Il romanzo del grande crollo di Claudio Gorlier

Il romanzo del grande crollo Scrittori e poeti nel «crack» finanziaria Il romanzo del grande crollo L'EPIGRAFE letteraria per la Depressione del '28 si potrebbe trovare, secondo il suggerimento di Malcolm Cowley in The Exile's Return (H ritorno dell'esule, un libro chiave sulla vita culturale americana di quegli anni), in una poesia di E. E. Cummings: «2 bambole / di Boston; trovate / con / buchi, ciascuna / nella ninna-nanna dell'altra». La composizione si riferisce al suicidio di Henry Grew Cro•sby, a trentadue anni, con una giovane amica. Crosby, che apparteneva a una delle grandi famiglie bostoniane, era stato uno dei mecenati della cosiddetta Generazione Perduta. Forse la sua morte era l'epilogo di una storia d'amore contrastata, ma sta di fatto che sembrava acquistare un senso tutto particolare in un momento traumatico, nei quale il suicidio diventava una scelta tutt'altro che isolata o occasionale. Cosi, probabilmente, la intese Cummings. Nel "32. in una specie di sposalizio mistico con il mare, si uccideva Hart Ciane, uno dei maggiori poeti americani del sècolo, amico di Crosby. Bisogna saper morire al momento giusto, aveva dichiarato Crosby, il quale avrebbe potuto essere benissimo un personaggio di Fitzgerald. In sostanza, la cultura americana attraversava un periodo decisivo in quanto registrava la crisi, propria e del paese: non aveva aspettato il Grande Crollo per accorgersene, e la rappresentava, comprensibile mente, dall'interno. Il grande Gatsby, Tenera è la notte di Fitzgerald, Il sole sorge ancora di Hemingway, tanto per fare degli esempi canonici, offrivano i termini di una crisi traumatica radicata nell'ambiente borghese americano, toccando, in un racconto come rhemingwayano Un luogo pulito, ben illuminato, la ironica metafisica del nulla. Pure, la cultura americana arrivò alle soglie del «New Deal» rooseveltiano con una sua confusa ma caratteristica politicizzazione. H contraddittorio anarchismo di Dos Passos metteva in questione, almeno in qualche misura, il sistema e le istituzioni socio-economiche; Theodore Dreiser, la cui narrativa, fino al culmine di Una tragedia americana, registrava una critica aspra del grande capitalismo e dei monopoli, pubblicò nel '31 un libro di saggi intitolato Tracie America in cui proclamava (nel capitolo «Chi possiede l'America?»): «Vogliamo un governo per tutto il popolo! Nessuna enorme ricchezza nelle mani dei privati! Vogliamo dirigenti capaci per il bene di ruttigli Americani!». Nessun invito alla rivoluzione, s'intende, né qui né in Dos Passos né. tanto meno, nell'America provinciale di Sinclair Lewis, il cui personaggio esemplare, Babbitt, incarnava il borghese del Middle West, sanamente fiducioso ned concetto di produttività e di consumo, e costretto ad affrontare situazioni drammatiche respingendo le seduzioni di ambienti classificabili abbastanza legittimamente come, fascisti. Ma ecco che proprio Lewis, nel discorso per il Nobel, attaccava a sua volta taluni apsettì dell'America fi-, no a meritare l'accusa di sovversivo; del resto, negli Anni Trenta Washington era sembrata alle soglie della rivolta, quando le truppe del maggiore Eisenhower avevano caricato brutalmente le colonne dei dimostranti, per lo più ex combattenti disoccupati. Proprio allora uno dei giovani critici di maggiore ingegno negli Stati Uniti, Richard P. Blackmur, stando alla sua esplicita confessione fu co-' stretto a mettere in vendita la biblioteca personale per sopravvivere. Una sinistra letteraria esisteva, comunque. Si era fatta le ossa nel primo dopoguerra, tanto che alla fine degli Anni Venti, in coincidenza con la Depressione, la letteratura e l'arte proletaria erano un dato di fatto. Nel '29 per lo meno una rivo-' luzione culturale sembrava possibile ai Mike Gold, l'autore del romanzo Jews without Money (Ebrei senza soldi) e battagliero collaboratore di «New Masses», ai Max Eastman, ai Gran ville Hicks, comunisti di osservanza sovietica o trotzkisti; per tacere della sinistra liberal-riformistica, che annoverava tra gli altri il critico e saggista Edmund Wilson. Hicks esprimeva il desiderio «appassionato» di schierarsi con i proletari: Gold e i suoi amici attaccavno Fitzgerald, Dos Passos, O'NeiU, Wilder, tacciandoli di pessimismo disfattistico e di decadentismo borghese. Phillips e Rahv, direttori della «Partisan Review», la rivista che attraverso varie vicissitudini e aggiustamenti di tiro ha resistito fino ai nostri giorni bollavano la «volgarità organizzata e la corruzione detta nostra società». In effetti, neppure la rivoluzione culturale ci fu, in un paese nel quale il rapporto tra intellettuale e classe operaia appariva irrealizzabile negli schemi europei, e le professioni di fede ideologiche subivano clamorose metamorfosi. (Chi voglia saperne di più, veda l'eccellente contributo di Giuliana Gigli,. «Ideologia letteraria e sinistra americana nella Depressione», in «Lavoro critico» 11-12, luglio-dicembre 1977). Ma una qualche forma di militanza, più netta e determinata nel teatro, specie con Clifford Odets, più sfumata e occasionale in letteratura, preparò e accompagnò la stagione culturale del «New Deal», durante il quale la sinistra, almeno in parte, accolse gli autori prima ripudiati e altri, come il romanziere realista James T. FarreU.- . La verità è che l'intellighent sia americana, avvezza da sempre all'emarginazione in una società portata o alla mercificazione o al sospetto per ogni trasgressore delle sue regole, visse durante il «New Deal» una grande illusione, quelle cioè di contare politicamente. Roosevelt aveva promosso una serie di programmi per sostenere la letteratura, le arti, il teatro (alla vigilia della guerra, l'esperimento effi- mero del Federai Theatre). Scrittori furono incaricati di redigere guide di ogni Stato americano, divenute oggi rarità da collezionista; pittori affrescarono edifici pubblici Una vena di populismo toccò persino Hemingway, e ne venne fuori Avere e non avere. La guerra di, Spagna mobilitò crociate antifasciste; .momenti radicali si mescolarono a riflussi moderati in molti scrittori di primo piano: basta leggere l'epistolario di Fitzgerald. per rendersene conto. Ma come il «New Deal» rimase un compromesso neo-' capitalistico che non assorbì mai del tutto le proprie contraddizioni la cultura americana mantenne fatalmente i propri dilemmi non risolti. Cosi, accanto a personaggi «ufficiali» del «New Deal» — il poeta Arehibald MacLeish, il commediografo Robert Sherwood, tra l'altro segretario di Roosevelt —si annoverò la controspinta degli «agrari» del Sud, e lo stesso Falkner espresse le remore di un mondo a parte, tormentato ma incapace di superare lacerazioni é condizionamenti secolari, il cui. risvolto politico si identifica-' va nei potenti senatori meridionali indispensabili a» Roosevelt e decisi a troncare ogni devianza anche culturale, fino a soffocare iniziative ritenute politicamente pericolose. E' tipico il caso del senatore che giudicava il teatro di Aristofane utile alla propaganda comunista. Sì comprende il fàscino esercitato sui lettori europei da un Caldwell, al quale va peraltro il merito di aver rappresentato un Sud disinibito, e da uno Steinbeck. Indubbiamente, sia Furore sia La battaglia propongono uh quadro senza mdulgehzé della condizione delle classi popolari e dell'arroganza spesso impunita dei capitalisti e degli agrari. Eppure, i contadini dell'Oklahoma so-1 no in Steinbeck fittizi e idealizzati fondamentalmente apolitici se non conservatori a prezzo della rovina, mentre la presa di coscienza politica si risolve in gesti individuali spesso patetici, trasfigurati in una sorta di martirologio, di iti- verso un nerario spirituale ipotetico riscatto. Tacciono, poi, le grandi minoranze etniche con i loro problemi: poco o nessuno spazio viene concesso ai neri, più che mai invisibili, per ricorrere alla metafora adottata nel secondo dopoguerra da Ralph Eilison L'illusione, dunque, si consuma presto, anche se va sottolineato che essa ebbe radici più profonde e più rie che dell'altra, suscitata con fini ben precisi paternalisticamente, da John Kennedy. Sarebbe però sciocco liquidare quel decennio sommariamente con le sue testimonianze e il tentativo di ricondurre il «Sogno americano» alle sue promesse o di descriverne la crisi Pensiamo alla pittura di Ben Shan, pensiamo a testi oggi inosservati, come il memorabile racconto del poeta John Berryman, The Imaginary Jew (l'ebreo hnmaginario), scritto alla, vigìlia della seconda guerra mondiale. E' la rappresentazione di uno scoppio di violenza collettiva di gente pronta al linciaggio della vittima designata, il modesto e quasi anonimo, ma pericoloso piccolo borghese rooseveltiano, cui si appone l'etichetta di ebreo per antisemitismo e perché l'intellighentsia ebraica stava spesso a sinistra. Ecco una forza emergente, la «folla solitaria» studiata poi da Riesman, e spesso manipolata dai mass media' che durante il «New Deal» raggiunsero un punto di decisiva espansione, ancora in larga parte da riesaminare, ma che si pone alla base del grande iceberg americano. Hearst, Luce, le loro catene giornalistiche e radiofoniche, sono tra i grandi protagonisti di quegli anni. Lo comprese bene Orson Welles, e a sue spese Yélìte letterana. A Hollywood spettava di fornire la realtà dell'immaginario quotidiano. Fiorello La Guardia, il boss democratico, si portava Rodolfo Valentino ai comizi; Babe Ruth, un campione di baseball, fu tra i personaggi più celebrati del decennio. Il «New Deal» era anche questo. Claudio Gorlier Servizio illustrato con foto di Ben Shahn esposte al Regio di Torino