Va in scena il dialetto
Va in scena il dialetto Alla Biennale si discute sui linguaggi teatrali Va in scena il dialetto VENEZIA — Non più di cento anni fa l'italiano era una lingua morta. Fuori dell'area toscana e di Roma parlava italiano — secondo la stima di Devoto — lo 0,8% della popolazione: tutti gli altri si servivano del dialetto. Manzoni, ad esempio, trovava più agevole parlare e scrivere in francese e quando si muoveva nella sua città si esprimeva sempre in dialetto milanese. Lo ha ricordato Tullio De ■ Mauro nella sua relazione al convegno «Lingua e dialetto nel teatro italiano oggi», che ha aperto i lavori della Biennale Teatro 79 presso l'Ateneo Veneto. Il tema del convegno si è ampliato al di là. della «lingua» o dei «linguaggi» strettamente teatrali, per l'intervento di alcuni filologi e linguisti che hanno preferito estendere la materia delle proprie relazioni all'accezione più ampia del rapporto lingua-dialetto. Così De Mauro ha ricordato la posizione gramsciana tendente ad attribuire un segno negativo alla dialettalità, intesa come paesanità con effetto frenante sulla formazione di una cultura nazionale. Secondo il relatore, al contrario, l'italianizzazione «selvaggia e approssimativa» degli ultimi vent'anni ha dato origine a una sorta di esperanto «che distrugge i tessuti idiomatici locali senza portare reale conoscenza dell'italiano»; nel plurilinguismo, in ultima analisi, De Mauro vede «un grande fatto di cultura nazionale capace di garantire il volto internazionale dell'Italia». La brillante relazione di Ezio Raimondi ha esteso ulteriormente (ma con totale pertinenza) i limiti del tema proposto dagli organizzatori del convegno, muovendo dall'assunto dell'intrinseca teatralità dello scrivere. L'azione dello scrittore è allora «l'esperienza drammatica del corpo che scrive» e la scrittura drammaturgica non fa che portare alle estreme conseguenze un principio comune a tutte le forme di attività letteraria. Una esemplificazione di tale principio è stata individuata e proposta da Raimondi nella «linea Pirandello-Gadda», dove la letteratura dialogica di particolari autori (Gadda, Celine) rivela profonde affinità con la struttura del monologo teatrale. Ruggero Jacobbi ha posto invece l'accento sulla duttilità fonica del dialetto, confrontata con la «impronunciabilità» teatrale dell'italiano, di cui ha rilevato in maniera sottilmente paradossale la vocazione alla cacofonia L'argomento della «scrittura scenica» comporta evidenti nessi strutturali con quello della letteratura drammatica, in alterna predominanza — secondo l'orientamento critico adottato — del testo drammaturgico sulla messa in scena e viceversa, n copione teatrale è un testo provvisorio, un canovaccio che lascia margini discrezionali all'estro dei «comici», mentre il testo drammatico definitivo è de' stinato alla lettura. Sulle edizioni critiche e la saggistica teatrale si è soffermato Gianfranco Folena, che ha ricordato awihe l'esistenza dei vocabolari dialettali, dei dizionari, per fare un caso, veneziano-italiano e italiano-veneziano diffusi fino a pochi anni addietro. Più circoscritti all'esperienza teatrale, gli interventi di altri relatori (Mario Raimondo e Claudio Meldolesi, in particolare) si sono appuntati sul teatro dialettale di Pirandello, Viviani, Testori, Eduardo, sul Rasante messo in scena da De Bosio e il Goldoni di Strehler, sulleesperienze di Fo, De Berardinis e De Simone. In appendice al convegno si sono tenuti letture esemplificative e frammenti di rappresentazione di teatro dialettale, ospitati nel Ridotto della Fe- nice- Roberto Nepotl
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