anche il libro di Peter R. Moody Opposition and Dissent in contemporary China, una approfondita analisi dei movimenti di opposizione al regime nel periodo 1949-1976 che aiuta à rintracciare le radici e le motivazioni ideologiche che alimentano la recente campagna per la «quinta modernizzazione»: la democrazia. Per tornare all'Italia c'è da segnalare un'opera ambiziosa che ha una collocazione del tutto particolare in quanto è, per certi aspetti,: analisi sufficientemente approfondita della realtà cinese, per altri invece si limita a un livello di accettabile divulgazione. Sì tratta di una sorta di dizionario de La Cina contemporanea pubblicato dalle Edizioni Paoline a cura di Giorgio Melis é Franco Demarchi che propone un compendio di dati essenziali sulla Cina moderna e contemporanea, senza trascurare di proiettarli, quando sia indispensabile alla comprensione, sullo sfondo della Cina del passato. C'è quindi tutto quello che l'uomo di cultura, il politico impegnato, l'operatore economico e sociale, vorrebbero sapere sulla Cina ma non sono mai riusciti a rintracciare ih un'unica pubblicazione come questa che risponde quindi, prima di tut¬ to, a un'esigenza non spet Ustica -ma che, anche agli specialisti, può riservare sorprese e essere utile per la originalità di certe voci (per esempio, la voce «Filatelia», o la voce «Consumi», o ancora la voce «Giochi»). - Ogni voce è firmata (i collaboratori sono oltre cinquanta) ma la massima parte delle voci che si riferiscono all'attualità politica (da «Banda dei quattro» a «Dopo-Mao», da «Pensiero moderno» a «Sindacati») sono, state redatte con infinita .cura dei dettagli e abbondanza di informazioni da Giorgio Melis, uno studioso che in Cina ha vissuto oltre 25 anni e è uno dei pochi in grado di attingere ai documenti cinesi. Suoi sono anche gli utilissimi complementi bibliografici in calce a ogni voce del Dizionario,, il cui scopo non è tanto documentare le informazioni contenute nel saggio, quanto suggerire letture integrative. Insomma, per merito di Melis e di altri autèntici specialisti della Cina come Giuliano Bertucciolir, Lionello Lanciòtti, Piero Corradini, Mario Sabattini, David Marno, questo dizionario della Cina contemporanea nel panorama delle pubbli-, cazioni italiane di questi ultimi anni, si pone come serio tentativo, pur con le inevitabili lacune e entro i limiti di spazio di un'opera di carattere generale, di avvicinare la Cina. E : cinesi? «I chinesi» si potrebbe dire col Foscolo «non sono stati ancora conosciuti in Europa sotto il vero punto di vista. I missionari (marxleninisti? proviamo a sostituire...) che furono i primi a parlarne, per quella ordinaria propensione di tutti gli scopritori a magnificare il valore delle proprie scoperte esagerarono i meriti e il grado di incivilimento dei Chinesi. Colla scorta di questi vi ebbero alcuni filosofi (non facciamo nomi ina si potrebbe...), i quali, per quell'amore loro naturale dei paradossi, e perché sovente sono presi dalla triste voglia di disprezzare quella porzione della loro specie che conoscono più dappresso, e lodar quella di cui meno sanno da lungi, si deliziarono nelle leggendeM quei primisanti padri dell'Asia... Questa stravaganza provocò necessariamente una stravaganza opposta... . ne misero persino in dubbio la popolazione, l'antichità e la destrezza manuale e. li rappresentarono come i più vili e dispregevoli fra le bar-, bare nazioni, che, ad eccezione dell'Europa, coprono il resto della superfìcie del globo...». Bene o male siamo (o eravamo) ancora ai tempi di Ugo Foscolo. Ma qualcosa sta cambiando. Arriva Hua Kuo-feng, l'editoria italiana si sta facendo più accorta, insomma ancora qualche secolo (decennio?) di sforzi da parte nostra (e anche da parte cinese) e poi, chissà, magari' i due fiumi si incontreranno... - Renala Pi su Questi gli ultimi libri pubblicati in Italia sulla Cina, citati da Renata Pisa nei suo articolo: Sergio Lepri, «I sei mesi che hanno cambiato la Cina», SugarCo, Milano, pp. 254, L.4200. Enzo Biagi, «Cina», Rizzoli, Milano, pp. 242, L. 8000. Autori Vari, «La Cina contemporanea», Paoline, Roma, pp. 1260, L. 30.000. Mao Zedóng, «Rivoluzione e costruzione», Einaudi, Torino, pp. 752, L. 15.000. l'Ili saggio...di. André Chi «L'Occidente 'cristiano visto dai cinesi», è di imminente pubblicazione.