II verso ruba istanti d'amore
II verso ruba istanti d'amore La vita tra attese e ricordi nel canzoniere di Salinas II verso ruba istanti d'amore Pedro Salinas LA VOCE A TE DOVUTA. Poema. Traduzione e introduzione di Emma Scoles. Einaudi, Torino, 233 pagine, 4800 lire. N ELLO stesso mese in cui si finiva di stampare questa scrupolosa traduzione di uno dei più pregevoli libri di poesia di Pedro Salinas, è uscito in Spagna un volume che raccoglie quattro opere teatrali dello stesso autore: La niente del Arcàngel, La bella durmiente, El director e Gain o una gloria cientif ica (ed. Narcea, Madrid). Registro la notizia per puro dovere di cronaca: delle 14 opere drammàtiche di Salinas — che sono considerate francamente trascurabili rispetto al lavoro poetico e saggistico dello scrittore — finora si conoscevano soltanto tre atti unici, pubblicati da Insula nel 1952, nondimeno questa e altre precedenti opere (ben tre stampate nei tascabili della Alianza Editorial) denotano un'attenzione crescente verso colui che molti considerano il più appartato e schivo e rigoroso e parco dei poeti della generazione spagnola del 27, autore anche di preziosi studi su Garcilaso, Bécquer, Dario, ecc. Costituita da settanta componenti e definita sin dal suo primo apparire (1933) come «Poema», unico, La voce a te dovuta si snoda e si dispone in una serie continua e lievemente correlata di poesie d'amore. Ogni poesia, una situazione; ogni poesia, un momento del vivere amoroso; ogni poesia, dunque, un aneddoto, un «racconto». E nell'insieme non proprio un continuum assestato nella dimensione disegnata da Genot nel saggio sulle Strutture narrative della poesia lirica, ma certo nella forma più comprensiva di «sistema», precisata più volte da Segre. Per Salinas, in modo speciale, si potrebbe parlare di un assetto poematico che si sviluppa lungo una linea di brevi episodi volti a descrivere una prolungata avventura («avventura verso l'assoluto» è la prima e felice autodefinizicne del poeta) e quindi una sorta di racconto immaginario, verticale.} E se è vero o almeno sufficientemente accettabile che questo libro, accanto al successivo, Razon de amor (1936), può costituire nell'insieme un canzoniere nel senso tecnico, petrarchesco e garcilasiano del termine, meno vero e accettabile, come scrive la Scoles, è che essi formino una «trilogia» con le poesie postume di Largo lamento, di recente sistemate e ordinate nelle Poesias compietas (1971), come asserisce Jorge Guillén nella sua introduzione. In ogni caso, semmai, non un canzoniere per accumulo, ma per fasi separate. Del resto, a parte alcuni casi rarissimi di correlazione interna (luce, gioia, baci: nella poesia XXV, che inizia con il verso «La luce ha questo di male»,), il componimento di Salinas poche volte è costruzione, anzi è quasi sempre itinerario o, se si preferisce, costruzione nel vuoto. Oppure, ancora, una corsa, spesso dettata dal caso (il puro azar tanto caro a Salinas), verso l'istante da fermare, stringere, catturare. Gli istanti d'amore catturati da Salinas sono più che altro l'attesa dell'amata e il suo arrivo, che sfumano in un nulla, o nel futuro; così come il dopo-amore sfuma nel ricordo, nel passato. Il dialogo dell'«io» (poeta) con il «tu» (amata) è colto quasi sempre in delicata sospensione o in diafana visione. Ed è questo dialogo semplice e spoglio che insegue continuamente il poeta: «Che altissima allegria: vivere nei pronomi!» . Inoltre, se la Scoles nella sua introduzione, lucida ed essenziale, osserva che il poeta rifugge dal «nome» per le sue qualità costrittive e dal «numero» come misura di finitezza, lo stesso potrebbe dirsi, tranne in pochi casi differenti, anche del colore, poiché Salinas tende sempre al bianco (assenza del colore), al silenzio e all'indefinito. Questa pratica di soggettivismo estremo fa sì che «una logica elusiva guidi anche l'utilizzazione di molte figure retoriche tradizionali» (Scoles): nonché l'uso di motivi poetici tradizionali o di stilemi attinti dai lirici precedenti e contemporanei Cosi il motivo della «rosa» nella poesia XXVI, che diventa «ricordo di rose» e quindi essenza «inalterabile». Mi sembra, sintetizzando, che da Juan Ramon Jiménez Salinas derivi la parola precisa e tutte le forme della levità lirica; dal Machado gnomico alcune «frasi» giocate sul significante o alcune movenze della memoria; da Unamuno, più che dagli sperimentalisti suoi coetanei, il lavorio sulla parola indecisa, ambigua e composita; e che se qualcosa egli attinge dai suoi compagni di generazione, Guillén e talora Aleixandre («conocerse es el relampago»A si tratta più che altro di stilemi quasi obbligati («il centro», «i limiti» e le parole della vita «moderna», macchine, auto e simili). Non c'è da stupirsene: sempre Salinas riesce a restituire alle parole e alle immagini, anche le più consumate e fre-. quentate, il loro segno iniziale, verginale, autonomo. Dario Puccini
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