La felicità costava solo dieci centesimi di Sandro Casazza

La felicità costava solo dieci centesimi Ma il cinema non conosceva la crisi La felicità costava solo dieci centesimi NELLA Grande Crisi americana si conservò un'isola felice: Hollywood, In piena rivoluzione del sonoro, l'industria cinematografica godette un momento di particolare fortuna economica e creativa. Mentre 5000 banche chiudevano i loro sportelli e 12 milioni di persone vagavano per il Paese senza lavoro, pochi americani seppero rinunciare atta spesa di dieci o quindici cents per entrare nel mondo incantato del cinema che offriva un doppio programma, il serial e magari, in aggiunta, un paio di cartoni animati. Almeno una volta la settimana, dice uno studioso dell'epoca, la maggior parte dette Jamiglie «voleva offrirsi una puntata in quel Paese delle meraviglie dove le orf anelle trovavano nella casa di genitori adottivi ricchezza e felicità, gente bella e affascinante trascorreva esistenze agiate e dispendiose, e ballerine senza scrupoli usavano dei propri attributi fisici e della propria tenacia per alleggerire milionari boriosi dei loro dollari e, nello stesso tempo, punzecchiare la loro pomposità)». L'America di Roosevelt chiedeva per la ricostruzione di un'economia e di un mito soprattutto la fiducia dei cittadini e la loro disponibilità all'ottimismo. Hollywood e il cinema furono eccezionali veicoli di propaganda alla nuova «American way of life». La prima immagine che emerge dalla memoria, cercando tracce detta Grande Depressione nel cinema statunitense, è il volto tragico e angosciato di Henry Fonda in «Furore» di John Ford. Il film è del 1940, l'America aveva avuto bisogno di un decennio di lenta ripresa per trovare il coraggio di tracciare un affresco privato e corale sulla feroce miseria di quegli anni Quasi un esorcismo per una realtà drammatica, ormai vinta e destinata alla rimozione. Negli anni più cupi delta crisi, il cinema, hollywoodiano preferiva invece cantare, ballare e ridere, o almeno sorridere. Anche se' Ford coltiva un suo filone drammatico e rea- Ostico con n sottomarino (1930), Un popolo che muore (1931), H traditore (1935) e il Mèlo sentimentale, avventuroso o esotico ha i suoi artefici in Borzage, Curtiz e Stemberg, i segni più eloquenti di quel decennio furono Frank Capra (abbastanza vicino a Cukor) sul versante detta commedia e Busby Berkeley, per il musical I personaggi, l'umorismo quotidiano, le situazioni che l'italo-americano Capra, con la collaborazione detto sceneggiatore Riskin riesce a far filtrare dallo schermo sono corroboranti flebo di ottimismo rigeneratore, un anestetico utile contro la disillusione collettiva. I titoli sembrano quelli delle nostre canzonette d'epoca: La donna del miracolo, La donna di platino, Accadde una notte, Signora per un giorno, E' arrivata la felicità, L'eterna illusione, Mr. Smith va a Washington. Dal ricordo di questi film emerge un volto: la paciosa, tranquillizzante maschera di James Stewart: un misto di ironia, buon umore, ingenuità, onestà e benessere borghese che rappresenta il segno esattamente contrario all'inquietante sguardo disperato di Fonda. L'operazione ottimismo divulgata da Hollywood cercava sostegno anche nel musicaitra i primi a cantare sullo schermo fu Al Jonson (1927, il cantante di jazz) e appena due anni dopo Lubitsch con fi principe consorte (Jeanette MacDonald e Maurice Chevalier), e King Vidor con Allelujah già fissavano i canoni di un genere che conosceva nel decennio successivo una fortuna nazionale e internazionale senza precedenti, grazie soprattutto atta coppia Astaire-Rogers e atta bimba prodigio (specie per il box office; Shirley Tempie. Ma Hollywood, come sempre, aveva due facce, non cantava e rideva soltanto. Di fronte al mondo allegro, fascinoso della commedia e del musical si ergevano gli sfondi umani, urbani, carichi di insidie e di violenza, del genere gangster, n piccolo Cesare di Mervyn Le Roy con Eduard G. Robinson è del 1930, Scarface di Hawks con Paul Munì è del 1932. Ci sono poi Le vìe della città con Gary Cooper, L'uomo della scure, Pericolo pubblico, La pattuglia senza paura con James Cagney e Le belve della città con Humphrey Bogart I delinquenti diventano eroi dell'avventura e del coraggio contro le istituzioni. La polizia è maltrattata o sbeffeggiata, banchieri, uomini detta legge, detta giustizia, autorità politiche, padroni dell'industria e della finanza sono i personaggi di una società corrotta, ipocrita, marcia e violenta dalla quale emerge con contorni di simpatia la figura de? 'bandito, sempre fedele a un codice di onore almeno rispettabile. Una specie di cupo giustiziere che riesce a mettere sotto il tallone i rappresentanti di una classe sociale alla quale il cittadino medio attribuiva le cause del disastro economico del Paese. In un'epoca in cui la grande crisi minava alle fondamenta la credibilità del sistema, era assai poco gra¬ dito un cinema che' indirèttamente ne rappresentasse la debolezza e le pieghe infette. I gangsiers détto schermo ebbero così'vita più difficile che quelli della strada. Insieme con le campagne «moralizzatrici» di organiszazioni come le «Fighe della rivoluzione americana» o i «Cavalieri di Colombo» arrivò il pronto intervento del repubblicano Will Hays promotore di un codice di autocensura' a cui Hollywood di buon grado si sottopose tagliando chilometri di pellicola «pericolosa» e «immorale».-Lo scopo primo denunciato era quello di difendere l'immagine della polizia, ma dietro questa crociata si nascondeva anche una massiccia battaglia in difesa di tutte ite istituzioni minate. All'organizzazione del consenso impostò dal New Deal non era facile sfuggire. Anche Walt Disney, quasi in antitesi con i fratelli Fleischer, cedette alle lusinghe del mercato hollywoodiano e agli inviti del rooseveltismo stemperando a poco a poco il suo disegno animato della carica distruttiva che prima possedeva. Dal Mickey Mouse surreale si passa a Biancaneve e i sette nani; a Pinocchio, a Fantasia. Tra te poche voci autonome e non allineate di quel decennio spicca ancora una volta il nome di Chaplin. Il grande poeta anticonformista irride gli inviti per una buona volontà costruttiva, rifiuta i condizionamenti dell'industria hollywoodiana ormai sposata al sonoro e butta in piazza Tempi moderni (filmmuto nel 1936) mostrando di che lacrime grondi e di che sangue nette fabbriche, sulla pelle (degli operai, il rooseveltismo e il suo diretto figlio: il taylorismo. Un gesto di coraggio e di improntitudine che non gli fu maiperdonato. Se ne ricordarono anche i tribunali per le attività antiamericane e Charlot con bombetta, bambù e chiavi inglesi in mano dovette emigrare verso l'Inghilterra, indesiderato negli Usa. Sandro Casazza

Luoghi citati: America, Hollywood, Inghilterra, Usa, Washington