I fondi di magazzino diventano biblioteche

I fondi di magazzino diventano biblioteche Per leggere a scuola si stanziano pochi soldi e si spendono male I fondi di magazzino diventano biblioteche *m i- A EVITIAMO la teoria e guardiamo la pratica. Come entrano i libri nella nostra scuola e quali e quanti ce ne entrano, a parte i manuali scolastici acquistati ai primi d'ottobre? Potrebbe essere una storia decente, invece è pressappoco un calvario. Cominciamo dagli stanziamenti. Per definizione essi sono scarsi, ma a proposito della scuola oggi questo è vero solo in una certa misura. Per esempio per l'anno solare 1979 il ministero della Pubblica Istruzione ha stanziato, globalmente per la media inferiore e superiore, circa cinquantotto miliardi, cosi ripartiti: ventisei miliardi per le medie inferiori, dieci per i licei classici, scientifici e istituti magistrali, due miliardi per l'istruzione artistica, sei miliardi per le scuole professionali e quattordici miliardi per gli istituti tecnici. Secondo la legge questi soldi devono servire al «funzionamento ordinario» della scuola, che comprende sussidi didattici, materiale di facile consumo, attività integrative e, naturalmente, biblioteche di classe e di istituto. Non dovrebbe invece comprendere le spese per la manutezione scolastica. Due primi rilievi: innanzitutto il discorso si restringe subito, fra le biblioteche, a quelle di istituto, perché è «grassa», come suol dirsi, se ogni scuola veramente la possiede, mentre le biblioteche di classe sono, a tutt'oggi, un puro miraggio. Secondariamente ma non-tanto, questi denari, nella prassi scolastica, coprono spesso spese minime e proprio di pura manutenzione (il vetro rotto, la macchina da scrivere da cambiare) che, previste da altri capitoli burocraticamente disarmanti, sarebbero altrimenti difficilissime specie per scuole decentrate. Ecco due primi sostanziali difetti, n meccanismo si inceppa un'altra volta, a monte, quando si tratta di decidere quali libri comprare. Burocrazia vuole che ogni insegnante faccia presente le sue richieste al preside che le porta in consiglio di istituto, questo redige un bilancio di previsione che diventa esecutivo dopo l'approvazione del provveditorato agli studi (organismo che provvede, avendole ricevute, a spendere le cifre illustrate dopo averle ripartite per scuole). Nelle scuole italiane però manca la figura dell'insegnante-bibliotecario. Al suo posto c'è, in ogni scuola, qualche cireneo scelto fra i docenti che hanno ore esuberanti a disposizione, al quale è automaticamente demandato, a prescindere dalle sue competenze e vocazioni, questo ingrato compito. Questo difetto mette in crisi tutto il sistema dell'aggiornamento librario della scuola e rende quasi sempre inefficaci le biblioteche di istituto. Spesso poi gli insegnanti fanno le loro scelte negli ultimi giorni dell'anno, pressati dal preside che vede scadere i tempi di spendibilità della cifra a disposizione, e non di rado l'ultima parola è affidata al libraio che se fosse disonesto potrebbe anche tendere a utilizzare, con questo sistema, qualche fondo di magazzino. Pochi soldi e mal gestiti è la conclusione del nostro discorso. Un vero peccato, perché ormai sembra conclusa l'onda frenetica che vedeva negli audiovisivi la gran soluzione didattica (con spese enormi, spesso poi non utilizzate), mentre il modo di far scuola si orienta sempre più (anche se la bufera con- tro il manuale si è sopita) a fare uso di più libri per attivare ricerche e pratiche interdisciplinari. Ma che cosa entra in scuola, e che cosa offre il mercato? Quanto alla disponibilità, c'è intanto, pura e semplice, tutta la produzione libraria dell'editoria varia, nella quale si può scegliere fra classici, economici, collane di attualità saggistica e narrativa, opere enciclopediche e di consultazione. Ma accanto, da qualche anno, c'è anche la cosiddetta produzione del parascolastico. Perlopiù collane monografiche (ma anche di narrativa), realizzate con criteri critici e di linguaggio adatti alle varie età dei ragazzi e vendute a prezzi assai contenuti. Si pensi alle collane narrative di Einaudi, di Mondadori (recentissima), di Bompiani, a quelle monografico-critiche di Mursia o di La nuova Italia come «guide alla lettura»; oppure a collane come «Tangenti» di D'Anna o «Scuola aperta» di Sansoni, o «Ricerche» di Loescher (per far solo pochi nomi fra i migliori) che presentano approfondimenti critici e ricche antologie su temi specifici. fì parascolastico nacque qualche anno fa sull'onda della necessità di trascendere il vero uso del materiale e di avviare, almeno nella media inferiore, un'utile attività di ricerca individuale del ragazzo. Gli editori ci hanno creduto e a tutt'oggi almeno una ventina di buone collane esistono sul mercato. La scuola però non ha dato che una tiepida risposta a queste iniziative. Succede allora che, non decollando le biblioteche di istituto (che sarebbero almeno diecimila, quante bastano per assicurare vita decente al parasco¬ lastico, in termini di copie assorbite) gli stessi editori tentano di aggirare l'ostacolo proponendo agli insegnanti di indicare, ai ragazzi l'adozione di questi libri. L'operazione in sé discutibile comporta— dal punto di vista editoriale — un'enorme quantità di copie di saggio, con acquisti reali mólto ridotti perché gli studenti ormai cercano solo l'essenziale e danno tagli notevoli alle liste dei libri da comprare. Peccato un'altro volta. Perché l'operazione parascolastico (spesso scientificamente dignitosa) era nata fra l'altro come rimessa in discussione editoriale e didattica del vecchio manuale. Proprio a Bologna, nel famoso convegno del 1976, gli editori avevano detto pressappoco: «I libri costano cari? Ridurre i prezzi è impossibile. Cóme venire incontro allora alle famiglie? Taglia¬ mo urr bel po'le mo un bel po' le pagine dei manuali, dando soltanto l'essenziale e facciamo invece girare frai ragazzi, tramite le biblioteche di classe, quanto l'editoria viene pubblicando in collane di appoggio capaci di rispondere alla nuova ricchezza jaroblematicae informativa della scuola». Era. un compromesso perfino geniale. Poteva rinnovare 11 settore. E' andato praticamente a monte. Oggi le biblioteche di istituto sono casuali, povere e spesso vittime di certe mode che percorrono a tratti, come parole d'ordine, la scuola (tipica qualche anno fa quella delle ricerche, che riempì le scuole di enciclopedie senza- guardarci dentro tanto per il sottile). Per concludere, che cosa vorrebbero gli editori italiani che si occupano di scuola? Ce lo dice per tutti il fiorentino Le Monnier, «Occorrono sostanzialmente due cose: dei fondi distinti destinati esclusivamente alle biblioteche per evitare che questa voce resti sacrificata di fronte ad altre più urgenti. Occorre poi l'istituzione, in apposito organico, dell'insegnante-bibliotecario che sia tramite serio delle esigenze degli insegnanti e occupi la sua giornata nel gestire le biblioteche». Perché non. solo le biblioteche di scuola hanno pochi libri, ma sono anche malissimo gestite in quanto spesso non effettuano prestiti per mancanza di personale che le tenga aperte. Siamo dunque ancora troppo lontani dal disegno, intelligente e lungimirante, che proporrebbe il cosiddetto «uso sociale» della scuola. Che cioè, per esempio, le biblioteche di istituto (in molte zone bene raro e prezioso) possano servire non solo agli scolari ma anche alla popolazione del quartiere e della comunità. Sarebbe un'utilizzazione più economica di beni che in Italia sono rari: Ma per ora è soltanto uria chimera. Pier Francesco Li stri

Persone citate: Bompiani, D'anna, Einaudi, Loescher, Monnier, Mursia, Pier Francesco

Luoghi citati: Bologna, Italia