Il poeta dal buco della serratura

Il poeta dal buco della serratura Il poeta dal buco della serratura LA prima domanda che mi pongo di fronte alla nuova edizione dei Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi di Antonio Ranieri, promossa da Garzanti, prefata e postata da Cattaneo e da Arbasino è se proprio se ne sentiva la mancanza, se era indispe ile, se non se ne poteva fare a meno. Dalle prime reazioni ufficiali, comprese quelle dei curatori, si direbbe davvero di no. Tanto più che gli specialisti si presume che già lo conoscano (altrimenti che specialisti sarebbero) e gli eventuali laureandi (un paio all'anno, in Italia, su Leopardi? Forse meno) possono facilmente trovarlo in biblioteca. Revival ranieresco?' Arbasino lo definisce 'addirittura «l'imbecille di Napoli», avallando, con l'autorità delposifatore, l'ipotesi che l'editore l'abbia scelto come documento critico-psichiatrico e non come memoriale. Dunque, un'operazione superflua o sbagliata, priva di un potenziale consumatore, non si sa verso chi indirizzata. Personalmente, alla notizia della riedizione avevo pensato che si trattasse di un peregrino omaggio al laico e antiborbonico Ranieri, ma anche in questo caso era sbagliata la scelta del testo. Meglio sarebbe stato il ripescaggio del romanzo Ginevra o L'orfana della Nunziata che, scritto nel 1835 e pubblicato nel '39, se non altro precede in patetici populismi Dickens e Sue. Romanzo di non facile lettura per pesantezza di stile, ma che meritò all'autore galera ed esilio. Invece no, i Sette anni sono stati scelti in sé e per sé, come inutile testimonianza dell'inutilità. Posta in questi termini la questione, l'unica via d'uscita possibile mi pare, al di là di un naturale bastian contrarismo, quella di offrirmi a modesto difensore d'ufficio dell'autore. Incominciò dall'età che, bene o male, ha Un suo peso tra le circostanze attenuanti, assieme all'ambiente: il sodalizio vero e proprio incomincia quando Ranieri ha 24 anni e il poeta 32. Se scatta il sodalizio, e neppure breve, una qualche affinità o necessità, almeno sul piano esistenziale, doveva pur esserci Ma la «memoria» è scritta 40 anni' appresso e senza alcuna pretesa di proporsi come esegesi critica, sicché alla fine la chiave di lettura mi pare debba essere veramente quella narrativa e non critica. Infatti, a quale biografo o critico passerà mai per il capo di usare questo materiale senza benefici di inventario? Anche Arbasino incomincia a leggerlo in questo modo e poi l'ab■■ bandona e si incazza perché Ranieri non è Saint-Simon. Nel libretto si dice che Leopardi e Ranieri discorrevano per ore. Discorsero per sette anni e di quei discorsi non si trova quasi traccia. Tutto in fumo? Sarebbe uno splendido colpo, un gesto da sadico diabolico, una botta da campione mondiale. Però le cose non stanno così e qui è, lo riconosco, il limite di Ranieri, il limite del suo sadismo e della sua conseguente mediocrità. Perché le conversazioni ci sono, altrove. Quel che aveva da dire Leopardi se lo annotava e svolgeva nello Zibaldone, lo affidava due lettere, l'organizzava in saggi, lo sublimava in poesie. Chi voglia saperne ha li tutto il materiale a disposizione. Rimane deluso il voyeur (e io tra quelli) che da quel buco della serratura previsto non trova rispondenza all'attesa di ciò che sperava di sorprendere. Ma che cosa sperava? 'Dialoghi culturali no certo e sono beh altrimenti sviluppati sulle pagine leopardiane. Quindi un sano pettegolezzo, il quotidiano, o un punto di frattura, un'incrinatura tra l'esistenziale e il razionale, le mutande del cervello di Leopardi Insomma, il libro di Ranieri non è nulla di eccezionale, lo sappiamo già, né Ranieri, onestamente, pensava di offrire un contributo eccezionale. Perciò io preferisco giocarmelo come un racconto di immaginazione alla stregua delle belle polpette sabiane, nel quale c'è un personaggioche si chiama Giacomo Leopardi, di proprietà di Antonio Ranieri, il quale, a sua volta, rivendica questo possesso secondo la norma privatistica: «Leopardi è mio e lo gestisco io». In gestione narrativa, ovviamente. Come spesso accade, l'intenzione del racconto supera di gran lunga la sua realizzazione, al modo di certi romanzi che acquistano a ricordarli più che a leggerli Quella sorella Paolina, per esempio, che entra in un incastro diavolesco in questa storia, in un gioco di specchi e rimandi metafisico. Oppure quella dose di torbidezza morale e materiale, sulla quale l'autore si era ben esercitato nella Ql-% nevra. Oppure quelle odi che rigurgitano dall'Es, però se-* condo norma strutturale di odi et amo, Erose Thanatos e via discorrendo. Perché, se non lo si fosse ancora capito, il protagonista del racconto è Ranieri, è di sé che parla, legittimamente. Allora? Gli ingredienti, a pensarli,''ci sono ma è il cocktail che non riesce: si tratta di un brutto racconto, cioè di un racconto scritto male. Che è un altro paio di maniche. La colpa, in questo caso, non è solo di Ranieri è di chi l'ha tirato fuori dalla polvere, riproponendolo. Folco PorUnari Antonio Ranieri

Luoghi citati: Ginevra, Italia, Napoli