Sei intellettuali in cerca di eresia di Luciano Genta

Sei intellettuali in cerca di eresia Dopo la delusione del 3 giugno nasce una rivista per discutere dove va il pei Sei intellettuali in cerca di eresia UN gruppo di intellettuali comunisti si appresta a far uscire dal prossimo gennaio una nuova rivista trimestrale. Non se ne conosce ancora il nome, né l'editore, ma già si dice che diventerà il punto di riferimento del dissenso interno, dell'opposizione alla linea di Berlinguer, sempre più criticata dopo la sconfitta elettorale. Fra ì possibili interessati nessuno parla di correnti, né di scissioni: piuttosto si sottolinea l'urgenza di sviluppare, fuori dai denti, la ricerca teorica e culturale sui cambiamenti di una società che il partito non sembra più in grado di interpretare con le vecchie categorie. All'interno del partito per ora si mantiene un cauto riserbo, si minimizza: ma all'esterno qualcuno ha ricordato il decennale del Manifesto: Pintor, Caprara e Rossanda, Magri partirono da una iniziativa analoga e si ritrovarono ben presto espulsi dal partito. H comitato direttivo di questa nuova rivista sarà formato da Asor Rosa, Cacciari, De Giovanni, Marramao, Tronti, Vacca. Sono tutti intellettuali di spicco nel partito: i loro scritti appaiono spesso su Rinascita, basti pensare ai numeri del Contemporaneo su «Intellettuali e politica dopo il 20 giugno», «La crisi attuale del capitalismo» e «Ripensando agli Anni Trenta». Hanno alle spalle storie politico-personali diverse. Alcuni hanno vissuto l'infanzia della nuova sinistra, non si riconoscono nella linea «Labriola-Gramsci» e non hanno conosciuto il magistero di Togliatti, non vengono «da lontano». Altri sonò cresciuti nel partito, ricoprono cariche diri¬ genti, hanno collegamenti con i quadri Intermedi, hanno condiviso con loro l'evoluzione del compromesso storico. Oggi sono accomunati da un obiettivo teorico-politico- defmire una cultura di governo per rilanciare, dall'opposizione, la presenza e la leadership del pei tra quei gruppi sociali intellettuali, giovani, operai delle grandi fabbriche, che più si sono «disaffezionati». H futuro prossimo dirà se gli interrogativi odierni sono frutto di una montatura giornalistica fcnme rispondono i vertici del partito, in base al principio «quieta non movere») o avranno riflessi sulla linea e l'immagine dei comunisti. Per ora basta ricordare che le vicende interne della sinistra, dal *60 a oggi, si sono spesso intrecciate con la nascita e la morte di piccole riviste. Di qui l'importanza della notizia. MARIO TRONTI — E' considerato il Machiavelli dell'operaismo e il suo libro più noto, Operai e Stato (Einaudi, '66), ne è la summa teorica. Dopo aver collaborato nel '62-63 ai primi tre numeri di Quaderni rossi, in disaccordo con Raniero Pansieri sulla linea ideologica della rivista, se ne Étaccò, dando vita nel '64 a Classe operaia, «giornale politico mensile degli operai in lotta». \ Su queste colonne Tronti teorizzò il primato e la centralità della classe operaia e la funzione tattica del partito: di qui l'ipotesi di «un uso operaio» del pei, che preparò la strada al suo rientro nel partito, avvenuto poi nel '73. Da allora ha continuato il suo lavoro di studioso un po' in sordina Qualche articolo su Paese sera, interventi su Città Futura, relazioni a convegni (importante quella su «Operaismo e centralità operaia», Padova, novembre '77; gli atti sono pubblicati dagli Editori Riuniti)- La sua tesi «Sull'autonomia del politico» (Opuscoli marxisti n. 16, Feltrinelli) lo ha riportato al centro del dibattito e soprattutto delle critiche, dentro e fuori il partito. I suoi ex-compagni, oggi militanti della nuova sinistra, lo accusano di «copertura teorica a-sinistra della politica del compromesso storico». Risponde Tronti: «Perché la centralità operaia funzioni politicamente occorrono due grandi condizioni: 1) che intorno agli operai di fabbrica si formi un grosso retroterra di consenso sociale; 2) che la loro uscita sul politico, il loro rapporto con le istituzioni, acquisti un profondo respiro di lungo periodo... Ci deve pur essere una via per mettere la parola fine al capitolo di storia che va sotto il titolo di sconfitta della rivoluzione in Occidente». MASSIMO CACCIARI — Nato a Venezia nel '44, cresciuto alla scuola di Tronti, ha diretto dal '64 al '66 Angelus Novus e dal '68 al '71, con AsorRosa, Contropiano. Nel '68 era un giovane militante *che faceva politica davanti ai cancelli della Montedison a Porto Marghera. Tra i suoi compagni c'era Toni Negri, di cui era assistente all'Università di Padova Ma già allora Cacciari aveva in tasca la tessera del pei. Dal '75 è diventato deputato, membro diligente della commissione Industria alla Camera. Si è fatto conoscere come uno dei principali esperti della cultura mitteleuropea: è stato tra i primi a rivalutare nel dibattito culturale italiano il «pensiero negativo», da Nietzsche a Heidegger. Sull'argomento, i -uoi saggi più importanti sono Krisis (Feltrinelli, '76) e Pensiero negativo e razionalizzazione (Marsilio, '77). Attaccato come marxista-eretico su Rinascita, prima da Amendola poi da Gerratana, Cacciari sostiene che è necessario svecchiare il marxismo, farlo dialogare con i nuovi linguaggi della filosofia del '900. «Nell'azione politica del partito — ha scritto — ci sono stati in questi ultimi anni gravi mancanze di rigore... Non vi è rigore possibile se il partito non riesce a impossessarsi criticamente degli strumenti e dei "saperi" regionali... se si ripete il già visto e il già detto o si parla a vanvera,... se la nostra cultura continua ad essere "dialettica generale", "confusione sintetica".. R suo saggio più recente, su Hegel, si intitola Dialettica e critica del politico (Feltrinelli, '78). ALBERTO ASOR ROSA — Proviene dalle file del gruppo operaista e ha condiviso con Tronti l'esperienza di Quaderni Rossi, Classe operaia e poi di Contropiano, da lui diretto in coppia con Cacciari. I suoi interventi sulla politica culturale della sinistra, apparsi via via su queste riviste, sono raccolti in Intellettuali e classe operaia (La Nuova Italia, '71). Era allora multante dello psiup: quando questo partito si sciolse, dopo la sconfitta elettorale del '72, entrò nel pei. Ben presto è diventato una firma e una voce, autorevole: i suoi interventi hanno spesso innescato dibattiti e polemiche (ad es. il confronto con Amendola sulle «due società*), con riflessi diretti sulla base del partito. Dopo il 20 giugno è stato tra i primi a riaprire «l'autocritica» sulla linea berlingueriana; rappresenta l'ala progettualista del partito, che negli schieramenti interni fa riferimento a Pietro Ingrao. Ordinario di storia della letteratura italiana all'Università di Roma è autore di Scrittori è popolo (Savelli '65), una provocatoria stroncatura del populismo degli intellettuali-letterati, con uno sguardo particolarmente critico al neorealismo. Per hi Nuova Italia ha curato una Storia della letteratura italiana; ha collaborato alla Storia d'Italia Einaudi con il volume dedicato alla cultura del 900; è sua la voce Intellettuali apparsa nel settimo volume dell'Enciclopedia Einaudi, appena arrivata in libreria. A proposito di intellettuali, ha scritto nel giugno '78 su Rinascita' «Mi sembra che gli intellettuali comunisti abbiano sempre meno bisogno di una filosofia e di una ideologia., e sempre più di elementi di teoria capaci di collegare direttamente specialismo e politica, conoscenza e trasformazione... Non sempre abbiamo attrezzi adeguati né la duttilità culturale necessaria per metterci in sintonia con la società civile e capirla, cioè prevederla. E senza comprensione, non c'è egemonia». GIOVANNI VACCA - Quaranta anni, pugliese, ordinario di storia delle dottrine politiche airUniv ersità di Bari, è membro del Comitato centrale e collaboratore assiduo di Rinascita e dell' Unità. E' tra i più giovani e prestigiosi studiosi meridionali che ricoprono un ruolo dirìgente nel partito. La sua attività scientifica si è sviluppata nel solco della tradizione teorica del pei (Gramsci e Togliatti): proprio su Togliatti e la tradizione comunista ha scritto un saggio (De Donato, '75) accolto con favore all'interno del partito. Tra gli altri suoi scrìtti: Lukacs o Korsch ('68), Scienza, Stato e critica di classe ('70), Marxismo e analisi sociale e Politica é teoria del marxismo italiano ('72), Osservatorio meridionale, Quale democrazia, Criticità e trasformazione ('77), editi tutti da De Donato. Ha fama di intellettuale ortodosso: non si è mai trovato in disaccordo esplicito con la linea berlingueriana, «he anzi ha contribuito a elaborare; ma ne ha sempre dato un'interpretazione «di movimento», cercando di collegarla a una «teoria della transizione» e a un progetto di «ricomposizione della crisi», Nel '77 cosi definiva il compromesso storico: «Non vi è altra prospettiva demo-_ erotica se non l'accesso della classe operaia alla direzione dello Stato e la formazione di un nuovo blocco di potere. A questo noi pensiamo si possa aprire la via con la formazione di un "governo di alternativa democratica", fondato sull'intesa e la collaborazione delle componenti ideali e delle espressioni politiche fondamentali del movimento operaio e popolare italiano: comunisti, socialisti e cattolici». BIAGIO DE GIOVANNI — Filosofo napoletano, docente di filosofia morale all'Università di Salerno, dove dirige l'istituto di filosofia e storia della filosofia. Fa parte del comitato direttivo di Critica marxista Hegel, Marx, Gramsci sono i punti di riferimento costanti dei suoi studi principali da Hegel e il tempo storico della società borghese (De Donato, '70) a Marx e lo Stato e La teoria politica delle classi nel Capitale (De Donato, '73 e '76) a Egemonia, Stato, partito in Gramsci (con Gerratana e Paggi, Editori Riuniti'77). Anch'egli sembra muoversi nel «solco della tradizione», ma criticandone apertamente limiti e errori, sviluppando il confronto tra marxismo e pensiero borghese, perché la situazione impone «non di ritirarsi nelle "casematte" bensì di correre i rischi, anche grandi, del coraggio teorico e politico». «H marxismo è necessario come scienza della transizione, non strumento esclusivo ma sicuramente essenziale. Ma la società che andiamo a costruire non troverà, già nelle fasi iniziali della transizione, nel marxismo il livello della sua ricomposizione, n punto da rimettere in movimento è il recupero pieno dell'intelligenza sociale e di un rapporto intellettualimasse in grado di espandere la ricchezza dei contenuti e delle aspirazioni, che fanno piena di umori — pur fra tante contraddizioni — la nostra società» (Critica marxista 6, '78). GIACOMO MARRAMAO —E' il più giovane del gruppo: 33 anni, laureato in filosofia a Firenze, si è specializzato in sociologia e scienze politiche a Francoforte, dove ha svolto attività di ricerca tra il '71 e il '74. Attualmente insegna filosofia della politica e storia delle dottrine politiche all'Istituto Orientale di Napoli. E' redattore di Problemi del socialismo e collaboratore di Rinascita. Nelle ultime elezioni si è presentato candidato nelle liste comuniste per la Camera in Calabria. Si è occupato soprattutto delle vicende teoriche del marxismo negli Anni Venti e Trenta in Germania, dalla Repubblica di Weimar alla crisi delle socialdemocrazie Ha pubblicato da De Donato Marxismo e revisionismo in Italia, Marxismo e socialismo tra le due guerre, e quest'anno Il politico e le trasformazioni Ha contribuito a far conoscere in Italia il pensiero di A. Sohn Rethel, di cui ha presentato Economia tedésca e struttura di classe del fascismo tedesco. Anche Marramao insiste particolarmente sulla necessità di un •aggiornamento non solo empirico-analitico ma dell'intera forma teorica ereditata dalla tradizione». «Se non si vuole fare del marxismo una "scolastica" un tempo (a suo modo) grandiosa ma ormai irrevocabilmente defunta — scrive Marramao — occorre misurarsi con le gigantesche trasformazioni che hanno contrassegnalo in quest'ultimo cinquantennio lo sviluppocrisi della società capitalistica». In questo contesto diventa urgente «mettere all'ordine del giorno la questione della riforma del partito». A cura di Luciano Genta