Fantascienza: la rivincita di Verne

Fantascienza: la rivincita di Verne Il «grande passo» di Armstrong ha modificato la letteratura Fantascienza: la rivincita di Verne Q TJANDO Neil Armstrong, dieci anni or sono, posò per la prima volta il piede sulla superficie lunare ed esclamò: «Un grande passo per l'umanità!», se qualcuno avesse potuto scoperchiare le case come il diavolo zoppo di Lesage avrebbe scoperto che una piccola parte degli spettatori televisivi (il 2per cento, o anche meno) non si univa alla commozione generale. Questi dissidenti erano i lettori di fantascienza, affezionati all'immagine degli sbarchi lunari fornita tradizionalmente dalla science-fiction/ Il nostro satellite, nella fantasia dei romanzieri, poteva essere deserto sulla superficie, ma possedeva grandi caverne in cui si potevano fare incontri emozionanti con l'utopia (come nel wellsiano The First Men in the Moon, 1901), o con i resti di antiche civiltà, con gli avamposti di grandi comunità di creature della Galassia, o anche semplicemente con le belle lunari dalle gambe nude che venivano descritte da quel vittoriano in ritardo che era E. R. Bùrroughs, nei suoi romanzi «lunari» degli Anni Venti. Visto con gli occhi della fantascienza, il «grande passo» di Armstrong era un colpo di spugna che cancellava tutte le facili meraviglie e che riportava la Luna a quello che è realmente: una solitudine di polvere e sassolini; e il brusco impatto con la realtà ha lasciato profonde tracce nei lettori e negli autori di avventure spaziali. La prima reazione fu quella di rifiutare la fantascienza più, tipica, quella che descriveva le esplorazioni dello spazio e gli incontri con esseri extraterrestri: e infatti, per un paio d'anni, la fantascienza avventurosa venne messa al bando. Questo rigetto era già stato previsto fin dal 1962 da uno dei più importanti scrittori specializzati inglesi, J. G. Ballard, il quale aveva scritto, in un suo «manifesto» contro le approssimazioni della fantascienza avventurosa e fumettistica: «Quando il primo uomo poserà i piedi sulla Luna, il pubblico, invece di salutare con un applauso l'eroe in tuta spaziale, rimarrà deluso per la mancanza dei soliti ingredienti di mille romanzi, dai cervelli robot ai motori iperspaziali, con lo stesso tipo di reazione che mostrano i patiti del cinema, i quali restano delusi se hi un western non c'è almeno una sparatoria importante». Ballard suggeriva di cercare altri spunti: ad esempio descrivere la psicologia dell'uomo del futuro, invece di descrivere semplicemente il futuro, e il suggerimento venne accolto dagli autori più importanti. Se si guarda l'elenco delle opere che negli anni intorno al 1969 hanno vinto il «premio Hugo», l'Oscar assegnato annualmente dai lettori di fantascienza americani, si nota che il romanzo premiato nel 1967 era una tipica storia «lunare», La Luna è una severa maestra, di R. A. Heinlein (colonizzazione del nostro satellite), e che anche nel 1968 il premio è andato a un romanzo di avventura spaziale, n signore della luce di R. Zelazny. invece nei due anni successivi furono premiati due romanzi atipici: Tutti a Zanzibar di J. Brunner e La mano sinistra delle tenebre di Ursula Le Guin, romanzo di denuncia sui problemi della sojrS^Pp^one il primo, stona di fanta-antropologia culturale il secondo, con un profondo confronto tra due forme di civiltà Contemporaneamente scomparve dal mercato tutto un tipo di produzione avventurosa che ripeteva formule e trovate di venti e trentanni prima: i «western dello spazio», scritti da autori che non avevano dimestichezza con le più recenti conquiste scientìfiche. I romanzi avventurosi fantastici presero a colorarsi di magia e di occultismo, rispolverando i vecchi temi di storie fine Ottocento come Lei di Rider .Haggard: anziché su altri pianeti, gli scrittori cominciarono ad ambientare le loro storie nel lontano passato della nostra Terra, dove non c'era il pericolo che l'immaginazione venisse sconfessata dall'arrivo di qualche navicella spaziale. Poi, nei primi anni dopo il 1970, la vecchia avventura spaziale riprese a fare capolino, ma si mostrò assai diversa da quella dei decenni precedenti. Il tipio rappresentante di questa nuova avventura è lo statunitense Larry Niven: un autore che si documenta su riviste come «Scientific American» e che si trova a proprio agio nel parlare di ardite ipotesi astrofisiche e di problemi di biologia extraterrestre. Dopo lo sbarco sulla Luna, la rinata fantascienza avventurosa non è più la stessa: anche a un romanzo di evasione si richiede di attenersi a dati scientifici precisi. In un certo senso è la rivincita di Verne sulla troppo sbrigliata immaginazione di quanti lo hanno seguito: le avventure del padre fondatore della fantascienza erano solidamente ancorate alla realtà, e nel 1969 la Nasa mostrò che la conquista dello spazio richiedeva una grande programmazione e una precisa organizzazione. Da allora in poi anche nei romanzi di fantascienza non ci fu più posto per i dilettanti. Riccardo Valla