Inventiamo una nuova politica di Antonio Ghirelli

Inventiamo una nuova politica I possibili sviluppi della democrazia italiana nell'analisi di Farneti Inventiamo una nuova politica Paolo Fameti LA DEMOCRAZÌA IN ITALIA TRA CRISI E INNOVAZIONE Edizione Fondazione Agnelli Torino 179 pag. 5500 lire IL gioco delle coincidenze può accentuare il piacere della lettura. E' il caso del saggio di Farneti, che ci è capitato sulla scrivania proprio nei giorni in cui gli italiani votavano prima per il parlamento nazionale, poi per quello europeo; e la verifica nel concreto responso del corpo elettorale, di quanto puntuali fossero le domande del politologo torinese (se non tutte esaurienti le risposte) lo ha reso stimolante quanto e più dì un editoriale di Scalfari o di Arrigo Levi. n successo delle liste radicali, l'ampiezza delle astensioni, l'aumento delle schede bianche o di quelle deliberatamente nulle, hanno confermato clamorosamente la considerazione basilare di Farneti secondo cui «Za possibilità di innovazione politica* in una situazione di saturazione del mercato politico, potrebbe essere in direzione istituzionale e civile». Direzione che nello stesso capitolo viene meglio definita, allorché si ipotizza che «se in un progetto di democrazia urbana maggiore spazio venisse dato al pre-politico, la probabilità di evitare situazioni di stallo e la formazione di "chances" di innovazione politica e istituzionale sarebbe incremen-' tata». Nelìa prefazione al saggio, Norberto Bobbio ricorda ché: esso è stato scritto come premessa ad una ricerca empirica condotta dalla Fondazione Agnelli, ma aggiunge che costituisce altresì un'analisi concettuale ed una ricerca storica. Si potrebbe dire ancor più precisamente che Farneti rilegge la storia dell'Italia unitaria, alla luce di un'analisi il cui fulcro è rappresentato da quattro concetti fondamentali: il ciclo, la crisi, l'innovazione politica, il pre-politico. Non è facile dar ragione, in poche righe di concetti così complessi, nei quali confluisce la dottrina di un pensatore economico come Schumpeter e di pensatori politici come Pareto, Croce, Weber, Habermas, Hirschman; ma vale la pena di tentare per anticipare al lettore la misura della profondità e dell'originalità di questo lavoro. D ciclo storico, antico concetto che Bobbio fa risalire a Polibio e che è notissimo nella versione del Vico, trova una definizione moderna in Pareto: «Ad un periodo di accumulazione della ricchezza — oggi si direbbe di accumulazione del capitale —corrispondono forme severe di ordinamento politico e sociale, mentre ai momenti di distribuzione della ricchezza — oggi si direbbe di espansione economica e di diffusione dei consumi — corrisponde un costume umanitario, pacifista, conciliatorio e tendente alla cooptazione piuttosto che alla competizione». Farneti prende tuttavia le distanze da questa concezione pendolare del ciclo, nel senso che è più vicino alla visione dì un «progresso indefinito», nel' cui contesto sono prevedibili «arresti o anche arretramenti momentanei, ma non mai il ritorno alle origini e un ricominciamento». Pareto e Weber riletti da un marxista. L'innovazione politica, concetto tolto a prestito da Schumpeter, è la chiave del saggio. « Allo stesso modo co- me l'innovazione economica è la combinazione dell'invenzione tecnologica con le potenzialità del mercato, donde la creazione di un nuovo mercato, cosi l'innovazione politica è la combinazione della novità intellet< tuale, di carattere ideologico e normativo, con la potenzialità di ricezione di questa da parte della popolazione». La crisi, a questo punto, diventa abbastanza chiaramente il corrispettivo di un esaurimento dell'innovazione politica, la cui tecnica di mobilitazione e di governo si diffonde gradualmente fino al punto di saturare il mercato politico, cristallizzando le istituzioni. La crisi determina il passaggio da un ciclo all'altro e la formazione del nuovo ciclo è il prodotto di un'innovazione, che non è necessariamente rivoluzionaria e nemmeno contro-rivoluzionaria, perché può realizzarsi attraverso una «invenzione» che sconti e risolva la crisi prima che essa trovi uno sbocco violento. I primi tre concetti consentono a Farneti di rileggere la storia dell'Italia unitaria come la successione di quattro cicli: quello liberale (1870-1918); quello autoritario (1918-1946); quello liberal-democratico (1946-1968); e quello democratico-sociale (dal 1968 in poi). E' uno schema che serve all'autore per •tentare di mettere alla prova il modello» della sua ricerca, e va dunque inteso con tutte le cautele del caso. Purtroppo noi dobbiamo offrirne, per ragioni di spazio, una sintesi ancor più schematica e grezza. Quel che ci preme di sottolineare è che i capitoli conclusivi del saggio di Farneti sono anche i più stimolanti perché offrono una risposta, discutibile quanto si voglia ma costruttiva e non violenta, non dirompente come quella delle Brigate rosse o dei fautori di una restaurazione autoritaria, alla crisi in cui così visibilmente è piombato il quarto ciclo della nostra storia. Perché una società industriale possa funzionare senza «ricorrere sistematicamente alla coazione dei comportamenti», è indispensabile la compresenza dì un quantum di prevedibilità (esigenza di accentramento) e dì un quantum di libertà individuale e di gruppo (esigenza di controllo), l'uno necessario all'efficienza del sistema, l'altro alla possibilità di innovazione politica. Se la compresenza diventa insostenìbile, si ha crisi della democrazia, guerra tra le classi, rottura degli equilibri sociali. Ebbene, nella condizio¬ ne attuale del nostro Paese (che tutti conosciamo), la stagnazione delle istituzioni e la recessione economica impongono un'innovazione che Farneti identifica nella democrazia urbana, nella ricostruzione e nello sviluppo del pre-politico —ecco il suo quarto, essenziale concetto — ossia della periferia del mercato, dell'iniziativa locale, dell'autogestione di base. Per evitare l'exit dal sistema, per propiziare la conversione della protesta (voice) in risorsa, la sola strada è la «parlamentarizzazione delle tensioni e dei conflitti alla base» attraverso il rilancio del consiglio di fabbrica, del consiglio di istituto, soprattutto del consiglio di quartiere. Ciò detto, ovviamente siamo appena all'inizio del dibattito che coinvolge «l'impegno personale nell'azione volontaristica» e per ciò solo rischia di scadere in una discussione di tipo moralistico. Ma il segno della crisi che viviamo sta proprio nel ritardo, nelle esitazioni, nella lentezza con cui i partiti di massa e più generalmente il pensiero democratico affrontano questo problema così vitale per la salvezza delle libere istituzioni (in un senso non solo difensivo). Paolo Farneti ha l'enorme merito di proporcelo in termini rigorosi e assillanti nel momento in cui comunisti e cattolici affrontano la nuova legislatura sulla scia di un insuccesso elettorale che trova la sua spiegazione proprio nei distacco tra sistema e ceti emarginati, nella latitanza di una audace «innovazione» politica. Antonio Ghirelli Vilfredo Pareto"

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