Quel Joyce tradotto da Joyce

Quel Joyce tradotto da Joyce Pubblicati gli scritti italiani dell'autore di «Ulisse» Quel Joyce tradotto da Joyce Lo scrittore irlandese s'impegnava nell'uso virtuosistico della lingua adottata, nel piacere di una comunicazione piena anche con «parole straniere» La traduzione del passo su Anna Livia Plurabella e il dominio sul flusso del linguaggio IL volume James Joyce Scritti italiani (Mondado-. ri, pagine 253, lire 8000) curato con grande rigore filologico e scientifico ma anche con evidente amore da Gianfranco Corsini e Giorgio Melchior! con la collaborazione di Louis Berrone (per i temi da Joyce scritti nell'aprile 1912 all'Università di Padova quando intendeva ottenere l'abilitazione all'insegnamento della lingua inglese nelle scuole italiane'), di Nino Frank (per la versione originale del passo di Finnegans Wake, Anna Livia Plurabella) e di Jacqueline Risset (per la cura e l'analisi linguistica del passo stesso) presenta un aspetto in gran parte inedito e sconosciuto dell'opera di Joyce. Accoglie gli scritti italiani del periodo triestino dal 1907 al 1912, quinquennio fecondo e centrale della vita di Joyce (dai venticinque ai trent'anni) in cui delinea e esplicita i fondamenti della sua posizione politica, ideologica e este- tica già inizialmente enunciati con i saggi giovanili in lingua inglese (Ecce Homo, The Stu- dy of Languages, Brama and Life ecc.), saggi che appaiono spesso continuati e ripresi in quelli italiani (è il caso della conferenza tenuta allTJniver- sità Popolare di Trieste nel 1907 sul poeta irlandese Già- torno Qarenzio Mangan che riprende e modifica quella tenuta cinque anni prima da- vanti alla Literary and Histo- rical Society dell'UniversityCollege di Dublino). Gli interventi, seppure de- terminati da motivi occasio- nati (le nove collaborazioni di carattere politico e culturale al Piccolo della Sera, le sei conferenze letterarie tenute all'Università Popolare di Trieste, il tema, dal titolo ge- nerico: L'influenza letteraria universale del Rinascimento) mostrano un notevole impe- gno nell'uso virtuoslstico deìla lingua adottata, nel piacere della comunicazione piena che la lingua straniera non impedisce, ma anzi stimola; attraverso la precisione e la ricchezza della lingua Joyce mira alla definizione e all'il lustrazione essenziale del l'«irlandesità», di un back ground culturale che la con dizione dell'esilio consente di cogliere nei suoi elementi di specificità, Scrive Giorgio Melchiori: «La coesistenza di tre linguaggi nella sua Dublino e la ne- cessila iniziale di privilegiarne uno, e proprio quello più lontano dalle autentiche radici etniche della sua terra, hanno un duplice risultato: da una parte forniscono un'acuta e quasi esasperata coscienza dei fatti linguistici... d'altra parte suggeriscono l'importanza di calarsi compiutamente, di voi- ta in volta, nel contesto Un- guistico del luogo in cui si vive,'proprio con la consapevolezza che il linguaggio è gesto, è parte fondamentale non tanto dell'individuo, ma della comunità nella quale si trova». L'adozione di un linguaggio (non la pura facondia di cui gli irlandesi abbondano) è da Joyce considerata come una forma di conquista che partendo da un moto di ribellione approdi ad una liberazione, alla rivelazione e al potenziamento della propria matrice culturale. La coscienza del progressivo snaturamento della matrice celtica prodottasi nella cultura irlandese a causa del secolare dominio straniero e in particolare inglese spinge Joyce a una teorizzazione della rivolta, della ribellione a livello politico, morale, estetico. La figura di Parnell, giustamente ritenuta da Gianfranco Corsini centrale a tutta l'opera di Joyce, utilizzata come testimonianza di verità storica (compito primo dell'artista socialista» quale Joyce riteneva di essere) si carica fin da questi saggi di valore sacramentale: è il martire, il Cristo che sperimenta il tradimento, il linciaggio e il paradossale riconoscimento postumo; come tale è un protòtipo di cui altre figure non sono altro che illustrazioni e varianti (si vedano il ritratto di Wilde, di Mangan). Muovendo dall'editoriale polemico al passo di colore alla panoramica documentata e curiosa (L'Irlanda: Isola dei Santi e dei Savi) agli Imaginary portraits la cui intensità di visione è chiaramente pateriana (Mangan, Wilde, Defoe, Blake) la lingua si arricchisce, si gonfia (come sarà poi in Portrait) rispondendo a quei principi di generazione dal di dentro che tanta parte avranno nell'opera narrativa futura. _ L'italiano arcaico e toscaneggiarne delle prime collaborazioni al Piccolo fortemente improntato alla lettura di Dante fatta a Dublino si viene arricchendo di nuove tonalità: del resto la biblioteca triestina di Joyce comprendeva oltre a D'Annunzio e Bruno, letti già a Dublino, molti altri autori italiani tra i quali Leopardi, Fogazzaro, Manzoni, Machiavelli, Praga, Svevo, Boine e molti classici stranieri in traduzione italiana, quali Tolstoj, Gorky, Gogol, Aristofane. Sono presenti nei saggi italiani la gran parte delle fonti letterarie e filosofiche successivamente introdotte nelle opere narrative e anticipazioni, come nel caso della conferenza su Blake il riferimento alla teoria dei cicli storici utilizzata in chiave estetica, o come nell'opposizione Defoe-Blake l'assunzione di quel metodo dialettico che £11mann vede alla base dell'organizzazione triadica dei capitoli di Ulysses. Perdute le conferenze su Shakespeare tenute dal no¬ vembre 1912 sempre all'Università Popolare di Trieste, l'attività saggistica e giornalistica di Joyce in italiano non continua, ma anche quella in inglese ha ben poche altre occasioni di manifestarsi, insidiata come è dal lavoro di elaborazione delle nuove opere che impegnavano seriamente Joyce. Con un notevole salto temporale il volume ci propone in ultimo la «traduzione» originale di Joyce e Franck del passo Anna Livia Plurabella (1938) e alcune lettere che ad essa si riferiscono: il problema non appare più quello della padronanza dell'italiano (la precisa testimonianza di Frank Io esclude quando rievoca i modi della traduzione: «Alors commenqait le lent tennis des approximations, ces mots courts que nous lancions cornme des halles au ralenti, à travers une atmosphère raréfiée. Cela tenait. à la tongue, de l'incantation»). ma quello del dominio del flusso stesso del linguaggio. Carla Marengo James Joyce con Sylvia Beach

Luoghi citati: Dublino, Irlanda, Trieste