Chiara (oltre300mila copie) « Viviamo nel migliore dei mondi possibili»

Chiara (oltre300mila copie) « Viviamo nel migliore dei mondi possibili» A colloquio con lo scrittore mentre esce il nuovo romanzo «Un spina nel cuore» Chiara (oltre300mila copie) « Viviamo nel migliore dei mondi possibili» «Iò scrivo per gli altri, guardo in faccia il lettore. Mi sforzo di fare ciò che con tanto risultato faceva Omero» «H mondo, nella Sua fisicità, mi è apparso come la curva di un lago...» - «Vivere a Varese? E' un posto tranquillo, vicino ma non troppo ai miei territori ideali» VARESE — Dalla mansarda, in cima al condominio, si vede il lago incorniciato di foschia. «Quando il tempo è belìo — dice Piero Chiara — appaiono anche le montagne». il telefono squilla. Lui risponde un po' seccamente a uno sconosciuto: «ivo, io non uso mai la droga. Non so che farmene. Per scrivere non ho bisogno di eccitanti. Casomai, ho bisogno di calmanti...». E torna a sedersi, soddisfatto, dietro là scrivania. Ha 66 anni compiuti, l'espressione vivace e cordiale di chi prova gusto a stare sulla cresta dell'onda. Adesso ha appena pubblicato un romanzo, sUna spina nel cuore* (Mondadori), ed è già trascinato via da altri progetti «Altro che eccitanti— ripete Chiara — ho bisogno di calmanti! Stamane ho lavorato al nuovo romanzo. I/ho interrotto per incominciare un racconto che mi era venuto in mente mentre mi facevo la barba. Poi sono andato nello studio che ho in centro ad affrontare una bega messa in piedi da una discendente di D'Annunzio: ho dovuto scrivere un promemoria. Quindi sono tornato a casa, ma a metà pranzo mi sono alzato per fare una, pagina. Ho preso il caffè come tutti i giorni e ho riposato mezz'ora. Eccomi qui...». Una fatica (o un piacere?) che coniincia alle prime luci del giorno e termina verso le undici di sera. Ma lei, signor Chiara, con i suoi libri non sbaglia un colpo: ogni volta è il successo. La «Vita di D'Annunzio», ad esempio, ha raggiunto le 270 mila copie. «No, le copie sono 306 mila. Guardi, è stato un crescendo: "Il pretore di Cuvio" 150 mila copie, "La stanza del Vescovo" 250 mila, "H cappotto di astrakan"350 mila». —Ha una ricetta sicura? «Se ci fosse, sarei il pia interessato a conoscerla, ma anche il meno adatto a indagarla. Fórse una delle ragioni è questa: che io ritengo obbligo e interesse dello scrittore scrivere per gli altri, non per se stesso. Quindi da una posizione di umiltà. Non per insegnare, per ammonire, per richiamare all'ordine: semplicemente per esporre dei fatti nel.migliore dei modi. Mi sforzo di fare ciò che con tanto risultato faceva Omero». — Come Omero? Un Omero del Lago Maggiore? ^ «Sì. Lui non esprimeva opinioni politiche, né orientamenti di alcun genere, pur parlando di una guerra. Voleva soltanto far assistere ai fatti coloro che ascoltavano le sue parole. Scrivere in presenza dei lettori è quel che mi sforzo di fare. I lettori si sentono chiamati a collaborare». — Collaborare in che modo? « Quando uno racconta bene a Un gruppo di persone non è dominati) e diretto solo da ciò che ha dentro da dire, ma anche da quello che gli ascoltatori si attendono, dalla forma che deve usare per rendere tutto consumabile il suo racconto. Direi che il racconto quasi lo si legge negli occhi, nella faccia degli ascoltatori. Come l'avvocato si regola sulla faccia del giudice quando parla». —Perché nei suoi racconti fa sempre da sfondo il Lago Maggiore? «Io sono nato lì. Il mondo, nella sua fisicità, mi è apparso sotto forma di una curva di lago, una sagoma di montagne: è l'alto bacino del Lago Maggiore. Da quel momento ho tracciato come un cerchio e ho deciso di non ■ uscirne se non come proiezione di quell 'ambi to». — Le vicende che descrive sono autobiografiche? «Sì, tutte. La mia narrativa, che comprende romanzi e racconti, si potrebbe smon• tare e trasformare in autobiografia. Naturalmente l'ho fiorita, manomessa. Ho in- trodotto vari tipi, come il Tiziano nei suoi dipinti si serviva di contadine venete e il Raffaello di ciociare». — L'ambiente di provincia1 per lei ha un particolare significato? «Se non avessi preso questo angolo, ne avrei preso un altro, ma sempre un territorio dove il paese si mescola alla campagna. Cioè dove ci sono ragioni più, naturali dell'esistenza a confronto di quelle purtroppo artificiose degli agglomerati cittadini». — Nelle sue pagine ci sono tristezze, ma non c'è angoscia. La vita quotidiana ha dei bagliori di gioia, c'è gustò della vita. «Sì, dipende dal fatto che a me la vita va bene cosi com'è. E anche se cambia, rapidamente o lentamente, io le vado dietro. Perché il méttersi contro è innaturale e soprattutto inutile. Ritengo che noi viviamo nel migliore, dei mondi possibili. E' quel che. abbiamo: e deve andar bene con tutte le sue contraddizioni e anomalie. Forse i pesci, con l'inquinamento delle acque, sono di fronte agli stessi problemi. Che cosa fanno? Cercano di adattarsi. A maggior ragione l'uomo ,si deve adattare anche al mutare delle idee». - — Tutti i suoi romanzi sono diventati film. L'ultimo caso è «Il cappotto di astrakan» di cui fra qualche giorno cominciano le riprese a Parigi Quando poi vede i suoi racconti sullo schermo, li riconosce? «Li riconosco come si può riconoscere un morto di tre mesi: in base a una protesi, una cicatrice, la statura, i postumi di un intervento chirurgico». — In genere i registi che cosa alterano? «Registi e produttori hanno un'esigenza diversa, e del resto giustificatissima, da quella che può avere io scrittore. Il soggetto è solo un punto di partenza. R resto è l'interpretazione degli attori, l'ambiente, qualche volta la procacità di un'attrice o la comicità naturale di uh attore. Basterebbe pensare ai "Promessi Sposi" e ai diversi film che ne sono stati tratti». — Certe volte si ha l'impressione che, scrivendo, lei tenga già d'occhio la,cinepresa. Còme se pensasse: questa pagina, che bella sequenza. «Molti me lo dicono, ma non è vero. Nel mio caso è accaduto questo: che il primo film, ^quello di Lattuada, ricavato da "La spartizione" ("Venga a prendere il caffè da noi"), ha avuto un incasso strepitoso in tutto il mondo. Per cui i produttori hanno pensato che il mio nome e le mie storie erano un affare». —E non hanno sbagliato. «Pare che non abbiano sbaglialo mai: tant'è vero che continuano. Certo, potrei sottrarmi a questa utilizzazione. Non è che abbia bisogno di questi soldi. Vede, lavorando io dieci ore al giorno non ho bisogno di molto, anche se oggi la vita costa. Non ho vizi, non ho amanti da mantenere. Mia moglie è così brava nel reggere la casa che rende più di quel che costa». — I suoi personaggi, però, non sonò tutti casa e famiglia. «Ma neppure io lo sono stato finché ho potuto. Ho avuto una vita tribolata e avventurosa e sono stato sempre portato ad assaggia-* re tutto». — Scrivere vuol dire per lei cercare di vivere vite diverse? «Io non trascuro di vivere per scrivere. Ma ho la buona norma di raccontare quel che ho vissuto a distanza di almeno vent'anni. Quindi quel che vivo ora lo racconterò fra vent'anni, se non lo dissemino e utilizzo in narrazioni ambientate nel passato». —Adesso è quasi un obbligo per lei un romanzo all'anno? «Di narrativa ho scritto nove libri (compresi due di racconti) in 18 anni. Ma siccome per me scrivere è come respirare, quindi è anche vivere. Non vedo perché quando un libro l'ho scritto non dovrei pubblicarlo. Tanto più che i veri narratori hanno sempre disegnato un ciclo molto vasto. Poi c'è una questione di fertilità. Ci. sono delle donne che hanno un figlio solo come mia madre, aitré che ne fanno una decina come tutt'e due le mie nonne». — Che pensa di questo suo romanzo che va ora in librerìa? La protagonista, Caterina, è un personaggio strano che ogni giorno rivela qualcosa di sé, un suo segreto. Una relazione in più. E il protagonista ogni giorno ritocca l'immagine che ha di lei E' una vicenda tenue, ma piena di sorprese. «Caterina è un personaggio vero, che è entrato nella mia vita quando avevo vent'anni è al quale ho attribuito uno svolgimento più vasto, ma non artificioso. Caterina aveva in sé tutte quelle possibilità, al di là di ciò che fu nella realtà». -— Quali sono ora le sue aspirazioni? «Quel che spero è di scrivere ancora qualche romanzo per completare la storia di un'epoca attraverso un mosaico. E' un mondo che vado scoprendo-ancora adesso, in talune parti. Imparo sempre, questo è certo». — Vivere a Varese che cosa significa per lei? «Vivere in un posto tranquillo, vicino, ma non troppo ai miei territori ideali che Sono spostati di una trentina di chilometri e quindi in giusta prospettiva di tempo e di spazio». — Lei va a riscoprire vecchi posti, a controllare il passato, a cercare tracce di cose vissute? «Mi guardo bene dal fare verifiche di questo genere. Mi basta la memoria. Nella memoria tutto rivive e prende corpo. Ho bisogno solo di carta e molte biro. Ne adopero sei o sette. Ogni tanto le cambio. Faccio una sosta in media ogni 15-20 mintiti. Per evitare ingorghi della mente...». Quando usciamo il sole splende ancora sul lago. E quella mansarda, con la sua vista panoramica e i suoi libri, ci appare come un luogo febee dove personaggi del passato, evocati da una biro cordiale, si danno volentieri convegno. Cosi volentieri che spesso creano un ingorgo. Emesto Gagliano

Persone citate: D'annunzio, Gagliano, Lattuada, Piero Chiara

Luoghi citati: Cuvio, Parigi, Varese