Contro la solitudine della morte di Gabriella Poli
Contro la solitudine della morte Perché gli ultimi istanti siano meno angosciosi Contro la solitudine della morte Elisabeth KùbSer-Ross LAMORTE E IL MORIRE Cittadella, Assisi 318 pagine, 5500 lira PIÙ' avanza la scienza, più si perfezionano le' tecnologie della medicina, più crescer dentro di noi, la paura della morte. Perché non sappiamo affrontare l'evento conclusivo dell'esistenza con calma e rassegnazione? n fatto è che il morire è diventato più spaventoso, solitario, meccanico e ò!lsumanizzànte; ' Sradicato dal suo ambiente, esiliato in ospedale, trattato da quel momento come chi ha perso il diritto di avere un'opinione, il malato grave «a poco a poco ma inesorabilmente — dice la psichiatra Elisabeth KtlblerRoss — comincia a avventare una cosa». Si prendono decisioni senza 11 suo parere, non lo si consulta prima di sottoporlo a nuove terapie o a interventi chirurgici; gli sguardi, più che a lui, sono rivolti alle attrezzature sofisticate che ne misurano il ritmò del cuore, le escrezioni e le secrezioni, le funzioni polmonari, cerebrali, epatiche. In primo piano la sua vita; poi, se ci sarà tempo, lui come essere umano. Conclusione: oggi il malato soffre più di ieri, sotto l'aspetto psicologico se non sotto l'aspetto fisico; e assai spesso, proprio per questo, si avvia verso la morte nella disperazione della solitudine. • Che fare? Come combattere la disumanità che corre nelle corsie degli ospedali privando l'uomo che muore dell'unica medicina che gli sarebbe utile e relegandolo nell'abisso dell'abbandono? Se quei quattro studenti di teologia che nell'autunno del '64, imbarazzati (e spaventati) dal tema da svolgere —una ricerca sulla morte e sul morire —non avessero, chiesto aiuto a una donna intelligente e tenace come la Kuber-Ross, forse questo libro straordinario non sarebbe mai stato scritto. Invece l'incontro è avvenuto, e ne è nàta un'iniziativa tanto semplice quanto sconvolgente: «Chiediamo ai malati vicini alla morte di diventare i nostri maestri. Interroghiamoli. Facciamoci dire da loro che cosa pensano, vogliono e sentono; di che cosa abbiano bisogno e che cosa li offenda». i «maestri» non sono stati facili da trovare, perché tra loro e gli intervistatori si è opposto il muro, innalzato da medici e infermieri, che a tutta prima hanno respinto, e con sdégno, l'iniziativa. Erano uomini e donne incapaci di superare, nel loro intimo, la paura della morte; frenati da rigidi e invalicabili meccanismi di difesa. Poi qualcuno ha cominciato a capire, il muro è caduto e s'è scoperto che i «maestri» non solo c'erano, ma avevano urgente necessità di parlare; d'insegnare «che se è dovere del medico prolungare la vi,ta, lo è altrettanto considerare i bisogni del malato e discuterli francamente con lui; che si può aiutare il malato inguaribile a morire, cercando di aiutarlo a vivere, anziché a vegetare in modo inumano». Duecento sono i «maestri» che parlano attraverso interviste registrate e raccolte nel libro. Una lezione corale, impartita con voce sommessa, ma perentoria. Interrogati durante le tappe finali della loro esistenza, i duecento «maestri» (tutti sapevano di dover morire, anche se nessuno li aveva informati, tutti sono morti chi un giorno, chi due o tre mesi dopo il colloquio), esprimono le ansie, i timori, le attese, le speranze, le frustrazioni del morente. E il libro, riferendo quei dialoghi, ora spenti ora incolleriti, ora pacati e lumi¬ nosi, ora vaganti sui sentieri perduti dei distacco imminente, compila per. noi il codice della persona che muore. Un codice che tutti, non solo i medici e gli infermieri, dovrebbero leggere: per affrontare i malati inguaribili con minore angoscia, ma anche per contemplare con minore disagio la propria morte. . Le interviste sono state condotte dalla Kubìér-Ross affiancata dal medico del re¬ parto, talvolta da un cappellano e da uno studente. Al di là di uno schermo, stava in ascolto una classe di allievi che è andata còl tempo crescendo: medici, infermieri, preti, studenti di medicina e di teologia. H seminario, oggi, è un corso ufficialmente riconosciuto della facoltà di medicina di Chicago. Esiste dunque una terapia per i morenti, quando è troppo tardi o troppo crudele per un qualsiasi interven¬ to medico? Esiste. Con umiltà, dopo aver trascorso anni ad ascoltare i «maestri», la Kubler-Ross la riassume così: sedersi accanto al malato, senza fretta, lasciarlo parlare, scoprire da lui quali sono le sue esigenze. E alla fine basterà tacere: «Coloro che hanno la forsp, e l'amore di stare accanto* al malato nel silenzio che va oltre le parole, saprà che il momento della morte non è spaventoso, ma è la tranquilla cessazione del funzionamento del corpo. Essere terapisti di un malato che muore ci dà coscienza dell'unicità di ogni essere nel vasto mare dell'umanità». Gabriella Poli
Persone citate: Ross Lamorte
Luoghi citati: Assisi, Chicago, Cittadella
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