Al rogo questo libro nel nome di Croce di Gianni Vattimo

Al rogo questo libro nel nome di Croce Cosila Cassazione, richiamandosi all'estetica, ha condannato Robbe-Grillet Al rogo questo libro nel nome di Croce COLORO che, sulla base di alcuni aspetti degli ultimi risultati elettorali, preconizzano un ritorno agli Anni Cinquanta hanno ora un argomento in più a favore della loro tesi. La Corte di Cassazione, aderendo al ricorso del procuratore generale di Venezia, ha deciso che devono essere distrutte (bruciate, trattandosi di pellicola) tutte le copie circolanti in Italia dei film Spostamenti progressivi del piacere, diretto sei anni fa da Alain RobbeGrillet, uno dei più noti registi e scrittori francesi di questi ultimi anni. La decisione sembra risuscitare una tradizione saldamente radicata nella prassi della magistratura italiana degli anni di Sceiba, che però credevamo, da molti segni, in fase di regresso; e suscita, oltre l'ovvia (pare a noi) indignazione, i soliti pesanti dubbi e interrogativi sul diritto che vige nel nostro Paese. Due sono le questioni principali : anzitutto, poiché ancora una volta i giudici si richiamano al «comune sentimento del pudore», torniamo a domandarci come questo sentimento — che non è poi così comune se le decisioni di questo genere suscitano sempre tante polemiche, e che comunque, in quanto sentimento, ha un alto grado di imprecisione — possa diventare il metro di un giudizio che assolve o condanna, e che, come nel caso in questione, può arrivare a decretare la distruzione pura e semplice di un'opera. In secondo luo¬ go, ed è ancora più grave secondo noi. la sentenza della Cassazione pone in termini perentori un altro problema: che validità e legittimità possa avere una valutazione estetica pronunciata da un tribunale o comunque da un'istanza pubblica. Per ciò che ne sappiamo dai giornali, la Corte di Cassazione ha esplicitamente eccepito sulla qualità artistica dell'opera di Robbe-Grillet, arrivando anzi a adottare come propria una ben precisa teoria estetica, quella di Benedetto Croce, che viene anche ampiamente citato nella sentenza. Non solo, dunque, si suppone che esista un comune sentimento del pudore; ma si fonda una condanna legale sull'adozione di una posizione filosofica particolare, rispettabilissima ma discutibile (e di fatto oggi largamente criticata dai filosofi dell'arte). Tutto questo, in uno Stato che si pretende laico, sembra davvero un po' troppo. Se l'estetica di Croce di- = venta l'estetica ufficiale dei tribunali (e la Cassazione è ben più di una pretura di provincia) che ne è della libertà di opinione, per esempio, dei molti che professano estetiche materialiste, edoniste, fenomenologiche, empiriche? Del resto, poi anche un crociano di ferro, oltre a non riconoscere più le teorie del suo maestro nell'interpretazione disinvoltamente moralistica nata iraxia v^assa^ione, avrebbe molta difficoltà ad ammettere la legittimità di una valutazione estetica formulata da un soggetto collettivo come è un tribunale della Repubblica. Anche senza voler difendere posizioni intimistiche, è difficile negare che l'esperienza e la valutazione dell'opera d'arte è una faccenda che riguarda la personalità individuale in ciò che ha di più proprio: la decisione di una maggioranza non convincerà mai nessuno di noi a trovare bello ciò che, a un'analisi approfondita, gli appare brutto o repellente. E' esattamente, in questo campo, come nelle questioni di coscienza, per esempio nelle faccende religiose: riconosceremmo a un tribunale della Repubblica il diritto di stabilire che cosa va accettato o respinto in materia di fede religiosa? Se poi in fatto di gusto lasciamo allo Stato il diritto di decidere, potrebbe succedere che si vietino matrimoni e prole ai brutti e deformi, in nome delia difesa di un ideale di bellezza e perfezione umana su cui, ovviamente!, non ci si può affidare alle preferenze dei singoli. I nazisti del resto lo hanno teorizzato e, almeno in parte, attuato. Si dirà che è eccessivo, richiamare precedenti così truci Ma di fatto, ogni volta che si riconosce allo Stato il diritto di avere una sua filosofia, una sua religione (o irreligione), un gusto e un ideale di bellezza o di perfezione umana, si fa un passo verso lo Stato «etico», lo Stato totalitario che decide al posto dei singoli cittadini e della loro coscienza. Per questo la sentenza della Cassazione offende, prima ancora che l'intelligenza, la coscienza morale, in nome della quale i giudici hanno preteso di deliberare. Il povero Croce inorridirebbe a vedere l'uso a cui vengono piegati i suoi testi, lui che ha sempre sostenuto che l'arte, eventualmente, riscatta ogni pretesa «immoralità» e non, viceversa, che il carattere «osceno» di certi contenuti delle opere d'arte possa metterne in discussione la qualità estetica. Ma comunque, di che cosa abbia detto Croce, e del valore artistico dell'opr:«> d; Robbe-Grillet o di chiUwvA e altro, non è con la Cassazione che si discute. A favore dei giudici, resta il fatto che nella nostra legge sopravvive comunque il concetto di «osceno» e quella, correlativa, di «comune sentimento del pudore». In questa situazione, non £i può far altro che chiedere ai magistrati una maggiore sensibilità all'evolversi dei costumi e delle effettive opinioni della gente. Da questo punto di vista, il caso del film di Robbe-Grillet è simile a quello del giudice dei minori di Torino che ha incriminato alcuni alunni un po' discoli e chiacchieroni per interruzione di pubblico servizio. Proprio perché casi come questi si verificano, sarebbe meglio modificare le leggi, rendendole insieme più precise e più liberali. I cittadini (almeno quelli considerati tali a pieno titolo, i maggiorenni) hanno diritto di decidere da sé che cosa è, per loro, buono o cattivo, osceno, turpe, urtante, o no. Siccome non è affatto verosimile che la misura dell'osceno sia uguale per tutti, e che il sentimento del pudore sia davvero comune, lo Stato e i suoi organi devono solo vigilare affinché nulla venga im-^ posto contro voglia a qualcuno. Proiettare il film di Robbe-Grillet in un cinema, magari con «luce rossa» o altre forme di avvertimento per i distratti, non viola la libertà di nessuno; e rispetta, insieme, la libertà di chi voglia, comunque, vedere un tale film. Di questa libertà, soprattutto, i giudici della Cassazione non hanno tenuto alcun conto. Chi ci ripagherà di ciò che perdiamo o perderemo perché un tribunale della Re-' pubblica ha deciso che questa o un'altra opera (film, libro, teoria filosofica o politica) non ci «fa bene»? Gianni Vattimo Anicée Alvina, protagonista del film di Robbe-Grillet

Luoghi citati: Italia, Torino, Venezia