Un Dio che frequenta Hegel e non sa il Padre nostro

Un Dio che frequenta Hegel e non sa il Padre nostro Il grande saggio di Kùng:la teologiapassaperifilosofi e trascurai profeti Un Dio che frequenta Hegel e non sa il Padre nostro "Hans Kong DIO ESISTE? Mondadori, Milano 957 pagine, 10.000 lire CHI nell'affrontare la lettura del grosso libro di , Hans Kiìng cominciasse, come di solito si fa, col dare un'occhiata alla presentazione editoriale dell'opera e all'indice, avrebbe subito un'idea del territorio entro cui si muove il Dio dell'illustre teologo «nato nel 1928 in Svizzera», formatosi alla Gregoriana di Roma, alla Sorbona e aU'Institut Catholique di Parigi, ed infine docente presso l'università di Tubinga. Capirebbe subito che il Dio di Kùng è legato alla geografia culturale elvetica, tra la Francia e la Germania. E' un Dio che frequenta soprattutto i geni dell'intelligenza filosofica e scientifica del Nord Europa. Scende fino a Roma per partecipare al Concilio Vaticano, grazie all'assistenza del nòstro teologo, ma non concede un rigo di udienza a Manzoni, né a Leopardiane a Rosmini, nemmeno a Giambattista Vico che con la Scienza Nuova pone il problema del «fare» e del «sapere» storico, e della Provvidenza o suprema Ragione nella storia, della dialettica delle menti e delle nazioni, con un bell'anticipo sui grandi storicisti tedeschi, Hegel e Marx, che nel libro di Kung spadro-' neggiano. Di casa a Parigi e in Francia, quel Dio eminentemente franco-germanico non valica i Pirenei, taglia fuori i grandi .mistici della Spagna e tutta la cultura di lingua spagnola. Giovanni della Croce, Lope de Vega, Calderón della Barca. Cervantes. Miguel de Unamuno non sono nemmeno citati. Ci sono buone puntate nella Russia di Dostoevskij e nella Cina di Mao, oltre che nell'India di Buddha e dell'induismo. Onnipresente è invece il Nord protestante, di qua e di là dall'Atlantico, con Barth che fa da guida e consente di collegare Spinoza. Hegel e quel genio mozartiano della fisica che è Einstein, pur attraverso le vitali contraddizioni di Nietzsche. Barth rimproverava al Concilio Vaticano II di non essersi posto il problema di Dio. Ci ha pensato il suo connazionale. Ed ecco questo «concilio» dei massimi gerarchi del pensiero occidentale, quasi una chiesa dell'intelligenza,- anch'essa pluralistica ed ecumenica, dove lo spirito di Hegel ha ruoli di pontefice, pur senza infallibilità. Kung comincia così: «Dio esiste? E inoltre: chi è Dio? Il libro si propone di dare una risposta a questi due interrogati-. vi». Ma subito dopo i due interrogativi si spezzano e dàn- ; .no luogo ad altri interrogati-' vi, e questi ad altri ancora, un serpaio d'interrogativi, che guizzano di qua e di là, per pagTne~è pagine fittissime; e si divorano gli uni gli altri, sicché quando arriva un cenno di risposta, c'è l'ecatombe. Anche nell'opera precedente, Essere cristiani, Kung partiva con interminabili sventagliate di interrogativi, in buona parte retorici, ossia con risposte consumate nel tono stesso con cui si poneva le domande. Per esempio: «Quale immagine di Cristo è l'autentica? E' il giovane imberbe, bonario pastore dell'arte catacombale paleocristiana o il barbuto, trionfante ImperatoreCosmocratordella tarda Iconografia relativa al culto imperiale, aulo-rigido, minacciosamente maestoso sullo sfondo dorato dell'eternità? E' il Beau-Dieu di Charìres o il misericordioso Salvatore tedesco?» I teologi medievali, da Aberlardo in poi, possedevano una tecnica della domanda del sic et non, una filoso-, ha e disciplina della interrogano assidua et frequens. Kung ne fa a meno. Interi capitoli in Dio esiste? sono col punto interrogativo, ma alla, fine si smarrisce il senso della domanda. L'eccesso di interrogativi fa crollare il problema sommergendolo senza ri-, solverlo nel torrenziale interrogare che tutto travolge. E' chiaro che Kong sceglie di battere la via del «Dio dei filosofi» più che quella del Dio dei profeti e di Gesù Cristo. H vuoto cristologico, che gli è stato rimproverato, è però giustificato' dal fatto che il: teologo aveva ampiamente trattato di Cristo, nel saggio Essere cristiani, di cui Dio esiste? è il proseguimento. C'è tuttavia in Kùng la tendenza ia ritenere che le testimonianze intellettuali e le prove che si possono strappare alla filosofia sull'esistenza di Dio si debbano preferire alle testimonianze e alle prove di sem-i plice esperienza interiore, di immaginazione, di visione, dei mistici e dei semplici. Pesa in lui l'antico sarcasmo iconoclasta dell'intellettuale ellenico che si prendeva gioco della gente la quale pensava che là divinità fosse a immagine e somiglianza dell'uomo. All'antropomorfismo popolare si sostituiva così il logomorfismo dei filosofi, come se nei logoi, nei concetti, nelle idee di Essere, di Causa Prima, di Natura e di Anima Universale, la divinità si co-° municasse più che non nelle immagini dei poeti e nelle implorazioni della gente. Kùng però sa che l'intellettualismo teologico, dopo le critiche di Hume e di Kant, sT è reso meno attendibile dell'antropomorfismo delle pre: ghiere. A Etienne Gilsonj che. si lamentava della crisi del tomismo, Giovanni XXTQ ebbe a rispondere: «Lei lo sa che per me la teologia è il Padre Nostro?». Il boom delle teologie, esploso con il Concilio ha contribuito a rendere opinabili le teologie stesse (morte di Dio, Cristo ateo, Cristo-Arlecchino) considerate oggi quasi fantasie della ragione o addirittura «favole», come Descartes aveva la prudenziale umiltà di presentare il proprio filosofare. D'altra parte, là rottura coUìntellettualismo teologico è già in Pascal, che opta per il Dio della preghiera. Si ha già in lui lo spogliamene delle «ragioni della ragione», l'abbandono delle summe intellettuali, dei commentari, delle glosse, che avevano asfissiato la vita della fede prima che Francesco di Assisi riportasse alla nudità evangelica sine glossa del vivere e dell'essere: Ma le tentazioni dell'intellettualismo teologico sono più tenaci del bisogno di liberarcene. Ed ecco Kung e altri cercare di soddisfarne le nuove richieste. C'è nei teologi la preoccupazione dell'ateismo come fenomeno collettivo. Nel '64 Cornelio Fabro e Augusto del Noce tirarono fuori quasi ' contemporaneamente due grossi saggi sull'argomento. Percorrevano -l'iter .storico-filosofico oggi riper-^ corso da Kung. Solo che dimostravano tutto il contrario* di quello a cui approda il teologo svizzero. Fabro indicava . in Descartes e negli altri filosofi fino a Marx, a Nietzsche e a Haidegger, i padri fondatori della teismo moderno e' contemporaneo. Ora Kùng converte, i dìjstruttori delle prove tradizionali dell'esistenza di Dio ini testimoni più o meno involontari del Dio negato. Fabro e del Noce avevano lavorato sotto il peso della mentalità preconciliare, gelosi di severe distinzioni teoretiche e pratiche. Con Kùng si ha la nuova mentalità teologica. Resta però la vecchia «presunzione» dell'intellettualismo teologico che ritiene di poter «dare risposta» a interrogativi che l'umanità si porta da sempre con la propria inquietudine e col segno di mistero ch'è nel destino di tutti. Fortunato Pasqualino Mose Hegel