In cerca di felicità Noè prende una sbronza

In cerca di felicità Noè prende una sbronza Esce dopo quindici anni il primo romanzo di Brelich ' In cerca di felicità Noè prende una sbronza ' Mario Brelich IL NAVIGATORE DEL DILUVIO Adelphi, Milano 156 pagine, 3000 lire NON cèrto per i lettori dei due libri di Brelich — Il. sacro amplesso e L'opera del tradimento — usciti, rispettivamente nel 72 e nel 75, presso il medesimo editore, ma per chi eventualmente s'accostasse ora per la prima volta alle pagine di questo singolare saggista-romanziere, credo opportuno premettere qualche notizia su di lui e sulla specificità dei suoi temi e dei suoi procedimenti. Nato a Budapest, poco meno di settantanni fa, da padre fiumano e madre ungherese, Brelich vive in italia dal '46. Non è un letterato «professionale», e le uniche scritture che di lui si conoscano sono, a quanto mi risulta, i tre libri (compreso questo) che Adelphi gli ha pubblicato. In che senso Brelich è, come ho accennato poco fa, un saggista-romanziere? Nel senso, direi, affatto letterale che ogni suo libro è un'esegesi minuziosa e scrupolosa (anche se ironicamente spregiudicata, e condotta con l'ausilio di strumenti inconsueti e argutamente anacronistici) di un cruciale episodio biblico e, nello stesso tempo, un racconto nel quale le risultanze di tale esegesi vengono «sceneggiate» e offerte al lettore secondo un progetto di massima funzionalità e scorrevolezza espositiva. Niente a che vedere, insomma con la tendenza (tipica di certa narrativa novecentesca) a «imbonire» il racconto con motivi e contenuti saggistici Qui il discorso narrativo è una «forma» del discorso saggistico, e nient'altro (e niente di più — ma anche niente di menò — idi questo); non c'è vibrazione o tensione intorno ai fatti e ai personaggi che non sia quella della verifica, dello svelamento, della «spiegazione» del mito. Il navigatore del diluvio è un antefatto dei due libri che lo precedono: non solo perchè è stato scritto prima (e prima d'ora era apparso, non so se integralmente o parzialmente, sulla rivista «Montaggio» nel '54-55), ma anche perchè la storia che racconta, cioè la storia del diluvio universale, è più remota, nella, cronologia biblica, sia di quella del Sacro amplesso (che racconta di Abramo eSara e della nascita di Isacco), sìa di quella dell'Opera del tradimento, che è addirittura un'indagine teologico-poliziesca sul tradimento di Giuda. Una cosa va subito precisata: a Brelich non interessano per niente gli aspetti «coreografici» del dilùvio (che, infatti, vengono accuratamente ignorati e starei per dire snobbati), ma unicamente le vicende interiori del suo protagonista,' Noè: e anche queste solo nella misura in cui, come egli stesso precisa, «l'umanità, in un tempo remotissimo e in una fase decisiva del proprio cammino, comprese sé stessa netta figura di Noè», il che comporta che «noi possiamo semplicemente narrare le vicende di Noè invece di dissertare su una fase dell'evoluì lione iella coscienza». Di quale fase si tratta? Molto schematicamente, e sempre con le parole dell'autore, possiamo dire che si tratta della fase dell'«allontanamento dal divino». Un allontanamento, si badi, voluto dalla stessa divinità, che dopo la soluzione imperfetta della cacciata di Adamo dal Paradiso Terrestre — cacciata che comporta una dislocazione, puramente «orizzontale», e che consente all'uomo di permanere in un «ibrido stato titanico» — mette in opera con il diluvio una sorta di «soluzione finale», consistente in una cacciata, o viaggio coatto, di tipo «verticale» che porterà Fuomo-Noè a rinascere in un mondo «umano». Ma non vorrei suscitare l'impressione che, per Brelich, questa rinascita e questo risveglio abbiano segno positivo. Essi, infatti, coincidono con la perdita amara e irrimediabile del senso della vita, dell'integrità della vita — quel senso che gli animali posseggono e che avrebbe reso l'uomo, se l'avesse a sua volta definitivamente conquistato dopo l'«assaggio» nel Paradiso Terrestre, un essere «pericoloso a Dio». Lungi da me la pretesa di riassumere in poche righe la ricchezza e la caustica sottigliezza delle argomentazioni (psicologiche, teologiche e antropologiche insieme') che Brelich porta a sostegno di queste sue tesi Mi limiterò a ricordare che c'è, nell'ultimo capitolo, un botto, uno svolazzo finale particolarmente sorprendente e gustoso, là dove Brelich mette in relazione, con apparente inconfutabilità, da una parte la disperazione nella quale Noè precipita scoprendo di essersi fatto strumento della descritta macchinazione di Dio contro gli uomini, dall'altra la sua scoperta del vino e la sua «indecente» ubriachezza. Si tratta, attenzione! di una sopresa a due stadi, giacchè Brelich non si fermaall'ipote:si, in fin dei conti banale, che Noè «beva per dimenticare». Ma assai più finemente insinua che egli beva, invece, per «ricordarsi», per ricordare, nella meravigliosa ebrezza dell'alcol, la perduta, la dimenticata felicità dell'esistenza paradisiaca. Il vino, insomma, non come calmante, ma come medicina: per tentare di guarire, per concimare il poco fertile campo del raziocinio nel quale la malevola astuzia dell'Onnipotente ha rinchiuso, come in un ghetto, l'ex aspirante alla divina pienezza della vita. Giovanni Raborìl

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