Né uomo né donna approda al suicidio

Né uomo né donna approda al suicidio Il diario dell'ermafrodito riscoperto da Foucault Né uomo né donna approda al suicidio Herculine Barbin UNA STRANA CONFESSIONE Memorie di un ermafrodito presentate da Michel Foucault Einaudi, Torino 130 pagine, lire 3500 >i OCAT.TT3f~\ n,iA nnrri- m , -^'^r fi MA AVW i^ww wwf#«r \, tare a una tenera fandulia che risponde al nome presago di Herculine Barbin e tra i mille tomi di una biblioteca predilige le Metamorfosi di Ovidio, se non di finire catalogata tra i più clamorosi casi di ermafroditismo? Come recita un famoso verso di Montale, «il nome agì*. Un destino già tutto scritto in verbis. Ansi, qui è il Verbo che detta un destino. Chissà quale aerea pagina della sua Nuova' Enciclopedia ne avrebbe ricavato Savinio... Lavorando a raccogliere materiali per la sua Histoire de la sexualité che sta uscendo da Gallimard, Michel Foucault si è imbattuto in un'opera di Ambroise Tardieu, Question médicolégale de l'identité, apparsa nel 1874, in cui figura il memoriale che un ermafrodita di trent'anni, appunto Barbin, aveva lasciato prima, di darsi la morte, a testimonianza delle proprie sofferenze. Estremo atto d'accusa verso la società che lo aveva respinto, tentativo di riscattare il proprio calvario attraverso una sublimazione letteraria: non certo, come opinava Tardieu, un contributo volontario al progresso di una scienza gelida e arcigna. Ancora qualche scavo negli archivi, ed ecco saltar fuori che del caso Barbin si era ampiamente occupata la pubblicistica medico-legale a partire dal 1860, cioè dall'anno in cui un dottore di La Rochelle accertò che il sesso della ragazza Barbin poteva dirsi maschile. Perìzia che una sentenza di Tri- bunale prese per buona, provvedendo alla rettifica dello stato civile di AdelaideHerculine detta Alexina che, diventata Abel, avrebbe vissuto la nuova condizione ancora per otto anni. In attesa di darci un lavoro esauriente sull'ermafroditismo; Foucault (che già aveva reperito il dostoevskiano dossier su Pierre Rivière matricida) ha pubblicato la documentazione in suo possesso, premettendovi una presentazione laconica. A fornire al lettore lumi adeguati ha comunque provveduto Brunèlla Schisa, eccellente curatrice dell'edizione italiana: Pezzo forte del volume è ovviamente il memoriale di Herculine che vi figura col nome di Camille (che in francese vale per entrambi ì sessi). La diarista vi rievoca le proprie sventure, e impreca contro l'avverso destino e la sordità morale dei suoi contemporanei, ma tiene anche a fare sfoggio della buona istruzione ricevuta, delle sue discrete capacità scrittorie, e sacrifica con la dovuta enfasi al Decoro letterario. ' Di modesta condizione, orfana di padre, ma cresciuta all'ombra di famiglie influenti e benevole, frequenta buoni collegi con ottimo profitto e, ottenuto il diploma di maestra, viene chiamata a fare da direttore didattico in un convitto privato, dove le farà da compagna di lavoro e di letto Sara, la figlia della proprietaria. Natura ardente, Herculine si attarda a descrìvere abbracci, baci, carezze e tenerezze che prodiga imparzialmente a tutte le gentildonne, le religiose e le colleghe di studio che le capitano a tiro, ma per quaranta pagine resta nel vago di quell'atmosfera di affetti omosessuali che è caratteristica di ogni ambiente concentrazionario. Così protratta, la tecnica dell'eufemismo serve ad Herculine per preparare il suo piccolo colpo di scena: tace i particolari fisiologici della propria metamorfosi sino al momento in cui la svela implicitamente annunciando il possesso dell'adorata Sara: «Ella era mia*. Quello che era un ambiguo rapporto lesbico diventa all'improvviso un rovente affaire eterosessuale, con progetti di fuga e sogni di matrimonio. Anche qui, fa tutto il Verbo: proprio quando Herculine grida a Sara la propria passione le si manifestano quei dolori all'inguine che segnano il compiersi della mutazione. Due anni dura il menage, avvelenato dai complessi di colpa e dalla paura dello scandalo, ma lo show-down, sempre immanente, non avviene perché nessuno ha il coraggio di affrontare la verità del diverso. Sarà piuttosto Herculine che si rassegna alla visita medica e poi alla proclamazione del suo nuovo stato civile perché spera di trovare così l'identità cui inconsciamente anela, e che le è persinpiù necessaria dell'amore per Sara. Ma deve lasciare l'ambiente ovattato del collegio e la stessa Sara, sfidare la morbosa curiosità dei concittadini e dei giornali, subire il pettegolezzo e le più strampalate insinuazioni, cercare un rifugio nei quartieri più marcescenti di Parigi, mendicare un impiego che viene puntualmente rifiutato al ragazzo debole, macilento, pelosissimo, senza charme e senza protezioni, che è diventato Abel Barbin. Né uomo né donna (ha un piccolo pene «imperforato* e una corta vagina cieca, ma non ha utero) non gli restano che la solitudine e l'invettiva: «Proprio voi, uomini degradati, mille volte avviliti e per sempre inutili, zimbelli disprezzabili e disprezzati di creature corrotte, di cui menate vanto come di una coquista, proprio voi, dico, verrete a gettarmi in faccia il sarcasmo e l'oltraggio? ...Io mi libro al di sopra di tutte le vostre innumerevoli miserie, partecipando della natura degli angeli; poiché l'avete detto, non c'è posto per me nella vostra angusta sfera. A voi la terra; a me lo spazio illimitato...». Abel sapeva bene di poter trovare quello spazio soltanto nella morte, che avrebbe finalmente inverato la sua esperienza, dandole l'autorevolezza di un martirio laico. Una strana confessione è uno di quei testi che, al di là del loro valore intrìseco, ci interessano soprattutto per l'immagine della società che vi si rispecchia: medici, giudici, avvocati, crìminologi, autorità e burocrati d'ogni genere, curiosi, benpensanti, anime pie, tutti impegnati a godere lo spettacolo del Male e ad esorcizzarlo, a usarlo e a spiegarlo in termini di scienza positiva, a razionalizzarlo per poterlo meglio gestire. Un coro grìgio di persone rispettabili, che la vendetta del tempo deforma sino a renderlo, quello sì, mostruoso e ripugnante. Ernesto Ferrerò

Luoghi citati: Montale, Parigi, Torino