Quel Goldoni era un Casanova

Quel Goldoni era un Casanova Quel Goldoni era un Casanova Adesso che Carlo esagera in senso opposto, lo richiama subito a Chioggia («Egli era uomo dabbene, ma non bacchettone, e mi volea Cristiano, ma non santocchio»). Fatto sta che, con la scusa di presentarlo egli stesso al' Guardiano dei Cappuccini, lo conduce a Venezia, lo porta a pranzo da parenti e amici, infine lo accompagna più volte «alla commedia». Per farla breve, dopo quindici giorni di una tale cura disintossicante Carlo non parla più di convento. _ Tornato a Chioggia, Carlo fa «il cocco di mamma». Anche perché resta egli solo a consolare la buona signora Margherita, essendo stato l'altro figlio Gian Paolo — da tempo destinato alla carriera militare, unico sbocco per la sua esuberanza fisica accompagnata da una scarsissima propensione agli studi—mandato nientemeno che a Zara, essendo colà aiutante maggiore del Provveditore generale della provincia il capitano Girolamo Visinoni, cugino di Margherita Goldoni. Arriva in quei mesi a Chioggia come podestà il nobil homo Francesco Bontadini, un giovane patrizio di ventisette anni, di ottimo carattere e di molte speranze. Grazie ad una serie di raccomandazioni lo studente in legge Carlo Goldoni riesce a farsi nominare dal Bonfadini coadiutore-aggiunto (o meglio «soprannumerario senza compenso») del cancelliere criminale (terminati i sedici mesi della carica, il cancelliere eliminale Egidio Zabottini di Castelfranco, evidentemente soddisfatto della prova di Carlo, gli offrirà di seguirlo a Feltre come coadiutore-capo). Ormai definitivamente guarito da qualsiasi tentazione mistica, il giovanissimo coadiutore-aggiunto deve spassarsela non poco, come lascia intendere l'autobiografico tratteggio del giovane coadiutore Isidoro nel capolavoro Le baruffe chio&sotte, e in particolare le scenette in cui il magistrato riceve in separati collòqui le fidanzate é le spose dei «baruffanti». Le esuberanti, aperte, simpati- che, ma anche malizióse, «donne dei pescatori» non devono essere state tutte avarissime di compiacimento nei confronti del ventenne «soprannominarlo», anche s'egli si guarda bene dallo scendere in particolari per non ferire la suscettibilità di mariti, padri, fratelli ben altrimenti lesti di mano. Ma se le plebèe non gli dispiacciono, il giovane Carlo s'accende in quell'anno di passione per una «assai bella, assai ricca e amabilissima» pensionante di un convitto femminile, che aveva avuto modo di notare «avendo sempre coltivato la conoscenza delle reli„giose di San Francesco». Confessa l'interessate: «Mi sarebbe piaciuta moltissimo, ma la mia età il mio stato e la mia fortuna non potevano permettermi di lusingarmi». Prima di tentaredi scoprire l'identità della bella pensionante—che Goldoni si limita, a nominare con la sola iniziale di «Mademoiselle N» —, stiamo ad ascoltare il suo tardo racconto affidato ai Mémoires, mentre non v'è traccia nelle memorie italiane. In buoni rapporti con «Dame B» superiora del convento, o forse soltanto insegnante-precettrice, Goldoni confida a costei la sua propensione. E con la sua molta meraviglia, la religiosa non lo scoraggia. Anzi «quando andavo a trovarla, non mancava mai di far scendere la fanciulla in parlatorio. Io sentivo che stavo per attaccarmi seriamente: la direttrice ne pareva contenta». Per quanto giovanissimo e impulsivo Carlo si meraviglia non poco di tanta condiscendenza, appunto considerando il divario di classe e di fortuna che lo separa dalla bella convittrìce. Ma «Dame B» gli spiega che, pur avendo la fanciulla «meriti e beni», c'è del «losco» sulla sua nascita. Niente di grave, lasciatemi fare, lo assicura la brava direttrice: occorre unicamente guadagnarsi le simpatie del tutore, un vecchio male hi arnese che però ha qualche pretesa sulla pupilla. Durante le conversazioni in parlatòrio «Mademoiselle N» non lo guarda di cattivo occhio. E Carletto s'illude, rassicurato da «Dame B», di progredire molto nella relazione. Tanto più che la cosa viene risaputa, e ben presto tutto il convento ne parla. Ma quello che Carlo non sa ancora è «perché» ne parlano. Finalmente un giorno qualcuno (o meglio qualcuna) lo mette al corrente della situazione. Le finestre della sua camera guardano il chiostro del convento: basta un approssimativo «alfabeto muto» per dialogare con «l'anima pietosa» dalla quale apprende che «Mademoiselle N» è in procinto di sposarsi col tutore. Perché allora tutta quella pantomima della Signora Direttrice? Indignato Carletto va a parlare con «Dame B». Ma costei non si scompone. Gli spiega che la miglior difesa è l'attacco; e non gli lascia aprir bocca. Alla fine il giovane Goldoni apprenderà* che non deve soltanto diffidare delle madri delle «caffettiere», ma anche delle troppo sapute direttrici dei conventi. Perché infatti «Dame B» ha consentito che egli vedesse Mademoiselle, s'intrattenesse con lei e ne avesse non pochi incoraggiamenti? Perché — gli spiega imperturbàbile la Signora Direttrice — è vero che «Mademoiselle N» sta per sposare il suo tutore. Ma sposa un vecchio che non può vivere a lungo, considerando altresì che l'agrodolce del matrimonio gli accorcerà ulteriormente la vita. «Voi avrete» continua imperterrita la Religiosa «una giovane vedova, che non avrà della moglie che il nome. Sarà più ricca di adesso, e intanto voi farete la vostra strada. Non abbiate timore: veglierà io su dì lei, io ve la garantisco». A sermone concluso, sopraggiunge Mademoiselle. Figurarsi se un ragazzo che pochi mesi prima aveva pensato addirittura di farsi frate può accedere ad una macchinazione così complessa e perfida. Fa tanto di riverenza, e scappa. Non si farà mai più vedere Gastone Geron \rM ■ ■ ■ m ::K: > & f ^ Una scena de La Locandìera, incisione di P. Scanaglia (pari.)

Luoghi citati: Chioggia, Feltre, San Francesco, Venezia